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    Pernambuco: Roma: il gioco è buono, il viso meno

    Pernambuco: Roma: il gioco è buono, il viso meno

    • Fernando Pernambuco
    Ci sono produttori di vino, a capo di grandi aziende con marchi prestigiosi, che il vino non lo hanno mai assaggiato. Sono astemi, eppure si rivelano ottimi imprenditori. James Pallotta, Presidente della Roma, deve essere di questa pasta. Nelle poche partite a cui assiste, compulsa lo smartphone, nelle dichiarazioni manifesta sempre una grande misura, probabilmente confonde il fuorigioco con la palla in tribuna. Forse è per questo che non si lancia mai in anatemi antiarbitrali e non si fa travolgere da insane passioni. La ragione per cui volle sedere a capo della Società capitolina fu da lui esplicitamente dichiarata: “La Roma è un grande brand!”. Non una grande squadra, ma un grande marchio di enorme potenzialità. Nulla di male, anzi! 

    Ma forse per questo, quando giustamente prova a ridimensionare il periodo non molto brillante dei giallorossi, afferma: “In fondo è da moltissimo tempo che non perdiamo!” Ora è vero che la formula del cosiddetto “risultato utile” prevede il pareggio. Ma di pareggio, se non si muore, si campa male. Sono meglio due vittorie e una sconfitta rispetto a tre pareggi. “Elementare, caro Watson”. Il fatto è che Pallotta si concentra sul nuovo stadio, sul merchandising, sui contatti col sindaco Marino,  con lo sviluppo internazionale del brand e soprattutto con l’Unicredit: senza banche non si va avanti. In questo è un Presidente manager di tutto rispetto. Bada poco alla contingenza per concentrarsi sul progetto. Ma non può nascondere una certa apprensione che aleggia attorno alla squadra giallorossa. Proprio per evitare che la crepa diventi un crepaccio, come avvenne  lo scorso anno, la strategia comunicativa è stata ottima: difesa a spada tratta di Garcia, bicchiere mezzo pieno, apprezzamento per la comprensione dei tifosi e giusta considerazione che non si è fuori dai giochi. Non si capisce, invece, la ripetuta scusa degli infortuni. Gli infortuni non fanno forse parte della preparazione e del lavoro di monitoraggio dello staff medico? Troppi infortuni, un tempo, erano aggravanti, non scusanti. Anche il “mea culpa”  di Sabatini, per gli ultimi acquisti, è altamente apprezzabile, perché si tratta, soprattutto di togliere pressione a Garcia, attualmente l’anello debole della catena.

    Dal punto di vista del calcio giocato, d’altra parte, la Roma sta attraversando un paradosso. E’ vero, non vince, ma non gioca male. Anzi. E’pervasa dalla stessa energia dello scorso anno, possiede la medesima capacità di aggredire e mettere sotto pressione l’avversario; solo che troppo spesso quest’energia si traduce in ansia da prestazione, col ben noto fiasco consequenziale. Lunedì c'è il match più importante della stagione, in campionato. Sarà capace di far evaporare quell’ansia che la fa piombare, spesso, in un confuso e impotente furore?

    In fondo, lunedì, si troverà davanti, una Juve che all’opposto, è forse troppo compassata. Più che ragionare e governare, la Juve di questo ultimo mese ha sostanzialmente subito. Gli inni dopo il 2 a 1 al Borussia sono da prendere con le molle; vengono dopo una partita sempre in bilico, con almeno 20 minuti in balia dell’ avversario, che, buon per lei, non ha nel tiro e nell’ affondo il suo pezzo forte. Se aggredito, il centrocampo fatica. E non solo in Champions, anche con l’Udinese, il Cesena e l’Atalanta. Sembra quasi che i bianconeri facciano buon viso a cattivo gioco. L’esatto contrario della Roma: il gioco è buono, il viso meno.
     

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