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Sabatini a CM: 'Nel 2023 la Juve ha giocato per nulla. E non è finita qui: tra Uefa e stipendi, c'è una strategia'
Scusate, l’inizio non è granché. E scusate la provocazione che fa rima con tormentone. Qui non si parla di Juventus-Milan 0-1, splendido gol di Giroud. Qui si parla del perchè era - anche se nessuno ha avuto il coraggio di dirlo - una partita tipo il vecchio “Trofeo Berlusconi”. Quasi un'amichevole di prestigio, anche se il risultato era importante, ci mancherebbe e il Milan di Pioli ne esce giustamente gratificato. Ma per la Juve gli effetti sulla classifica sarebbero stati nulli. E la sostanziale inutilità della sfida è l’effetto di una causa evidente: il balletto di penalizzazioni.
Breve riassunto. Parte il procuratore federale Chinè chiedendo 9 punti, corretto dalla Corte Federale d’Appello che fa sbalzare la sanzione a -15. Poi tocca al Coni che, attraverso il Collegio di Garanzia, invita a riscrivere la sentenza, come fosse un compitino da rifare in bella copia. Togliete alcuni dirigenti (in pratica Nedved) e spiegate meglio la penalizzazione: questo il messaggio che dal Coni (ri)passa alla Federcalcio. Così, una settimana fa, scende nuovamente in campo il procuratore federale Chinè che chiede 11 punti di penalizzazione (2 in più della sua prima richiesta) venendo appena corretto a 10 punti dal verdetto del Collegio di Garanzia (5 in meno rispetto alla sentenza precedente). Le motivazioni non sono ancora pubbliche, ma si nota che Nedved è stato assolto. Quindi, si deduce che l’ex centrocampista valeva 5 punti di penalizzazione in meno per il Collegio di Garanzia, anche se per Chinè l’alleggerimento della posizione di Nedved provocava comunque 2 punti in più di sanzione richiesta. Rifacciamo i calcoli: la richiesta è passata da 9 a 11, la sentenza da 15 a 10. La Juventus, secondo quanto viene riferito (e non smentito dal club) aveva chiesto 5 punti.
Numeri. Solo numeri. Non opinioni.
Non è finita, perchè la giustizia farà il proprio corso anche sulla cosiddetta “manovra stipendi”, sempre a caccia di una penalizzazione afflittiva. Cioè da zero a infinito: i punti sufficienti per escludere la Juve da qualche Coppa. Se però non dovessero bastare le sentenze italiane, per cacciare i bianconeri dall’Europa ci sarebbe l’Uefa che, attraverso il presidente appena rieletto Ceferin, darebbe l’eventuale colpo di grazia, in serbo per l’affronto della SuperLega mai rinnegata.
Cronaca. Solo cronaca. Non opinioni.
Di opinioni se ne sentono e leggono poche. Ieri, dopo mesi di silenzio (non silenzio-assenso, ma...) il dirigente juventino Calvo ha detto che le sentenze sono ingiuste però ormai definitive. Quindi inutile qualsiasi ricorso alla giustizia sportiva e/o ordinaria. L’impressione è che si tratti di una strategia politica, diplomatica, figlia di una trattativa riservata tra avvocati e istituzioni. In altre parole: un patteggiamento, magari unito a una ritrovata stretta di mano con l’Uefa, più il sacrificio della fatale SuperLega.
Appunti. Solo appunti. Sparsi.
Nei processi, la Juve si è solo difesa. Non ha coinvolto né tanto meno attaccato nessun altro club per le plusvalenze, di fatto accettando l’accusa di essere a capo del sistema, seppur senza altre società “sistemiste”. Non un’intervista, né un messaggio efficace di comunicazione o una qualsiasi manifestazione pubblica: la Juve si è chiusa in sè stessa, dando inevitabilmente l’impressione di aver qualcosa da nascondere. Ha barcollato sulla gravissima accusa di slealtà sportiva sperando vanamente di limitare i punti di penalizzazione, senza mai offrire percorsi alternativi ai giudici. Un esempio? Eccolo, e non è un provocazione: la revoca dello scudetto 2018/19 (quello delle plusvalenze “sleali”) sarebbe stata perfino più comprensibile delle penalizzazioni a orologeria nella stagione in corso. Un altro esempio? La temutissima vendetta dell’Uefa non è stata “disinnescata”. Anzi. Andrea Agnelli è stato dimissionato, ma il progetto SuperLega no: se questo ha un senso, è difficile capirlo.
Conclusione.
Nel 2023 la Juventus ha giocato per nulla. Anzi: per divertimento o per tortura (dipende dai punti di vista). Seppur compattata dal sogno dell’impresa contro tutto e contro tutti, la squadra è crollata appena ha realizzato che comunque sarebbe andata a finire male. Questa sembra la spiegazione più veritiera. Non la giustificazione, né l’alibi: semplicemente una spiegazione. Per la conclusione vera, invece, ci vorranno anni. Quelli che servono per passare dalla fine di un ciclo glorioso all’inizio di un nuovo ciclo sportivo. Ma pure gli anni necessari per ripensare alla giustizia sportiva che sarà anche uguale per tutti, ma un po’ più veloce o un po’ più lenta per tanti.