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    Sampmania: quella volta che sono stato d'accordo con Ferrero

    Sampmania: quella volta che sono stato d'accordo con Ferrero

    • Lorenzo Montaldo
    Alt. Fermi tutti. Prima di rivoltarvi, cominciate a leggere. Posso dire che mi capita davvero molto raramente di essere d’accordo con le affermazioni di Massimo Ferrero. Anzi, probabilmente chi legge i Sampmania da qualche tempo sa che la mia opinione personale quasi sempre cozza con quelle che sono le uscite, le dichiarazioni e le decisioni del numero uno blucerchiato. Tanto per rimanere in tema, ho trovato estremamente populista e inappropriata la frase sui tagli agli stipendi dei politici. Quell’originale pensiero lo ha formulato più o meno chiunque, siamo tutti d’accordo in linea di principio, e ugualmente siamo consapevoli del fatto che non si tratti della soluzione per evitare il baratro che si apre di fronte all’Italia. Anzi, pensate un po’, io sarei persino propenso a pagare bene un buon politico, se lavorasse di conseguenza: la professionalità va retribuita, i grandi manager costano tanto e producono soluzioni efficaci in maniera direttamente proporzionale al loro salario. Se questo concetto fosse traslato allo Stato, sarei soltanto felice di corrispondere un emolumento adeguato ad dirigente capace ed efficace. Ma non divaghiamo.

    Dicevamo, mi sono trovato particolarmente sorpreso nell’ascoltare le dichiarazioni rilasciate dal Viperetta in merito al possibile futuro della Serie A, perchè è all’incirca anche il mio pensiero. Credo cambino le premesse, Ferrero tutela il suo interesse personale e quello delle sue società, ma il risultato è lo stesso. Ritengo che ripartire con questa Serie A, arrivando ad un finale sciatto, forzato e innaturale, sia una scelta tremenda sotto tutti i punti di vista. Comprendo pienamente l’importanza della questione dal punto di vista economico, le difficoltà organizzative e di bilancio, ma la situazione descritta da Ferrero è tutt’altro che poco realistica. “Facciamo un’ipotesi, ci danno un mese di preparazione dal 4 aprile, arriviamo al 4 maggio: dovremo fare dodici partite. Arriviamo ad agosto. Che succede col campionato successivo? E con gli Europei?” ha detto il Viperetta. Sono d’accordo, anzi, credo che le tempistiche saranno ben più dilatate rispetto alla previsione del numero uno blucerchiato. 

    Il mio ragionamento non dipende tanto dalla posizione in classifica della Sampdoria, che peraltro era in enorme difficoltà e probabilmente avrebbe dovuto soffrire sino all’ultimo minuto per salvarsi (e non è detto che ci sarebbe riuscita). Ad oggi la Samp è legittimamente fuori dalla zona rossa, quindi il mio ragionamento prescinde da valutazioni utilitaristiche che, concedetemelo, in tempi di serrata forzata e coprifuoco mi interessano quanto una lezione sul ricamo a punto croce. Lo farei ugualmente anche con il Doria penultimo. Cercate di leggerlo dissociando la mia firma dalla parola ‘Sampdoria’, solo per questa volta. 

    Che credibilità avrebbe un finale di campionato artefatto e disorganizzato, concluso in fretta e furia per non perdere entrate e diritti tv, giocato a porte chiuse in cattedrali deserte mentre fuori dagli stadi la gente soffre e se ne strafrega della Serie A? La frattura tra l’irreale mondo del pallone e quelli che dovrebbero essere i suoi piccoli azionisti, ossia i tifosi, è ampiamente preoccupante di suo, non rendiamola definitivamente insanabile. Il calcio già oggi è lontano anni luce dalla gente comune, e questo non cambierà mai più: non rendiamolo pure più antipatico, sarebbe un clamoroso autogol. 

    Un torneo a 22 squadre l’anno prossimo sarebbe probabilmente la soluzione ideale, ma credo che la soluzione play off e forse persino play out, magari tra qualche mese, non vada esclusa a priori. Anzi, temo che rappresenti il perfetto punto di incontro tra interessi di squadre, televisioni e Lega. Potrebbe consentire di assegnare piazzamenti e trofei, come se a qualcuno importassero, stabilendo anche promozioni e retrocessioni in Serie B facendo recuperare qualcosa a chi ha investito milioni e si ritrova uno spettacolo monco. Perché sì, ‘show must go on’, ma non sempre. Ho paura che alla fine, nel paese del cerchiobottismo, sarà questa la scelta finale. Nel frattempo però resta solo una gran sensazione di tristezza e squallore di fronte alle lotte di potere, guidate dai più biechi e piccoli interessi personali, in seno a quell’assemblea di club che di rendersi un po’ più simpatica, ai semplici fruitori del prodotto finale, proprio non ci pensa.

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