
Ecco perché #iostoconMancini
Perché di Sarri, nella serata di ieri, resterà poco, almeno è quello che ci auguriamo. Di quanto ha detto, di queste sue convinzioni già pubblicamente espresse due anni fa, al termine di una sfida tra Empoli e il Varese (“Il calcio è diventato uno sport da froci”), il bravo allenatore del Napoli se la vedrà con se stesso. Credo avrà l'onestà e la sensibilità per riflettere, spero non voglia insistere su quel “sono cose da campo” o magari accodarsi a chi oggi insulta tutto e tutti su twitter parlando pure di un fantomatico progetto per destabilizzare il Napoli.
Quello che invece resterà di una serata particolare sono le parole di Roberto Mancini, il suo orgoglio di “essere come sono”. Non importa se sia stato outing o no, non mi interessa l'orientamento sessuale di Mancini, qualunque esso sia. Mancini ha fatto semplicemente qualcosa che è insieme semplice e immenso. Un gesto unico, perché in Italia nessuno aveva mai avuto il coraggio di farlo. Prima di lui nessun allenatore aveva mai scelto di non parlare di un'importante vittoria, lanciando invece un messaggio di denuncia, civiltà e speranza. Non importa se ne parleranno in tutto il mondo (lo stanno già facendo), se questo “sarà un nuovo colpo all'immagine del calcio italiano guidato da Carlo Tavecchio”. Non importa, anzi è molto meglio così. Sarà un'occasione per crescere. Perché la spontaneità delle parole di Mancini dovrebbero servire a portare avanti una battaglia contro la discriminazione. Parole vere, zero retorica. Questo ha fatto un allenatore, ha strappato un velo d'omertà. Con una sola frase ha messo a nudo il calcio e il Paese. Poi ha detto che “non aveva nessuna intenzione di parlare della partita o d'altro”, si è scusato e se n'è andato. Perfetto. Capito cosa ha combinato? Ha detto pubblicamente: è una vergogna credere che l'omosessualità sia un insulto. Pare ci sia ancora chi non è d'accordo. Italia, notte del 20 gennaio, anno 2016.
