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Perché Tavecchio non può essere lodato nemmeno oggi
Questo secondo noi è un modo strabico di guardare ai fatti, perché tutto quell’insieme di insulti e folli considerazioni su omosessuali, ebrei, neri e donne, devono stare al primo posto quando si ricorda Carlo Tavecchio, per non farci dimenticare chi fosse veramente.
Opti Poba non deve farci ridere neanche se sono passati quasi 10 anni. Deve indignarci come e più di allora, perché era il presidente del nostro calcio a pronunciare quelle frasi e poco importa che sia morto. La morte spesso monda colpe e peccati, ma i fatti restano e quelle vergogne anche. Cui poi ne sono seguite altre, in pubblico e in privato, manifestazioni reiterate di misoginia e razzismo.
Per fargli lasciare la federcalcio, che così poco distintamente ha guidato per 3 anni, c’è voluta l’eliminazione dal Mondiale 2018, che peraltro lui per primo aveva causato, promuovendo sulla panchina dell’Italia l’impreparato Ventura. Se il nostro calcio è ridotto com’è oggi è anche grazie a Carlo Tavecchio, per questo non si capisce bene cosa intende Malagò quando dice che «a Tavecchio va riconosciuto un grazie enorme». Di cosa presidente? A meno che non fosse ironico, ma non sembrava.
A 77 anni, Carlo Tavecchio era tornato a guidare un ente federale, i dilettanti della Lombardia, la sua regione, perché non sapeva rinunciare al potere: un ruolo onorario gli stava troppo stretto, forse perché di onorevole nei suoi 3 anni da presidente c’era stato ben poco e magari lui lo sapeva. Gli altri no, e le società l’hanno votato. Mah…
Sempre Malagò, ricordando Tavecchio, lascia intendere, senza citarli, di accostare questo lutto ad altri recenti nel mondo del calcio. Per cortesia: se è vero che siamo tutti uguali davanti a Dio, non lo siamo sicuramente in terra. E allora, d'accordo sul minuto di silenzio che si deve a un ex presidente federale. Ma poi: anche basta, per favore.
@GianniVisnadi