Milan, tutti i retroscena del caso Leao: è più colpa sua o di Fonseca?
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Sempre e comunque destinato a far discutere. Sempre e comunque al centro del dibattito, senza che al termine di questo emerga una risposta chiara e univoca. Rafael Leao può ancora pensare di diventare un campione affermato con la maglia del Milan? E se no, la colpa è tutta sua o c'è dell'altro? L'ultima esibizione in campionato contro la Fiorentina, nella quale la sua uscita dal campo è coincisa di fatto con la sconfitta per mano di Gudmundsson e compagni, non ha contribuito a risolvere il dilemma. Quanto l'attaccante portoghese ci ha messo e ci sta mettendo più in generale del suo e quanto le sue difficoltà ad essere quel leader tecnico, sul quale il club rossonero sta investendo tempo e denaro, sono frutto delle incomprensioni tattiche e umane col connazionale Paulo Fonseca?
Un inizio di stagione stentatitissimo per tutto il Milan, la brutta figura sfiorata contro Torino e Lazio e quella conclamata col Parma, avevano imposto all'ex allenatore del Lille un drastico cambio di registro, dal punto di vista del sistema di gioco e soprattutto degli interpreti. Le criticità mostrate nel raggiungere un equilibrio di squadra, complici le peculiarità dei giocatori messi a disposizione dalla società, hanno portato ad una rivisitazione ancora più osé del 4-2-3-1 delle prime giornate di Serie A, con Morata al posto di Loftus-Cheek, un'altra punta centrale come Abraham in avanti e la richiesta a Leao e Pulisic di essere “uni e trini”. Disposti a dare l'esempio a tutti gli altri, facendo ovviamente la differenza dal punto di vista della produzione offensiva ma sacrificandosi pure in copertura per dare l'adeguata protezione a centrocampo e difesa. Una missione realizzabile solo a patto che concorrano due aspetti: una condizione fisica ottimale e una ferrea motivazione nel portarla al termine. Ciò che è avvenuto nei 90 minuti del derby vinto contro l'Inter e quello che gradualmente è andato sparendo nelle partite successive.
Concentriamoci in particolare su Rafa Leao, giocatore che per predisposizione mentale è quello meno portato ad un certo tipo di lavoro. La partita contro la Fiorentina è stata una delle meno deludenti, nelle ultime settimane, da parte del numero 10 rossonero e, seppur a fasi alterne, una delle più applicate in relazione al lavoro difensivo. Poi però ci sono dei numeri – fonte Sofascore – relativi alla prestazione offensiva di un giocatore che, nei suoi periodi di maggiore ispirazione, ha dimostrato di saper essere tra i più decisivi dell'intera Serie A. In 73' minuti, tocca 35 palloni, prova 19 passaggi (14 dei quali completati positivamente), effettua un passaggio chiave e due cross; calcia un due occasioni verso la porta avversaria, completa tre dribbling e perde 7 possessi. Nessun gol e nessun assist. Capite bene che per un attaccante è poco, anzi pochissimo, praticamente niente. Come se le esigenze tattiche imposte da Fonseca finissero per depotenziare Leao in quello che sa fare meglio.
C'è poi un altro aspetto da evidenziare: dopo appena 8 minuti dall'inizio del match col “Franchi”, fa ammonire il suo dirimpettaio, il brasiliano Dodò. Ebbene, da quel momento in avanti non solo l'ex Shakhtar vive una serata di relativa tranquillità e non rischia praticamente mai il secondo giallo al cospetto di un cliente scomodo come Leao, anzi. Si concede pure il lusso di rimanere in campo fino alla fine, a differenza del suo avversario, e giocando una partita quasi costantemente sull'offensiva. Come si spiega tutto ciò? Con due considerazioni: la prima, il Milan non lo ha cercato e coinvolto con la necessaria insistenza – proprio alla luce del missmatch che avrebbe potuto crearsi nella sua zona di campo – la seconda, lo stesso Leao non ha fatto abbastanza per prendersi la squadra sulle spalle e provare a ribellarsi al destino di una partita che sarebbe stata poi persa con l'ennesimo errore di superficialità (Tomori scavalcato dalla traiettoria di un rinvio da fondo campo di De Gea).
Sono due dunque i problemi che in questo momento sembrano limitare ed offuscare un talento che non scopriamo oggi esserci, ma che per svariati motivi non è sfruttato a dovere. Un problema tecnico, che attiene anche alla sfera dell'intesa umana con Paulo Fonseca, con cui – tra l'episodio del cooling break di Roma e alcuni cambi maldigeriti – il feeling non esiste; un problema poi di atteggiamento, ascrivibile esclusivamente al calciatore. Il linguaggio del corpo del Leao di questo primo scorcio di stagione parla chiarissimo: non c'è entusiasmo, non c'è trasporto emotivo in quello che fa, che si tratti di una rincorsa in più per aiutare il compagno o di assumere l'iniziativa per provare a determinare dove gli riesce meglio, ossia nella metà campo avversaria. Dopo le prime 7 giornate di campionato, un gol contro la Lazio, un assist ininfluente contro il Parma, due contro il malcapitato Venezia e un altro contro il Lecce (per quanto bellissimo) non possono bastare. Allo stesso punto della passata stagione il bilancio recitava 3 reti e 4 passaggi decisivi. Sono numeri e qualcosa – non tutto – ce lo dicono.
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Un inizio di stagione stentatitissimo per tutto il Milan, la brutta figura sfiorata contro Torino e Lazio e quella conclamata col Parma, avevano imposto all'ex allenatore del Lille un drastico cambio di registro, dal punto di vista del sistema di gioco e soprattutto degli interpreti. Le criticità mostrate nel raggiungere un equilibrio di squadra, complici le peculiarità dei giocatori messi a disposizione dalla società, hanno portato ad una rivisitazione ancora più osé del 4-2-3-1 delle prime giornate di Serie A, con Morata al posto di Loftus-Cheek, un'altra punta centrale come Abraham in avanti e la richiesta a Leao e Pulisic di essere “uni e trini”. Disposti a dare l'esempio a tutti gli altri, facendo ovviamente la differenza dal punto di vista della produzione offensiva ma sacrificandosi pure in copertura per dare l'adeguata protezione a centrocampo e difesa. Una missione realizzabile solo a patto che concorrano due aspetti: una condizione fisica ottimale e una ferrea motivazione nel portarla al termine. Ciò che è avvenuto nei 90 minuti del derby vinto contro l'Inter e quello che gradualmente è andato sparendo nelle partite successive.
Concentriamoci in particolare su Rafa Leao, giocatore che per predisposizione mentale è quello meno portato ad un certo tipo di lavoro. La partita contro la Fiorentina è stata una delle meno deludenti, nelle ultime settimane, da parte del numero 10 rossonero e, seppur a fasi alterne, una delle più applicate in relazione al lavoro difensivo. Poi però ci sono dei numeri – fonte Sofascore – relativi alla prestazione offensiva di un giocatore che, nei suoi periodi di maggiore ispirazione, ha dimostrato di saper essere tra i più decisivi dell'intera Serie A. In 73' minuti, tocca 35 palloni, prova 19 passaggi (14 dei quali completati positivamente), effettua un passaggio chiave e due cross; calcia un due occasioni verso la porta avversaria, completa tre dribbling e perde 7 possessi. Nessun gol e nessun assist. Capite bene che per un attaccante è poco, anzi pochissimo, praticamente niente. Come se le esigenze tattiche imposte da Fonseca finissero per depotenziare Leao in quello che sa fare meglio.
C'è poi un altro aspetto da evidenziare: dopo appena 8 minuti dall'inizio del match col “Franchi”, fa ammonire il suo dirimpettaio, il brasiliano Dodò. Ebbene, da quel momento in avanti non solo l'ex Shakhtar vive una serata di relativa tranquillità e non rischia praticamente mai il secondo giallo al cospetto di un cliente scomodo come Leao, anzi. Si concede pure il lusso di rimanere in campo fino alla fine, a differenza del suo avversario, e giocando una partita quasi costantemente sull'offensiva. Come si spiega tutto ciò? Con due considerazioni: la prima, il Milan non lo ha cercato e coinvolto con la necessaria insistenza – proprio alla luce del missmatch che avrebbe potuto crearsi nella sua zona di campo – la seconda, lo stesso Leao non ha fatto abbastanza per prendersi la squadra sulle spalle e provare a ribellarsi al destino di una partita che sarebbe stata poi persa con l'ennesimo errore di superficialità (Tomori scavalcato dalla traiettoria di un rinvio da fondo campo di De Gea).
Sono due dunque i problemi che in questo momento sembrano limitare ed offuscare un talento che non scopriamo oggi esserci, ma che per svariati motivi non è sfruttato a dovere. Un problema tecnico, che attiene anche alla sfera dell'intesa umana con Paulo Fonseca, con cui – tra l'episodio del cooling break di Roma e alcuni cambi maldigeriti – il feeling non esiste; un problema poi di atteggiamento, ascrivibile esclusivamente al calciatore. Il linguaggio del corpo del Leao di questo primo scorcio di stagione parla chiarissimo: non c'è entusiasmo, non c'è trasporto emotivo in quello che fa, che si tratti di una rincorsa in più per aiutare il compagno o di assumere l'iniziativa per provare a determinare dove gli riesce meglio, ossia nella metà campo avversaria. Dopo le prime 7 giornate di campionato, un gol contro la Lazio, un assist ininfluente contro il Parma, due contro il malcapitato Venezia e un altro contro il Lecce (per quanto bellissimo) non possono bastare. Allo stesso punto della passata stagione il bilancio recitava 3 reti e 4 passaggi decisivi. Sono numeri e qualcosa – non tutto – ce lo dicono.
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