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    Sampmania: vi auguro di trovare il vostro Flachi

    Sampmania: vi auguro di trovare il vostro Flachi

    • Lorenzo Montaldo
    Quelli della generazione fine anni ‘80 - primi anni '90 hanno vissuto un periodo molto strano della storia della Sampdoria. Per loro forse è ancora più difficile accettare l’attuale declino e la mancanza di ambizioni del club con cui sono cresciuti. Questo perchè i trenta-trentacinquenni di oggi sono nati quando la Samp era in cima all’Italia e in cima all’Europa. Vogliamo paragonarla al Liverpool di oggi? Nei primi anni di vita si sono formati coltivando l’idea di tifare una squadra invincibile, fatta di gente che non poteva perdere mai e guidata da un presidente capace di comprarti Gullit e Platt nella stessa estate. Per i trentenni di oggi, che la Sampdoria fosse la più forte di tutte era la normalità, non l’eccezione.

    Quelli un po’ più grandi si innamoravano di Vialli e Mancini, di Vierchowod e Lombardo, e se li godevano al top della forma e delle loro possibilità per otto, dieci campionati. Bastavano una decina di anni in più. Io invece faccio parte della tornata immediatamente successiva. Ho trent’anni, la prima partita allo stadio l’ho vista nel 1993-1994 (a 4 anni, prima le guardavo solo alla tv) e anche io mi sono innamorato di uno dei protagonisti dello Scudetto: Pagliuca, il portiere che parava tutto e a cui era impossibile fare gol. E’ stato il mio primo amore calcistico, il giocatore che ho fissato per tutto il tempo durante la mia prima volta al Ferraris. E’ durato poco, l’anno dopo Pagliuca andò all’Inter. 

    Un bambino, però, ha bisogno di idoli nella propria squadra del cuore, e li cerca disperatamente. Uno ho creduto di averlo trovato in Mihajlovic. Ecco, quello è stato il giorno in cui ho perso l’illusione per il pallone: “Compriamo la maglia di Mihajlovic?” “No, di Mihajlovic no, se ne va. Prendila di un altro”. Ma come? Mancavano dieci partite alla fine del campionato, e già si sapeva che quel serbo con la faccia dura e che tirava sassatae da qualunque posizione non sarebbe più stato a Genova entro pochi mesi? Sì, proprio così. “Prendila di Montella”. Per un attimo, grazie all’Aeroplanino ho pensato di avere davanti un nuovo Pagliuca. E’ durato solo una stagione di più rispetto a Miha. In Serie B mi sono appassionato a Vasari, onestissimo dribblomane tutto tecnica. Storia breve, più un flirt. A quel punto, a undici anni, ero già un tifoso disilluso dal calcio, passato da una finale di Coppa Campioni a Sampdoria-Fermana in meno di un decennio, per di più in piena fase formativa. Capite cosa intendo, quando dico che per quelli della generazione ‘80-’90 il declino è stato tremendo da digerire? Parlando calcisticamente, un bambino certe cose non dovrebbe mai viverle.

    Come in tutte le storie che si rispettino, però, è qui che spunta l’eroe. Anzi, in questo racconto di eroi ne troviamo due. Uno è un signore che ora non c’è più: faceva il petroliere, fumava il sigaro e mi ha permesso di continuare ad avere una passione calcistica. L’altro invece oggi compie gli anni. Quarantacinque, per la precisione. Dico la verità, quando arrivò alla Samp non lo notai subito. Era un ragazzino uscito dalla Fiorentina, giocava poco e a singhiozzo. Che fosse bravino te ne accorgevi, ma Ventura non lo vedeva poi molto. Abbiamo cominciato a dire: “Però, non male quel Flachi” soltanto un anno dopo. Anche perché 17 gol non passano inosservati. A quel punto, Francesco era già Francesco. Segnava e correva come un pazzo, togliendosi la maglia davanti ad una Gradinata che lo aveva adottato all’istante. La sublimazione della storia d’amore, però, risale alla stagione dopo. Per quanto mi riguarda, posso citare perfettamente pure l'istante esatto. 

    Gennaio 2002, Sampdoria-Salernitana, una di quelle partite brutte, sporche cattive, quelle che non vorresti mai vedere, perché il Doria lottava sull’orlo di un precipizio oscuro e spaventoso di nome Serie C. Risultato 1-1 dopo un’ora di gioco. Cross dalla destra, nemmeno so di chi. Ricordo distintamente di aver visto Flachi prepararsi, andando incontro al pallone spalle alla porta. ‘Cosa fa, perchè ci va così?’. Da lì, il vuoto. Non ho più tracce dei secondi immediatamente successivi alla rovesciata. D’altra parte qualcuno di voi si ricorda cosa ha pensato nell’attimo esatto di un colpo di fulmine? Sedici anni dopo, nel 2018, mi sono ritrovato al telefono con quel tizio di cui mi ero innamorato a inizio millennio. Parlare con il grande amore calcistico è un’occasione che tutti dovrebbero avere, almeno una volta nella vita. A quel punto non potevo non chiedergli quale fosse stata la sua rovesciata più bella. Indovinate quale è stata la risposta immediata? “Quella con la Salernitana, senza dubbio. Per l’importanza, per il momento, per tutto”. Per poco non mi metto a piangere.

    Sapete però perché, per quelli della nostra generazione, Flachi resterà unico? Non per le rovesciate, non per i milioni rifiutati dal Monaco, quando la sua carriera poteva prendere un’altra piega. E nemmeno per i gol in Serie A, o per la crescita direttamente proporzionale a quella della sua Sampdoria, su e poi su, fino alla Nazionale. E neppure per gli errori che lo hanno reso, per quanto mi riguarda, persino più simpatico. No, niente di tutto questo. Flachi, per i trentenni di oggi, resterà unico perché ci ha restituito il desiderio di comprare una maglia della Sampdoria con un nome dietro. Per questo motivo auguro a tutti voi, di cuore, di trovarvi il vostro Flachi. Io il mio ce l’ho, e me lo tengo bello stretto.

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