Pippo Russo: Collecchio, il 'regalo' di Ghirardi. Occhio agli stadi di proprietà
Fra i tanti aspetti desolanti della vicenda che sta affondando il Parma Calcio ce n’è uno cui non si sta dando dovuta attenzione, e che invece la meriterebbe perché le sue implicazioni vanno oltre il caso singolo. Mi riferisco alla questione del Centro Sportivo di Collecchio, interessato giusto in queste ore da una perquisizione condotta dalla Guardia di Finanza. La struttura, potenziata nel 2012 grazie a un finanziamento da 6,5 milioni del Credito Sportivo e pomposamente etichettata come Centro Direzionale, avrebbe dovuto essere del club. Avrebbe dovuto. Perché le cose stanno in modo un po’ diverso, e a prenderne coscienza si ha la conferma di quanta attenzione e vigilanza siano necessarie per impedire che un altro business della new economy calcistica, quello degli stadi di proprietà, prenda una direzione sgradita.
In questo senso la vicenda del centro di Collecchio diventa una sorta di parabola, e a rileggere con gli occhi di oggi le dichiarazioni che ne accompagnarono la progettazione ci sarebbe da lasciarsi andare a grasse risate, se non fosse che c’è di mezzo un dramma vero. Facendo un giretto per il web è possibile rintracciare articoli pubblicati nei giorni in cui l’opera veniva presentata e avviata. Quel 16 dicembre 2011 si scomodò persino l’allora CT azzurro Cesare Prandelli, che ribadì un concetto-mantra già abusato ai tempi di Firenze: avere un centro sportivo garantisce qualche punto in più in classifica. Ma a risultare davvero beffarde sono le parole pronunciate in quell’occasione da Tommaso Ghirardi. Potete leggerle cercando l’articolo pubblicato dal sito di “La Repubblica – Parma”, e sono sintetizzate già nel titolo: “Il Parma trasloca a Collecchio nuova sede, regalo di Ghirardi”. E già, perché il rinnovato centro è presentato come “regalo del presidente Ghirardi in occasione del 98esimo compleanno del club”.
Regalo? Ma a chi? A questa domanda per niente banale aveva già dato risposta Luca Marotta, esperto di bilanci dei club sportivi, parlandone col sito Stadiotardini.it diretto da Gabriele Majo. Da notare che quelle parole sono contenute in un articolo datato 20 giugno 2014: cioè dopo l’esclusione del club dall’Europa League per una questione di Irpef pagata in ritardo, ma ancora ben prima che venisse alla luce una così pesante situazione di crisi economico-finanziaria. In quella circostanza Marotta illustrò la situazione che un eventuale acquirente del Parma avrebbe trovato: “Nella valutazione di PARMA FOOTBALL CLUB S.P.A. bisogna considerare anche che chi compra PARMA FOOTBALL CLUB S.P.A. dovrà pagare l’affitto per l’utilizzo del marchio e per l’utilizzo del Centro Sportivo di Collecchio. Infatti, la società PARMA FOOTBALL CLUB S.P.A. non è proprietaria del Centro Sportivo di Collecchio, che dovrebbe essere di proprietà di Eventi Sportivi Spa”.
E per rendere ulteriormente l’idea, Marotta affidò ai colleghi di Stadiotardini.it un’ulteriore annotazione: “Nel mese di giugno 2013, si è dato luogo al trasferimento dei Marchi registrati della squadra di calcio PARMA Football Club a PARMA FC BRAND S.r.l., che è parte correlata della stessa e non controllata. Si aggiunga che alla stessa PARMA FC BRAND S.r.l. è stata ceduta la titolarità del contratto con la società concessionaria della pubblicità. Pertanto, l’eventuale compratore di PARMA FOOTBALL CLUB S.P.A., avrebbe margini di manovra ridotti in termini di gestione operativa”.Ecco il punto. Una struttura che in termini generici viene detta “del Parma” è in realtà sotto il controllo di un soggetto posto a capo del club. Si tratta della Eventi Sportivi Spa, società con sede legale a Brescia. Un soggetto controllato dalla proprietà del Parma e non del Parma calcio. E su questa distinzione fra la proprietà di un club e il club stesso si gioca la partita davvero decisiva, dal punto di vista della patrimonializzazione che una società calcistica può garantire e garantirsi attraverso le proprie attività. Perché ci si mette un attimo a far passare per “beni di un club” degli asset che invece vengono annessi dalla proprietà “di quel momento”. Con la raccapricciante situazione per cui, nel momento in cui arrivasse una nuova compagine proprietaria, quest’ultima dovrà comprare dalla proprietà uscente ciascun asset in modo separato, e non un pacchetto unico riconducibile al club. Che a sua volta rischia di essere nulla più di un oggetto in versione basic, da sottoporre a successivi enhancement tramite l’acquisizione uno a uno degli asset realmente produttivi di valore: il patrimonio immobiliare e quello dei beni immateriali commercializzabili.
Questa è una delle tante lezioni che ci proviene dal Caso Parma. E si tratta di una lezione che faremmo bene a apprendere in fretta, intanto che si schiude il territorio dell’immenso business legato agli stadi privati. E ovviamente il caso del Parma è diverso, perché stavolta l’oggetto attorno a cui tutto si è mosso è un centro sportivo anziché uno stadio. Ma la logica e le conseguenze possono essere le medesime: l’uso di denari del Credito Sportivo (che, come si legge nel sito dell’istituto, è una “banca pubblica al servizio del paese”) per la costruzione o ristrutturazione di impianti destinati allo sport, con somme erogate a tassi estremamente agevolati nonché concesse al club sportivo in quanto tale e non certo alla sua compagine proprietaria. Sicché è il momento di porre un interrogativo che all’apparenza suona soltanto come un mal riuscito gioco di parole: ma di chi saranno proprietà gli stadi di proprietà? La questione è cruciale, e se non attentamente gestita rischia di risolversi in un’ulteriore rapina ai danni del calcio. Per di più, una rapina effettuata attraverso uno strumento propagandato come volano per una nuova fase di sviluppo economico del movimento. Lettura, quest’ultima, opinabilissima. Ma non è questo il punto. Il punto sta nel chiedersi quanto la legge e quanto le attuali istituzioni calcistiche siano in grado di mettere il calcio italiano e le sue società al riparo da situazioni in cui lo stadio sarà proprietà dei proprietari dei club. I quali, nel momento in cui dovessero cedere il club a un’altra proprietà, potrebbero trovarsi nelle condizioni di giovarsi dello stadio privato come di un bene personale da noleggiare ai nuovi acquirenti. Ci si pensi bene. Perché il rischio è d’illudersi di star lavorando a un progetto di crescita economica per ritrovarsi, a cose fatte, al cospetto d’una delle più odiose forme di rendita.
di Pippo Russo
@pippoevai