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Da Sarri a Baroni: i 90 giorni di caos sulla panchina della Lazio
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DA SARRI A TUDOR - Per molti in realtà i motivi di tutta questa situazione sono ben più lontani nel tempo. L’estate scorsa Sarri, dopo il secondo posto conquistato in campionato, aveva fatto richieste di mercato che la società non ha potuto (o voluto) accontentare. Troppo alti i costi per Berardi, Ricci, Zielinski e le altre prime scelte. “Avevo chiesto A e B, mi hanno portato X,Y e Z” dichiarerà poi nel corso della stagione il tecnico toscano, per giustificare il rendimento deludente in campionato della Lazio. I rinforzi per completare la rosa, non adatta numericamente la stagione precedente alle tre competizioni, arriveranno comunque, ma quasi tutti ad agosto inoltrato e su iniziativa di Lotito (pur avallata dall’allenatore, come piani alternativi). L’annata va come va, al netto di qualche acuto tra Champions, derby di Coppa Italia e saltuarie belle prestazioni. Il malcontento dello spogliatoio si autoalimenta, tra rinnovi di contratto rinviati all’infinito e gestione rivedibile, secondo alcuni, delle rotazioni in campo. I nodi vengono al pettine tutti insieme. E la società sceglie di affidare la guida della squadra al sergente di ferro, Igor Tudor.
MIGLIORAMENTI – Dal 10° posto a -1 da Monza, il tecnico croato risolleva la squadra fino al 7° posto finale. Una sola sconfitta (nel derby di ritorno) e media intorno ai 2 punti a partita. Il miglior rendimento insieme all’Inter. Qualificazione in Europa centrata. La Champions – visto anche il risultato finale in classifica dell’Atalanta – era realisticamente sfumata già da tempo. Le residue speranze però di fatto erano tramontate a Monza col 2-2 subito in pieno recupero. Una partita che aveva intaccato non poco la fiducia dell’ambiente verso le capacità del mister croato. Se le scelte discutibili di gestione dei cambi contro Juventus (in coppa) e Roma avevano comunque qualche attenuante generica dettata dal contesto di un big match da affrontare da subentrante, il finale di partita al Brianteo ha fatto invece riesplodere il malcontento di tutto l’ambiente. In più, la tensione nello spogliatoio era tutt’altro che svanita. Le acredini con Guendouzi e quelle con Luis Alberto si sono manifestate in maniera clamorosa, ma non erano loro gli unici a soffrire parecchio il pugno duro di Tudor. Lo spagnolo ha dato il benservito in diretta TV. Il francese invece a fine anno ha chiesto la cessione se fosse rimasto il croato.
IL NON PROGETTO – In tutto questo, la piazza si interrogava su quale fosse il reale progetto del club. A parole, del ds Fabiani e dello stesso presidente Lotito, l’intenzione era quella di aprire un nuovo ciclo con Tudor, rinnovando la rosa in estate vista anche la probabile partenza di diversi big. Nei fatti, l’incompatibilità tra le esigenze del mister, i giocatori attuali e quelli che la società stava iniziando a sondare sembrava fin troppo evidente. La scelta di un allenatore con dei ben noti trascorsi negativi con uno dei migliori giocatori della squadra era inoltre, per molti, un altro elemento di dubbio sul fatto che non ci fosse in realtà tutta questa chiarezza di idee, al di là delle dichiarazioni di facciata, da parte della dirigenza. E la conferma di questo pensiero diffuso tra tifosi e commentatori vari è arrivata nell’ultima settimana.
DA TUDOR A BARONI – L’addio di Kamada è stato il primo segnale. La conferma del giapponese era letteralmente la principale richiesta che aveva fatto il tecnico. Si era anche esposto pubblicamente. Niente da fare: anche per via del comportamento stesso del calciatore, il club non ha trovato un accordo soddisfacente. Sono seguiti due vertici di mercato ravvicinati nei quali – parola di Lotito – Tudor ha chiesto di cambiare tra i 5 e gli 8 giocatori. La società gli ha risposto che Guendouzi e Rovella sono incedibili e che non avrebbe potuto soddisfare tutte le richieste. Così anche l’ex Marsiglia e Hellas ha alzato i tacchi. E tanti saluti all’idea del progetto di lungo termine, evidentemente mai supportata dai fatti. L’esasperazione della piazza è arrivata al culmine però nelle ultime 72 ore. Quel “Non so nulla delle dimissioni” pronunciato da Lotito poco dopo che si era diffusa la notizia delle intenzioni di Tudor è stata la controprova del pressappochismo nella gestione della Lazio, di cui lo si accusa da tempo immemore. È seguita la ricerca in fretta e furia di un sostituto: prima l’improbabile sondaggio per Allegri, come se un grande nome avesse potuto sedare gli animi della tifoseria; poi le voci su un ritorno di Sarri, con in mezzo le candidature romantiche di ex calciatori, amatissimi dai laziali, Klose e Conceiçao. Allenatori diversissimi tra di loro per visione tattica, costi, necessità tecniche e prospettive: una rassegna di nomi agli occhi dei più sostanzialmente casuale. Alla fine la scelta è ricaduta su Baroni. “Uno che tanto si fa andar bene tutto”, è il sunto – molto edulcorato – del pensiero che ha pervaso gran parte dei sostenitori biancocelesti. Il CV di un tecnico abituato a lottare per la salvezza in A non è quello che si aspettavano i tifosi, che parlano di “ridimensionamento” e di “ritorno all’anonimato e alla mediocrità”.
MOTIVI - Lotito ha giustificato così la decisione: “Serve uno fuori dai giri dei soliti procuratori. Serve uno che alleni la squadra, che valorizzi i giocatori”. La dirigenza della Lazio resta infatti convinta che la squadra abbia del potenziale ancora inespresso. Verrà puntellata con nuovi innesti (in particolare in attacco) in estate, ma non stravolta totalmente come avrebbe voluto Tudor (e anche Sarri prima ancora). Quest’ultimo peraltro, secondo il patron, è andato via per colpa dello striscione offensivo che alcuni tifosi hanno esposto contro di lui lunedì sera, fuori dallo Stadio Olimpico e non solo per le divergenze sul mercato. Fatto sta che ora l’avventura di Baroni non parte certo con i migliori auspici. A parte la protesta di piazza (situazione simile a quella del 2016, dopo il caos Bielsa, ndr), i tifosi minacciano di disertare la campagna abbonamenti. Sui social l’hashtag #NoBaroni è virale da due giorni. Non tanto perché ci sia qualcosa contro di lui nello specifico. Anzi, per alcuni è anche ammirevole la scelta di venirsi a giocare la grande occasione della sua carriera in una situazione così complicata. E dei trascorsi giallorossi quando era ancora un giocatore importa davvero poco alla stragrande maggioranza dei laziali (persino un mito come Maestrelli era passato dalle fila della Roma nella sua carriera da calciatore, ndr). Il problema per i contestatori è proprio il ripresentarsi ciclicamente della medesima situazione. Un eterno ritorno del sempre uguale, che annichilisce sistematicamente le speranze dei tifosi di veder la Lazio lottare per un posto tra le grandi, invece di galleggiare là dove si trova ora.