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    Tutti i segreti del Burnley ammazzabig. La 'old-school' sfida il mago Guardiola

    Tutti i segreti del Burnley ammazzabig. La 'old-school' sfida il mago Guardiola

    • Matteo Quaglini
    Una classica storia da calcio inglese. Nei giorni in cui Mourinho e Conte tornano alle vecchie care abitudini della polemica, nei giorni in cui l’Arsenal conferma il suo bello effimero, nei giorni in cui Guardiola denuncia dopo la Castiglia padrona anche la FA, nasce e cresce la storia del Burnley settimo in classifica in Premier e oggi pomeriggio impegnato in coppa d’Inghilterra contro gli invincibili di Guardiola.

    La storia dicevamo e non la favola. Cosicché in questo racconto inglese di uomini e giocatori ci sia realtà, senso pratico, forza nel superare l’ostacolo, e un po’ d’Inghilterra d’altri tempi e di altre storie. E’ un bene che sia così più che una favola, perché quest’ultime il più delle volte finiscono nell’effimero mentre le storie quelle in ogni caso rimangono e si raccontano, nel tempo.

    Le stesse storie epiche tra contee dell’Inghilterra medievale, quelle che sviluppandosi tra aggiustamenti e ritorni contribuiscono a formare l’idea comune del gioco e anche a dargli un senso. Il Burnley di oggi, fuori dalla retorica del calcio che fu, è la sorpresa della Premier. Per immagini potremmo dire: è i 300 spartani contro l’immenso esercito persiano delle “Big Five” del calcio inglese, è l’ammazzagrandi scritto tutto attaccato oppositamente per dare l’idea dalla sua spavalderia contro i mammasantissima attrezzati per vincere il campionato più famoso e visto del mondo.

    Una squadra che gioca, come recitava Anthony Hopkins, nell’attimo, cioè con l’istinto della spontaneità come gli aveva suggerito Audrey Hepburn. Guarda caso, e ci perdoni il grande cinema, il cognome alla fine ha un “burn” esattamente come comincia il nome della squadra rivelazione della Premier. Suggestioni e agganci forse improponibili. Ma non è forse il cinema la grande scatola che racconta storie?

    Il Burnley gioca esattamente come la diva aveva suggerito di recitare a Hopkins molto prima dell’oscar del 1992, gioca d’istinto e per questo è spontaneo e vincente. Sì, vincente avete capito o meglio letto bene. Vincente perché nelle prime ventitré partite del campionato è sempre stato in gara anche quando ha perso di misura con l’Arsenal in casa o all’ultimo minuto contro il Liverpool. Vincente anche perché di partite e pareggi con le grandi ne ha fatti, senza timori e paure.

    Alla prima giornata vincendo 3-2 a Stamford Bridge ha fatto intendere a Conte che il “bis” per il suo Chelsea sarebbe stato impossibile, lo 0-1 corsaro a Goodison Park, un campo mitico, ha messo un tassello in più sull’esonero di “Rambo” Koeman, i pareggi contro il Liverpool ad Anfield senza sentire la paura della Kop né il brivido che ti blocca le gambe al momento di You'll Never Walk Alone, e contro il Tottenham hanno ribadito quanto belle ed effimere siano queste squadre. E’ il Burnley con la sua idea di gioco inglese contro lo stile di gioco misto e globale dei suoi più grandi avversari che ha messo a nudo le loro costruzioni difettose, i loro errori, le loro imprecisioni.

    Più vincenti di così si muore, non vi pare? Se una squadra piccola ma dalla storia antica, il Burnley è nato nel 1882, mette tanta pressione e confusione ai corsari di sua maestà la Regina allora vuol dire che ha valori tecnici e morali. E per questo è una storia inglese d’altri tempi, perché ridiscute la modernità del gioco.

    Poi, in questa storia, venne Manchester. L’Old Trafford. Il mito un po’ grigio della migliore squadra d’Inghilterra degli ultimi venticinque anni. Mourinho e la sua ritrovata vena polemica. Il boxing day e le sue cabale. E fu pareggio, con rimpianto. Meno di dieci giorni fa, un buon esempio per capire la partita di oggi con l’altro Manchester, il City. Il Burnley nel teatro dei sogni gioca come sugli altri mitici terreni d’Inghilterra, cioè spavaldo e alla grande. Questo è oltre che un tratto della nostra storia, un dato tecnico: la squadra non ha paura del confronto fuori dalle mura amiche. Significa personalità. E con questa personalità rifila due gol con Barnes e Defour al grande De Gea, il miglior portiere del campionato. Oltre l’ostacolo, ecco cos’è il Burnley. Quella partita in qualche modo Mou e i suoi la ripresero, perché Lingard non sarà Cristiano Ronaldo ma è rapido e sguscia via non più solo fuori casa ma anche tra l’erba amica.

    Quella partita però serve a spiegarci quella di oggi con il City. Intanto la mentalità. Il Burnley giocherà senza paura e abbiamo visto perché. Il calcio inglese della coppa d’Inghilterra è la sintesi perfetta di questa idea di squadra, non quella che gioca perché “tanto non abbiamo niente da perdere” ma quella che matura dentro di sé l’idea dell’impresa e che si giochi all’Ethiad non cambia minimamente questa intenzione, anzi la rafforza.

    Secondo punto lo schieramento. Il Burnley si annuncia con il 4-4-1-1 un classico del calcio nordico d’Inghilterra pre-Premier. Una formazione che non vuole imporre ideologie calcistiche come il City, ma che cerca nella sua tradizione e in quella inglese la sua forza. In porta Pope, che sta sostituendo egregiamente l'infortunato Heaton, numero uno nel giro della nazioane inglese, poi una linea di quattro, a centrocampo c’è l’islandese Gudmundson con Hendrick in appoggio alla punta ex Leeds Wood (o Barnes).

    Calcio “british” puro contro globalizzazione del gioco ispano-inglese. Il City terrà la palla e la giocherà molte e molte più volte dei “pirati” di Dyche, ma questo non sarà un problema per il Burnley. L’idea è quella di chiudere quando il City accelera negli ultimi venti metri, impedirne i triangoli veloci e poi aggredire forte e sugli appoggi di Walters e del vecchio zio Sam. Un piano semplice e spavaldo com’è il Burnley. L’obiettivo è segnare per primi e ribattere colpo su colpo ogni azione degli invincibili di Guardiola. C’è tutto il calcio inglese degli anni ’80 in questa tattica semplice e mortifera.

    Sean Dyche è di Kettering nel Northamptonshire dell’Inghilterra, lo “zio Sam” Vokes è di Southampton e ha giocato nel Wolverhampton, nello Sheffield Utd, nel Bristol e nel Leeds, tutti e due sono l’espressione del cuore duro e puro della cara, vecchia perfida albione. Oggi all’Ethiad proporranno il robusto calcio inglese dalla tattica semplice per sfidare Napoleone-Guardiola e le sue complesse strategie, con il sogno di vincerlo e di ripetere Turf Moor 2016. Di ripetere una storia classica da calcio inglese.
     
    @MQuaglini

     

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