Addio a Cossutta, comunista e interista
Cossutta, profondamente fedele ai segreti che custodiva. Lo faceva con eleganza, ironia, naturalezza. Lo faceva muovendo le mani, alzando l’indice della sinistra e quello della destra: “Dici un segreto a un’altra persona? Guarda bene. Metti vicino l’indice della mani. Cosa vedi? Uno e uno, fanno undici. Significa che il tuo segreto già lo sanno undici persone. E avanti di questo passo che razza di segreto sarebbe?”
Raccontava storie così solo se si fidava dell’interlocutore che aveva davanti. Non era diffidente, era parco. Così lo avevano educato. “I comunisti non si abbuffano”. “I comunisti non si ubriacano”. “Se i comunisti vanno a Cascais non si fanno beccare. E se li beccano dicono che sono andati a Estroril. Perché è vero che Cascais è un delizioso borgo sull’oceano, ma è anche vero che qui andò in esilio l’ultimo re d’Italia. E i comunisti non amano gli equivoci”. “I comunisti non vanno a vedere una corrida” e se li beccano (perché Cossutta e Bertinotti vennero beccati) allora s’infuriano come un toro e fanno capire che stanno dalla parte del più debole. Però “i comunisti tifano Inter”.
Chi parlavano con “l’Armando”, di Internazionale e di pallone, finiva con il registrare una singolare sensazione: per il presidente di Rifondazione Comunista il nerazzurro era funzionale al rosso, il colore del partito. E dell’amore. Già su questo punto le divergenze con Fausto Bertinotti, il sindacalista diventato segretario del Prc, furono immediate. nette. “Sono figlio di un tramviere, tifo Milan, è la squadra della Milano operaia, quella proletaria, più povera, i borghesi tifano Inter”, borbottava Bertinotti, senza neppure spostare il sigaro dalla bocca. I comunisti, tanto per iniziare, non cedono al vizio del fumo, non quelli come Cossutta. E sanno che il Milan è la squadra di Silvio Berlusconi, il Cavaliere Nero. “Mica lo era ancora, non quando ho iniziato a tifare per loro, per Rivera, che era figlio di contadini”, ripeteva il segretario. Dettagli, troppe parole in fila. Chiariamolo subito: i comunisti non si giustificano. E hanno una visione ampia, molto ampia. Cossutta, nei suoi abiti “marron”, sotto lenti così spesse da nascondere gli occhi, era un magnifico visionario.
Progettava sogni. Poi li portava avanti con un pragmatismo inarrestabile. Potete non crederci, ma in fondo Cossutta già sapeva che alla fine il Milan sarebbe finito nella mani dell’uomo del Ventennio. E che il Diavolo sarebbe diventato (assai) funzionale alla propaganda dell’allora cavaliere.
A modo suo anche il leader comunista credeva nel potere aggregante dell’Internazionale, calcistica e comunista. In Rifondazione era l’Inter che aveva subito unito il presidente e il "gruppettaro" milanese Ramon Mantovani, l’uomo che consegnò una maglietta degli “interisti-leninisti” a Cossutta, che trascinò tutta la segreteria del partito a quella (benedetta) corrida e che portò pure il leader del Pkk Ocalan in Italia. E quando Rifondazione andò in frantumi, nel 1998, quando qualche interista restò con il milanista Bertinotti, fu l’Inter il pretesto più diffuso per tenere in vita qualche rapporto deteriorato dalle lotte intestine.
Due sere fa, quando la notizia della morte di Cossutta ha iniziato a circolare su Twitter, chi si aspettava solo “cinguettii” vetero(sob)comunisti è rimasto deluso. Tweet: “Grande Cossutta. Ricordo un mitico duello in televisione con Berlusconi.Peccato che in rete non si trova più”. Tweet: “Sarà stato il 1997, forse il 1998”. Tweet: “Grande l’Armando, riuscì a sostenere che l’Inter aveva vinto molto di più rispetto al Milan”. Compagni, sognare non costa nulla.
E i leader sono fatti così, “obliqui al quotidiano”. Lo diceva un militante, davanti alla telecamera di Nanni Loy. Lo diceva con l’Unità in mano e le lacrime negli occhi. Tanti anni fa, ai funerali di Enrico Berlinguer.
Giampiero Timossi