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    Napoli-Osimhen: braccio di ferro in cui hanno perso tutti, ma il nigeriano un po' di più

    Napoli-Osimhen: braccio di ferro in cui hanno perso tutti, ma il nigeriano un po' di più

    • Simone Eterno
    Aurelio De Laurentiis può stare o non stare simpatico. Non è un uomo facile, il presidente del Napoli. Nessuno, tra chiunque ci abbia avuto a che fare, lo descrive come tale. Anzi, i racconti - più o meno edulcorati - ne delineano francamente l'opposto. Ma è un uomo di risultati. Per lo meno nel calcio, laddove noi siamo chiamati a giudicare. 

    Come presidente del Napoli, De Laurentiis è sostanzialmente indiscutibile. Affermare il contrario sarebbe mala fede; altrimenti non si potrebbe definire qualcuno che ne giudicasse l'operato complessivo negativamente. ADL ha preso il Napoli al punto C, dove 'C' stava per 'Serie', e l'ha portato al punto A, dove 'A' sta per 'Serie', ma anche 'Scudetto' e 'presenza costante per 14 anni consecutivi nelle coppe europee'. Si poteva fare meglio? Forse, non è dato saperlo. Si era fatto peggio prima lui, o si poteva far peggio più in generale? Senza dubbio. 

    E così, in un'estate complicata, De Laurentiis - e i suoi collaboratori - sono riusciti a uscirne con un colpo di spugna anche dalla telenovela Osimhen. E non era facile. Se infatti resta senza dubbio discutibile tutta la prima parte della vicenda, il finale - per il Napoli - rappresenta, nella metafora calcistica, il più classico dei 'salvataggi in corner'. 

    A lungo a Napoli si è cercato di capire cosa farsene di Victor Osimhen. Antonio Conte, all'arrivo, era stato avvisato: "Faremo tutto il possibile per Kvara e Di Lorenzo, ma Osimhen non lo considerare". E così Conte non ha fatto. Una preparazione da cui il nigeriano è quasi subito scomparso dai radar, escluso ed autoesclusosi con la più classica presa di posizione del "io da qui vado via, ho già un accordo". Un giochino che abbiamo visto spesso funzionare nel calcio, con il giocatore alla fine accontentato nella sua volontà. L'ultimo caso, Teun Koopmeiners.

    Il discorso più ampio dell'intera vicenda, però, qui è un altro. Bisogna saper fare la guerra. Bisogna avere la strategia. E bisogna conoscere bene anche il proprio avversario. E la sensazione che qualcosa sia andato storto per Osimhen nella valutazione di questo trittico, ce lo dice il risultato finale: Victor Osimhen questa stagione la giocherà in Turchia. Non al Chelsea. Non al Manchester United. Non al PSG. Ma al Galatasaray, club glorioso sì ma fuori dal 'centro del mondo' calcistico, specie se consideriamo che in questa stagione la dimensione europea dei turchi sarà l'Europa League

    E tutto sommato al nigeriano è andata anche di lusso. Sì perché per come a fine agosto si erano configurate le cose, le prospettive erano anche peggiori. Due opzioni. Passare un'intera stagione seduto sul divano, con quel che ne consegue. Oppure andare a fare il pensionato in Arabia Saudita, con un sacco di soldi sì ma con l'altrettanta certezza di aver chiuso un certo tipo di carriera a soli 25 anni. Non proprio il massimo per uno che, stando alle parole di chi gli gestisce la procura, Roberto Calenda, "non è un pacco da spedire lontano". 

    Di ambizione, dunque, nel giocatore, continua a rimanerne. Non si capisce dunque il perché si sia finiti a fare la guerra, con Aurelio De Laurentiis, senza nulla di reale in mano. Perché questa è la verità e lo sviluppo finale delle cose la sbatte in faccia a tutti: Osimhen non aveva niente mano. O meglio, aveva un accordo per il suo stipendio, ma non un club disposto a pagare - o per lo meno avvicinarsi - a quella clausola da 120 milioni di euro che era poi il prezzo fatto al mercato da ADL al momento del rinnovo dello scorso anno. 

    Ad avere il coltello dalla parte del manico era in fondo Aurelio De Laurentiis. E, dopo una stagione fallimentare come quella dello scorso anno, chi avrebbe dovuto giocare con più astuzia sarebbero dovuti essere il giocatore e i suoi rappresentanti. Invece Osimhen è andato allo scorso senza un club disposto a lottare con lui. Koopmeiners aveva la Juventus e un'offerta alla fine vicina a quella richiesta dall'Atalanta. Osimhen non aveva nessuno. 

    Così, è stato il nigeriano a trovarsi col cerino in mano, messo in 'scacco' in qualche modo dall'ultima giocata di De Laurentiis: arrivare in ogni caso a Lukaku a prescindere dalla sua cessione. Perché quella alla fine è stata la chiave. Senza il belga in squadra e con Osimhen fermo a Napoli, probabilmente avremmo visto il più classico degli riavvicinamenti. "No no ci avete frainteso", "no no sono i giornalisti che hanno messo in giro le voci". E poi il nigeriano reintegrato in gruppo per una stagione magari scintillante sotto Antonio Conte. Ma con Lukaku arrivato alla corte del suo amato Antonio Conte, il titolare è diventato il belga a prescindere anche da un pentimento e da un ritorno di Osimhen sui propri passi. 

    Così è arrivata la Turchia. Perché la Turchia alla fine era l'unico compromesso disponibile tra il rimanere fermo o il finire nel deserto insieme agli altri (ex) giganti di sabbia. Qui dentro, appunto, il colpo di spugna, il salvataggio in corner di ADL: rinnovo del contratto per un anno extra - fino al 2027 - e ingaggio interamente a carico del Galatasary. Nella speranza che, l'estate prossima, con una stagione che magari avrà riportato il Napoli in Champions e una in Turchia che magari avrà rilanciato Osimhen agli occhi d'Europa, De Laurentiis troverà qualcuno disposto ad avvicinarsi a quei 120 milioni (o qualcosa in meno di cui si mormora essere la nuova clausola ribassata). O se, invece, dovrà essere di nuovo guerra... beh, allora Osimhen questa volta si scelga un club realmente disposto a combatterla al suo fianco. Da soli, contro ADL, è difficile uscirne vincitori. 

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