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Toromania: Ventura, prova a lasciare che il Toro faccia il Toro
Giampiero Ventura sbarcò a Torino per l'ultima partita del campionato 2010/2011, come spettatore. Guardò quella Torino-Padova che regalò i play-off ai veneti e vide una squadra, quella di Lerda, completamente allo sbando: “Se anche avessero giocato i cugini dei calciatori avversari, avrebbero vinto lo stesso”, avrebbe detto – con pochissimo tatto – mesi dopo. Ma non aveva torto, e il discorso si poteva facilmente traslare anche sull'ambiente: rapporto tifosi-società ormai imploso, l'isteria come modalità costante, uomini resi fragili dalle paure e dalle sconfitte.
Ha lavorato sulla testa dei giocatori, e l'ha fatto bene; doveva restituire integrità mentale a quello che si poteva definire un paziente affetto da turbe psichiche di una certa gravità, e l'ha curato. Pochi mesi dopo, il suo Torino non sembrava nemmeno parente di quei fantasmi visti in precedenza. Aveva creato una solidità psicologica tale che uno dei tratti caratteristici dei suoi undici era ed è l'impertubabilità: l'atteggiamento con cui si affronta il primo minuto in campo, sempre improntato a una paziente, pazientissima (a volte snervante) ricerca della costruzione del gioco, è lo stesso che si tiene fino al 90' più recupero, e a prescindere dal risultato. Il Toro di Ventura, anche quando è in svantaggio, non perde la testa.
Questo è indubbiamente un bel punto di partenza, ma – come ogni virtù – se portata all'eccesso può diventare un limite. Accade così che il sapersi “non scomporre mai” della squadra possa trasformarsi in un “non sapersi accendere mai”. E' una squadra che non va mai in pressing, non conosce fiammate, preferendo sempre la piatta continuazione del canovaccio. Tale modo di affrontare le battaglie sportive viene inteso da qualche tifoso come un qualcosa molto poco “da Toro”. Ma soprattutto, in certe situazioni e contro certe avversarie è una sorta di “blocco” che paralizza il risultato.
Facciamoci caso: la squadra di Ventura non vince mai contro le “grandi” (Juventus, Roma, Napoli, Inter, Milan), nemmeno in maniera episodica o fortuita. Questo perchè contro formazioni palesemente meglio attrezzate, e in particolar modo se disgraziatamente si passa in svantaggio, non ci sono alternative a fare ciò che il Torino venturiano non sa fare: cambiare il passo, alzare i ritmi, attaccare alla garibaldina. Magari incrementando uno svantaggio (può accadere), ma possibilmente arrivando a quel risultato che in queste circostanze non arriva mai, e magari centrando anche l'impresa. Mister Libidine, se non prova almeno in qualche caso particolare a snaturarsi un po', non manterrà mai, nemmeno in futuro, la promessa – già tradita quest'anno – di vincere un derby.
Ha lavorato sulla testa dei giocatori, e l'ha fatto bene; doveva restituire integrità mentale a quello che si poteva definire un paziente affetto da turbe psichiche di una certa gravità, e l'ha curato. Pochi mesi dopo, il suo Torino non sembrava nemmeno parente di quei fantasmi visti in precedenza. Aveva creato una solidità psicologica tale che uno dei tratti caratteristici dei suoi undici era ed è l'impertubabilità: l'atteggiamento con cui si affronta il primo minuto in campo, sempre improntato a una paziente, pazientissima (a volte snervante) ricerca della costruzione del gioco, è lo stesso che si tiene fino al 90' più recupero, e a prescindere dal risultato. Il Toro di Ventura, anche quando è in svantaggio, non perde la testa.
Questo è indubbiamente un bel punto di partenza, ma – come ogni virtù – se portata all'eccesso può diventare un limite. Accade così che il sapersi “non scomporre mai” della squadra possa trasformarsi in un “non sapersi accendere mai”. E' una squadra che non va mai in pressing, non conosce fiammate, preferendo sempre la piatta continuazione del canovaccio. Tale modo di affrontare le battaglie sportive viene inteso da qualche tifoso come un qualcosa molto poco “da Toro”. Ma soprattutto, in certe situazioni e contro certe avversarie è una sorta di “blocco” che paralizza il risultato.
Facciamoci caso: la squadra di Ventura non vince mai contro le “grandi” (Juventus, Roma, Napoli, Inter, Milan), nemmeno in maniera episodica o fortuita. Questo perchè contro formazioni palesemente meglio attrezzate, e in particolar modo se disgraziatamente si passa in svantaggio, non ci sono alternative a fare ciò che il Torino venturiano non sa fare: cambiare il passo, alzare i ritmi, attaccare alla garibaldina. Magari incrementando uno svantaggio (può accadere), ma possibilmente arrivando a quel risultato che in queste circostanze non arriva mai, e magari centrando anche l'impresa. Mister Libidine, se non prova almeno in qualche caso particolare a snaturarsi un po', non manterrà mai, nemmeno in futuro, la promessa – già tradita quest'anno – di vincere un derby.