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    Carnevale e il femminicidio della mamma: "Raccolsi il suo cervello e lo portai ai carabinieri che non intervennero"

    Carnevale e il femminicidio della mamma: "Raccolsi il suo cervello e lo portai ai carabinieri che non intervennero"

    • Redazione CM
    Andrea Carnevale racconta una tragedia famigliare. Il dirigente dell'Udinese, ex attaccante anche di Napoli e Roma oltre che della Nazionale ai Mondiali di Italia '90, aveva 14 anni quando sua madre fu uccisa in casa a colpi di accetta dal padre di Carnevale, detenuto per 5 anni in un manicomio criminale e poi suicidatosi davanti al figlio nella stessa casa dopo averlo aggredito. 

    Carnevale ricorda in un'intervista al quotidiano torinese La Stampa in edicola oggi: "I segnali c'erano tutti, perché mio padre, che era tornato a casa dopo un anno passato a lavorare in Germania come operaio nelle ferrovie, ha cominciato a mostrarsi sempre più strano e spaesato, e poi a picchiare nostra madre davanti a noi, anche mentre cenavamo insieme la sera. Poteva farlo in qualsiasi momento. Andai dai carabinieri più volte per sentirmi dire che se non vedevano il sangue non potevano farci niente. A casa c'era sempre un clima di terrore, perché da un momento all'altro diventava violento, soprattutto verso mia mamma, che subiva questi scatti d'ira. Per anni mia madre ha preso schiaffi e botte davanti a noi". 

    "Il mio era un paese piccolo (Monte San Biagio in provincia di Latina, ndr) e c'era senso di vergogna, oltre alla paura di mia madre che mio padre venisse a saperlo. Si teneva un po' tutto nascosto. Mia mamma era una donna per bene, ma mio padre si era fissato con l'idea che lo tradisse, una pazzia che si verifica anche oggi. Eppure il maresciallo, in caserma, fu capace di dire che finché non vedeva il sangue non poteva intervenire. Una mattina mio padre si è svegliato, ha preso l'accetta ed è andato ad ammazzare mia madre mentre stava lavando i panni al fiume vicino casa. Una delle mie sorelle era presente, io stavo giocando a pallone lì vicino. Ho raccolto il cervello di mia mamma nel fiume e l'ho portato alla caserma: “Hai visto che poi è successo?”, ho detto al maresciallo. “Quante volte sono venuto qui, adesso il sangue lo vedi”. Oggi però non ho rancore per nessuno: mio padre era un uomo malato che non è stato curato". 

    "La mia fortuna è stata che mi sono dato da fare in tutto quello che potevo, anche perché eravamo due fratelli e cinque sorelle, tutti molto giovani, e volevo aiutare. Lavoravo di giorno e mi allenavo di sera, dato che giocavo già a calcio e la mia famiglia era povera. Ho fatto di tutto: meccanico, fabbro, operaio in segheria. La tragedia non mi ha spezzato moralmente, ho chiuso dolore e rabbia dentro un forziere e li ho usati per darmi forza. Bisogna cercare di reagire, anche se è dura, molto dura. Quando mia madre è stata uccisa mi sono messo a testa bassa e sono andato avanti nonostante il dolore, il mio obiettivo era diventare un calciatore e sapevo già che ce l'avrei fatta". 
     

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