Schumi, che almeno tu possa sognare!
La professione di "inviato speciale", malgrado ti riduca a un vagabondo, offre molto. Come, per esempio, l'opportunità di spaziare in lungo e in largo ogni angolo dove vi sia qualcosa da raccontare. Per qualche stagione ho avuto l'opportunità di frequentare anche il Circo della Formula 1. Ambiente tutt'altro che semplice, assai più blindato di quello del pallone, dove un certo spionaggio industriale rende ciascun operatore sospettoso e guardingo. Oggi molto più di quanto accadesse nel periodo in cui mi dedicai alle corse. Sono ancora attuali, nella testa, i volti di quei piloti che malgrado tutti i milioni guadagnati girando sui circuiti di tutto il mondo un attimo prima che sul semaforo piazzato sopra le loro teste comparisse la luce verde del "via" mostravano l'espressione che può avere ciascun comune mortale mentre sta per lanciarsi nel vuoto. In palio c'era l'ebbrezza del successo ma anche, incombente, l'odore acido della morte. Per tutti, era così. E capitava. Oggi quasi mai più, per fortuna e per buon senso umano e impegno tecnologico.
Non vidi tornare Ayrton Senna nel paddock. James Hunt accese la sua ultima sigaretta davanti ai box e mi sembrava osservasse un punto lontano. Di Villeneuve ricordo le sue barzellette e gli scherzi che faceva. Alex Nannini spinse sull'acceleratore della sua simpatica follia quando, senza le mani lasciate sul campo di volo, nel letto dell'ortopedia riuscì a ridersi addosso: "E ora come fò con le pugnette?". Gente strana quella del Circo. Gente particolare forse stordita dal rombo dei motori che se per seguire la gara dai box scordi di infilarti i tappi nelle orecchie alla fine del Grand Prix ti ritrovi a dover fare i conti con uno sciame di api impazzite dentro la testa. L'altra faccia del silenzio.
Già, il silenzio. Quello che, da due anni ormai, avvolge come un velo impenetrabili Michael Schumacher. A pari di ciascun sportivo ero in attesa di buone nuove dalla Svizzera. Invece le parole spese da Luca Cordero di Montezemolo sono piombate sull'ottimismo schiacciandolo con la violenza e con la forza di massi dolomitici. "Non va bene, per niente", ha detto l'ex presidente della Ferrari. Una perifrasi gentile per annunciare che è finita e che il re leone delle Rosse rimarrà, da solo, nel mondo nel quale è precipitato quel giorno di neve e di sole a Maribel. Proprio in quell'angolo di madreTerra, della Savoia, dove Deborah Compagnoni urlò di dolore dopo essersi fracassata un ginocchio cadendo a valle sulla pista olimpica di Albertville. Per Schumi manco il privilegio del grido liberatorio e di protesta contro il destino. Cadde, quasi da fermo, e furono subito buio e silenzio. Il pianeta del nulla dal quale potrebbe farlo tornare indietro solamente uno di quei fenomeni che coloro i quali credono chiamano miracoli. Ma Schumi è anche ateo. Non morirà, certamente. Non adesso. Non a breve, anche se è arrivato a pesare cinquanta chili. Sopravviverà il suo corpo, ma soltanto quello, come un'irriverente statua vivente a fare il verso al monumento che lui era diventato per davvero dopo aver smesso di correre perché "Ho una famiglia e non voglio più correre il rischio di rimetterci la vita". Diceva proprio così, senza più la tuta addosso e la monoposto con il motore acceso in attesa di essere posseduta. Nessuno può sapere, neppure i medici, se dove si trova adesso Michael possa sentire, vedere, pensare. E' difficile, improbabile, forse impossibile. Ma se in questo assurdo universo esiste un senso alle cose, allora che ci sia qualcuno o qualcosa che permettano Schumacher almeno di poter continuare a sognare.