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Le plusvalenze in Serie A: 20% di ricavi dalle cessioni, l'impatto a bilancio
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Le plusvalenze, nel corso dell’ultimo trentennio, hanno sicuramente subito una modifica - da voce straordinaria inserita nei ricavi a tema ordinario all’interno dei bilanci dei club -ma permangono una delle fonti di ricavo maggiormente importanti nel panorama economico-finanziaria delle società.
Ma, innanzitutto, cosa sono esattamente le plusvalenze e come hanno incrementato i ricavi delle società di Serie A?
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La plusvalenza non è semplicemente la differenza tra il valore di cessione e quello di acquisto di un calciatore, bensì si basa sulla differenza tra quanto un club incassa dalla cessione e il valore netto residuo a bilancio del calciatore stesso (calcolato come valore di acquisto meno gli ammortamenti che vengono spalmati su ogni stagione in base al numero di anni di contratto del giocatore, come sottolineato da Calcio&Finanza).
Per fare un esempio, se una società acquista un giocatore per una cifra pari a 10 milioni di euro, facendogli firmare un contratto di cinque anni, tale calciatore avrà un ammortamento annuo di 2 milioni e al termine della prima stagione avrà così un valore netto residuo pari a 8 milioni (che scenderà a 6 dopo la seconda stagione, a 4 dopo la terza fino ad arrivare a 0). In caso di cessione del giocatore dopo il primo anno, con una valutazione di 20 milioni, la plusvalenza che il club potrà iscrivere sarà pari a 12 milioni (20 milioni di valutazione, ai quali vengono sottratti gli 8 milioni di valore netto residuo).
Addentrandoci, nello specifico, al discorso riguardante la Serie A, quanto valgono le plusvalenze per i club della massima divisione italiana? Negli ultimi 10 anni, analizzando i dati in possesso di Calcio&Finanza e i bilanci chiusi ufficialmente (quindi dalla stagione 2013/14 alla stagione 2022/23), le società di A hanno incassato complessivamente 5,4 miliardi di euro dalle plusvalenze, con una media di circa 540 milioni di euro a stagione. Complessivamente, il fatturato aggregato dei club nello stesso periodo è stato pari a 29 miliardi di euro: le plusvalenze hanno, dunque, portato alle squadre italiane il 18,6% dei ricavi complessivi. Una percentuale che è andata a scemare nelle ultime annate, sia per la pandemia vissuta, sia per l’aumento di altre tipologie di ricavi, nonché per una crescente diminuzione delle operazioni in uscita.
Scendendo nei particolari, nel primo anno analizzato, il 2013/14, le plusvalenze valevano il 17,7% dei ricavi per la Serie A: una percentuale salita fino al 24% nel 2016/17, andandosi a stabilizzare sul 23% fino al 2019/20 (in termini economici, i ricavi sono saliti dai 407 milioni del 2013 ai 717,5 del 2020). La pandemia ha poi impattato sui conti dei club, portando a un netto calo delle operazioni per le plusvalenze: furono solo 350 i milioni di euro (11% dei ricavi) incassati nel 2021, cifre risalite verso i 570 milioni nell’annata 2022/23. In tale stagione, le plusvalenze hanno rappresentato la terza principale voce di ricavi per i club di Serie A, dietro ai ricavi da diritti tv (42% del totale aggregato dei fatturati) e ai ricavi commerciali (22%) ma davanti ai ricavi da stadio (11%).
Negli ultimi anni, in ogni caso, diversi club di Serie A, come analizzato da Calcio&Finanza, sono riusciti a ritoccare i propri primati legati alle plusvalenze. Leggasi le operazioni Lukaku, Hakimi e Onana per l’Inter, Tonali per il Milan, Hojlund per l’Atalanta. Ma le plusvalenze più alte, in realtà, sono state registrate in altri casi (LEGGI QUI LA TOP 10 DEGLI ULTIMI 10 ANNI).