Pippo Russo: il calcio massacrato dalle tv
Da quanto tempo non vedete una partita di calcio in tv? So che l'interrogativo vi suona strampalato e quasi irricevibile. In quanto lettori di Calciomercato.com siete calciofili inguaribili, dunque la vostra distanza temporale dall'ultima partita vista in televisione può misurarsi in ore. Ma il senso della domanda è un altro, e per farlo comprendere bisogna che ve lo spieghi partendo dall'esperienza di calcio televisivo della scorsa domenica pomeriggio. Che per il campionato di Serie A è stata un giorno anomalo dal punto di vista della gestione del calendario: una sola partita alle tre del pomeriggio (Juventus-Genoa), con le altre nove spalmate fra il sabato, e la mattina e la sera di domenica. E sarà anche vero che per le gare delle cinque squadre impegnate il giovedì in Europa League era indispensabile procedere al posticipo serale. Ma allora resta un mistero il motivo per cui non siano state fatte giocare la domenica pomeriggio le gare anticipate al sabato e alla domenica alle 12,30, così come non si spiega che sia stata fatta giocare la domenica sera Lazio-Verona. Forse si è trattato dell'ennesima esibizione muscolare della pay-tv, ansiosa di certificare un'altra volta il proprio strapotere su una Lega di serie A ridotta a ectoplasma. Ma questo è un discorso che qui non interessa sviluppare.
Ciò su cui preferisco soffermarmi è che una scelta di calendario così ottusa si è rivelata anche suicida per chi confeziona lo "spettacolo" (?) del massimo campionato italiano. Perché molti appassionati di calcio italiani, anziché sottostare all'obbligo di vedere Juventus-Genoa, hanno optato per il calcio estero. Il cui menu sui canali televisivi a pagamento è vastissimo. E giusto mezz'ora prima del calcio d'inizio di Juventus-Genoa prendeva avvio uno dei classici di maggior rilievo del calcio europeo: Liverpool-Manchester United. Stando ai dati rilevabili attraverso quel termometro d'opinione che sono i social network, sono stati in parecchi a scegliere di vedere il classico della Premier. Il che è un'ulteriore dimostrazione di come la perdita di competitività del campionato italiano rispetto ai principali campionati esteri non dipenda soltanto dalla maggiore abilità di chi gestisce questi ultimi, ma soprattutto dall'insipienza di chi organizza il nostro. Ma ciò che maggioremente è apparso evidente a chi ha scelto di vedere Liverpool-Manchester United anziché Juventus-Genoa è la diversa costruzione dello spettacolo televisivo. E questo rilievo è un'accusa che riguarda non più (o non soltanto) la Lega, ma le nostre pay tv e il modo in cui confezionano la partita di calcio. La visione del confronto fra Reds e Red Devils è stata una boccata d'ossigeno perché in questo caso il broadcasting ha rappresentato nulla più che lo spettacolo del calcio. Cioè, una versione della partita il più possibile fedele a quella cui si sarebbe assistito se si fosse stati seduti in tribuna ad Anfield. In questo consiste uno dei principali segreti del primato detenuto dalla Premier League come spettacolo globale del calcio. Chi segue in tv una partita di Premier assiste a una partita di calcio, rispetto alla quale la mano del broadcasting interviene in misura minimale. C'è una sorta di "religione del campo lungo", che comanda di non intervenire mai con primi piani e replay mentre il gioco è in corso. Quando l'azione si sta svolgendo è tassativo che il telespettatore non venga mai privato della possibilità di vederne lo sviluppo. Ciò che dovrebbe essere un concetto scontato per le regie televisive, ma che invece scontato non è a giudicare dal modo in cui quelle stesse regie si comportano, in Italia ma non soltanto.
Il calcio è un gioco in cui la dimensione della territorialità è essenziale: e avere sotto controllo visivo lo sviluppo dell'azione rispetto al campo è la cosa più importante per chi lo segue, che sia seduto su un seggiolino allo stadio o in poltrona davanti alla tv. Per le regie delle pay-tv italiane questo imperativo di mantenere continuamente visibile la territorialità del gioco è un elemento di cui si può fare a meno. Trovano molto più utile indugiare sul dettaglio, stringere coi primi piani sul calciatore che punta l'avversario in prossimità dell'area di rigore, e eccedere con un numero di replay che dopo il terzo hanno il solo effetto d'inflazionare il già visto. Un massacro premeditato e reiterato della partita di calcio, operato da gente che evidentemente il calcio non lo ama e ritiene di poter dare sfogo a mal riposte ambizioni sceneggiatorie. Perché la partita di calcio vista su Sky o su Mediaset (ma quando capita anche sui canali Rai, ormai contagiati da questo pessimo costume) è un adattamento della gara a un registro da docu-drama in nulla fedele a ciò che si sta consumando sul terreno di gioco.
Ricordo cosa sostenne qualche anno fa Aldo Grasso (ai tempi in cui ancora scriveva cose che valesse la pena leggere) a proposito di questo malcostume nella costruzione dello spettacolo televisivo della partita di calcio. A suo giudizio, questa logica d'azione interventista sarebbe un modo attraverso cui la tv ribadisce che tutto quanto essa elabora (partita di calcio compresa) diventi "pura televisione", un oggetto riaccomodato secondo i canoni rappresentativi propri del medium. Sicuramente non è la partita di calcio che stanno vedendo quanti sono presenti allo stadio.
Nel caso della produzione televisiva delle gare di Premier League tutto ciò non succede. Chi le segue ha costantemente sotto controllo lo svolgimento della contesa e la sua territorialità, ha possibilità di leggere i sistemi di gioco adottati dalle due squadre, e soprattutto non vede trasformato il match in uno scadente sceneggiato. E quando parlo di questo modo invasivo con cui la tv interviene nel cuore del gioco mi tocca sempre portare a esempio uno dei più bei gol che nella storia recente sono stati segnati nel campionato italiano: quello di Antonio Cassano in Bari-Inter del 18 dicembre 1999. Il documento filmico che rimane di quel gol è uno scempio televisivo operato dalla regia dell'allora Tele +, che in modo criminale stringe sull'uno contro uno fra il barese e Laurent Blanc dopo il colpo di tacco con cui il primo si porta palla in avanti. Un dettaglio superfluo il cui unico effetto è far perdere la visione panoramica dell'azione e la prospettiva territoriale dell'avvicinamento alla porta.
Ribadisco: chi fa una cosa del genere non ama il calcio. E ogni volta che crediamo sia una partita di calcio una cosa rappresentata a questo modo, in realtà stiamo assistendo a uno scempio della partita di calcio.
Pippo Russo
@pippoevai