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Sampmania: cronistoria di un pomeriggio alla 'The Walking Dead'
Partenza ore 13.55: pieno come un tacchino dopo aver ingollato circa due etti di pastasciutta, mi sono messo in macchina dall’entroterra genovese. Al casello di Bolzaneto sembrava di essere precipitato dentro ‘The Walking Dead’, o in una qualunque serie tv post apocalittica. Non ho incontrato neppure una macchina, nemmeno l’ombra, ve lo giuro. Probabilmente perchè erano tutti a Boccadasse in spiaggia.
Ore 14.25: arrivo e posteggio a trenta metri dallo stadio. Mai durato così poco il viaggio. E’ evidentemente l’unico aspetto positivo delle varie misure limitative. Ritiro l’accredito speciale, bevo un caffé per evitare l’abbiocco post pranzo, in un bar solitamente inavvicinabile e in questo caso desolatamente vuoto. Nel piazzale antistante lo stadio sento distintamente gli uccellini cinguettare, nemmeno sapevo ci fossero a Marassi, mai notati tra rumori d’auto, clacson e voci dei tifosi.
Ore 14.45: mi infilano un termometro nelle orecchie al tornello. Poteva andarmi peggio. Entro, mi ero preparato all’impatto con il Ferraris, ma così giuro non me lo aspettavo. C’è la stessa atmosfera che ritrovi in una gigantesca cattedrale vuota. La lettura delle formazioni rimbomba in maniera innaturale e mi rendo conto che, proprio come in chiesa, anche in tribuna più o meno inconsciamente i venti-trenta giornalisti presenti parlano a voce sommessa.
Ore 15.00: inizia Sampdoria-Verona, ed è stranissimo. Lo vedi che i giocatori l’hanno presa come una partita vera, ma nel contempo ti accorgi di tanti piccoli particolari che di solito ti sfuggono. Finalmente capto chiaramente cosa si dicono nel cerchio che formano prima di ogni partita: 'Bisogna crederci sempre, non mollare un c...o' ". Noti come gli allenatori teleguidino letteralmente i calciatori, Ranieri in particolare si concentra a dare indicazioni a Tommy (Augello), a Fabio (Depaoli) e a Kuba (Jankto). Ti saltano agli occhi tanti aspetti che di solito si perdono all’interno del frastuono di uno stadio, ad esempio gli urlacci di Audero, rivolti in continuazione a tutta la difesa. Il reparto però lo guida Yoshida, che dopo un mese e mezzo a Genova si esprime già in italiano e di personalità sembra averne a pacchi. Quagliarella, Tonelli e Ekdal invece sono più leader silenziosi, parlano meno ma nessuno fiata quando la palla ce l’hanno loro. Ranieri in avvio è molto pacato. Però non è ieratico e tranquillo come nelle conferenze: spesso alza la voce, specialmente quando si rende conto che la squadra, passata la tensione dei primi minuti, sta inconsciamente prendendo la partita come una sorta di amichevole.
Ore 15.45: i trenta ‘fortunati’ che stanno seguendo dal vivo Sampdoria-Verona sono affranti. Il Doria del primo tempo non ha creato neppure un’occasione, arriva sempre in ritardo sulle seconde palle, e viene preso d’infilata dal Verona. Di Amrabat sembrano essercene due, Gunter e Rrhamani non sbagliano un intervento, e Zaccagni ha già fregato Audero, ancora una volta troppo statico sulla linea di porta. Nel frattempo il Genoa vince 0-2 a Milano, e la Spal ha battuto il Parma. Manca solo la pioggia di meteoriti.
Ore 16.15: Ranieri tira fuori dal cilindro un cambio di modulo che restituisce spessore al centrocampo blucerchiato, ma soprattutto tira fuori - dal campo - Vieira e Gabbiadini, oggi entrambi zombie, giusto per rimanere in tema The Walking Dead. E’ una scelta che paga, perchè Linetty ridà linfa al centrocampo e Bonazzoli entra con la voglia di spaccare in due il mondo. I suoi movimenti scollano dal corpo di Quagliarella l’asfissiante pressing dei tre moschettieri di Juric, e appena Rrhamani concede un po’ di lasco al numero 27, San Fabio da Castellammare lo frega. Qualcuno accenna un applauso, ‘qualcuno’ (io) va un po’ oltre.
Dalle 16.30 in poi: succede di tutto. Il Var non funziona, poi torna in azione e segnala un rigore. Sempre ‘qualcuno’, nel silenzio della Cattedrale deserta, si lascia andare quando Quaglia butta dentro il 2-1 con quel rigore che pesa una tonnellata. Dopo arrivano, nell’ordine, un’espulsione revocata, dieci minuti al cardiopalma e alla fine un grande, gigantesco sospiro di sollievo. Ve lo giuro, dalle 16.30 in poi ho scordato di essere praticamente da solo al Ferraris. La fotografia migliore dell’ultimo assalto, però, ve la dà una frase di Sir Claudio Ranieri, che solitamente non si lascia sfuggire neppure un ‘caspita’ o un ‘acciderbolina’. Ve la riporto testualmente, l’ha urlata a uno della premiata ditta Thorsby-Bereszynski-Depaoli dopo un disimpegno errato: “Ci stiamo giocando la vita, e tu fai quella cagata lì. E che cazzo”. Grazie, mister, dico sul serio. Glielo avremmo voluto dire tutti.
Ore 17.15: mi rimetto in macchina, altri venti minuti e sono a casa. Mentre torno rifletto sul fatto che tutto sommato la mia prima volta a porte chiuse mi ha concesso un'esperienza più immersiva, se vogliamo più completa. Tutto bello, le voci dal campo, i tre punti, la strada sgombra etc etc. Ma non vedo l'ora di tornare a fare coda, perchè così non è calcio.
@lorenzomontaldo
@MontaldoLorenzo