Patty Pravo a CM: 'Io bimba ribelle conquistata dalla Juve e da Sivori'
L’autrice si chiama Patty Pravo anche se nasce, a Venezia, come Nicoletta Strambelli. Professione ufficiale cantante e autrice, ma in realtà molto di più. Artista a titolo pieno e a suo modo filosofa. Icona di anni formidabili. Soprattutto eterna ribelle e non solo dai tempi in cui, al Piper di Roma, spopolava con la sua cover “Ragazzo triste”. A sette anni andava a passeggio per le calli tra San Marco e Canal Grande in compagnia del poeta Ezra Pound e nella sua casa dove viveva con i nonni a cena spesso si trovava al tavolo con l’uomo che sarebbe diventato Papa ovvero monsignor Roncalli. A tredici marinava la scuola per andare a fare all’amore con un coetaneo. A sedici, nella Londra dei beat, suonava le tastiere con un gruppo rock lei che studiava classica al conservatorio. Poi divenne Patty e cominciò la scalata verso la vetta che l’avrebbe portata a essere, oggi, una delle ultime autentiche dive internazionali. Tutto ciò senza mai tradire se stessa e la sua vocazione alla libertà in senso pieno. Quella intellettuale, soprattutto che ha saputo mantenere sino ad adesso, sulla soglia dei settant’anni.
Una splendida “vecchia ragazzina” maturata secondo natura e senza particolari ritocchi invasivi il cui sguardo è rimasto, luminoso e trasparente, identico a quello di quando era soltanto Nicoletta. La donna che, ora, ha trovato il coraggio e la forza di spogliarsi totalmente dei panni riservati al personaggio per consegnarsi alla gente esattamente come è stata, come è e come sempre sarà sino alla fine attraverso le pagine di un’autobiografia davvero preziosa, anche sotto il profilo letterario, la quale stupirà favorevolmente tutti coloro che decideranno di leggerla di un fiato. Non gossip ma vita autentica, talvolta surreale ma mai intrappolata dalla banalità.
In Nicoletta, per quel che ci riguarda più da vicino, c’è anche la passione per il calcio e per la Juventus. Non tifosa competente ma innamorata proprio. Dal giorno in cui, era bambina, suo nonno la portò in quello “stadio sull’acqua” dove giocava e gioca ancora il Venezia. L’avversaria era la Juventus. Lo ricorda bene lei e racconta con una punta di sana nostalgia. “Ero un ragazzaccio. In Piazza San Marco giocavo a pallone con i bambini e mi mettevano in porta. Di tecnica capivo niente, come oggi del resto. Alla partita non ero mai stata. Quel giorno, di domenica, mio nonno praticamente mi trascinò con sé a forza. Mi innamorai di lui immediatamente. Un colpo di fulmine a distanza. Si chiamava Omar Sivori ed era diverso da tutti gli altri. I calzettoni abbassati. L’ atteggiamento da ragazzaccio ribelle, proprio come me. I calciatori giocavano, lui volava a pelo d’erba che sembrava un angelo. Carezzava il pallone con delicatezza geniale esattamente come facevo io con i tasti del pianoforte. Fu così che, con il cuore più che per passione calcistica, diventai juventina. Quell’anno fui io a costringere mio nonno a portarmi in giro per l’Italia a vedere Sivori. Mi armavo di campanacci, quelli per le mucche al pascolo, e facevo diventare matti quelli che mi stavano accanto. Un amore che non ho mai tradito, neppure con i quattro mariti che ho avuto e che conservo ancora oggi insieme con le poche cose preziose per cui vale la pena vivere”.