Daniele Buffa/Image Sport
Toromania: la bocciatura del mercato
Nel derby contro la Juventus, domenica scorsa, Giampiero Ventura ha mandato in campo i seguenti uomini: Gillet; Maksimovic, Glik, Moretti; Bruno Peres, Vives, Gazzi, Darmian; El Kaddouri; Quagliarella, Amauri. Una formazione collaudata, collaudatissima, e molto ben conosciuta dai tifosi. Da lungo tempo. Già, perchè in effetti un dato che ormai non balza nemmeno all'occhio, tanto ci sono avvezzi gli osservatori, è che appena tre fra gli undici titolari siano stati acquistati sul mercato la scorsa estate: Bruno Peres (che ha colmato la lacuna creatasi di fatto a gennaio con la cessione di D'Ambrosio) e la coppia d'attacco, fisiologicamente nuova dopo il doloroso doppio addio a Cerci e Immobile.
Ormai è consuetudine accada questo, quando si tratta di fare la formazione. In difesa, la prima alternativa è Bovo; a centrocampo, la vera alternativa è Farnerud; e in avanti ecco sbucare per primo Larrondo. Tutte vecchie conoscenze. Sanchez Miňo non ha ancora convinto, così come Martinez; Molinaro ha subìto l'esplosione di Bruno Peres; Benassi gioca solo a sprazzi, Nocerino è sempre fermo ai box, Ruben Perez è ormai ai margini; Jansson è riserva del solo Glik e Gaston Silva deve ancora esordire in campionato. Se non è una bocciature del mercato, poco ci manca, nel momento in cui lo schieramento di partenza è quasi identico a quello dello scorso campionato, con in meno la fantastica coppia-gol divisasi fra Spagna e Germania.
Quella che sta maturando in questo deludente avvio di stagione granata può però essere incamerata come preziosa lezione per il futuro prossimo: meglio spendere qualcosa in più, meglio farlo bene, meglio farlo dove sempre. Una lezione da mettere a frutto prestissimo, nella prossima sessione invernale di trattative, quando molti sono i nomi che circolano intorno al nuovo Toro e urge la necessità di puntare su quelli forti, non sui “piani B” (lettera infausta) che pure vengono paventati. Perchè la quantità – lo si è già visto in passato – non è sinonimo di qualità, e tante volte sarebbe decisamente meglio puntare su un centrocampista di assoluto valore che non su tre o quattro mestieranti, spendendo magari la stessa cifra globale.
Ormai è consuetudine accada questo, quando si tratta di fare la formazione. In difesa, la prima alternativa è Bovo; a centrocampo, la vera alternativa è Farnerud; e in avanti ecco sbucare per primo Larrondo. Tutte vecchie conoscenze. Sanchez Miňo non ha ancora convinto, così come Martinez; Molinaro ha subìto l'esplosione di Bruno Peres; Benassi gioca solo a sprazzi, Nocerino è sempre fermo ai box, Ruben Perez è ormai ai margini; Jansson è riserva del solo Glik e Gaston Silva deve ancora esordire in campionato. Se non è una bocciature del mercato, poco ci manca, nel momento in cui lo schieramento di partenza è quasi identico a quello dello scorso campionato, con in meno la fantastica coppia-gol divisasi fra Spagna e Germania.
Quella che sta maturando in questo deludente avvio di stagione granata può però essere incamerata come preziosa lezione per il futuro prossimo: meglio spendere qualcosa in più, meglio farlo bene, meglio farlo dove sempre. Una lezione da mettere a frutto prestissimo, nella prossima sessione invernale di trattative, quando molti sono i nomi che circolano intorno al nuovo Toro e urge la necessità di puntare su quelli forti, non sui “piani B” (lettera infausta) che pure vengono paventati. Perchè la quantità – lo si è già visto in passato – non è sinonimo di qualità, e tante volte sarebbe decisamente meglio puntare su un centrocampista di assoluto valore che non su tre o quattro mestieranti, spendendo magari la stessa cifra globale.