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    Pastorin: 11 luglio 1982, Italia campione, la vittoria che cambiò il nostro calcio

    Pastorin: 11 luglio 1982, Italia campione, la vittoria che cambiò il nostro calcio

    C'ero anch'io, giovane inviato di Tuttosport, quella notte, da brividi commozione e follia, dell'11 luglio 1982 al "Santiago Bernabeu" di Madrid. Gli azzurri, battendo la Germania Ovest 3-1, alzavano la Coppa del Mondo per la terza volta nella loro storia. Salendo la scalinata, che lo avrebbe portato, con gli altri azzurri, a ricevere il trofeo più ambito dal re Juan Carlos, con al fianco un sorridente Sandro Pertini, nostro amato Presidente della Repubblica, Claudio Gentile, il difensore, salito agli onori della manifestazione per aver annullato Zico e Maradona, mi vide e mi abbracciò; il giorno dopo, tornato a Torino, Gentile avrebbe poi strappato un altro applauso esibendosi sul palco dei Rolling Stones, con Mick Jagger che cantava con addosso la maglia numero 20 di Pablito Rossi, il sorprendente goleador, con sei reti, del mundial, il centravanti passato, in pochi giorni, dall'inferno al paradiso, dal buio alla luce più intensa. Sì, che notte, che mondiale, che avventura epica!

    L'Italia cominciò male il girone eliminatorio, con tre pareggi: contro Polonia, Perù e Camerun. Paolo Rossi un fantasma, la critica, a parte qualche eccezione, inferocita, i giocatori che decisero di dare vita a un clamoroso, per quel tempo, silenzio stampa, gli unici chiamati a parlare erano due personaggi tosti e... silenziosi: l'allenatore Enzo Bearzot e il portiere e capitano Dino Zoff, quarantuno anni portati come un ragazzino. Gli azzurri a quel punto dovevano andare a Barcellona, per affrontare il Brasile (che avevo seguito nel girone di Siviglia: belli e impossibili) e l'Argentina. Un quotidiano, in aperta polemica con Bearzot e i calciatori, titolò: "Ma a Bercellona che ci andiamo a fare?". Sembrava la cronaca di una disfatta annunciata. 

    La paura si trasformò in impresa omerica. Battuta l'Argentina (2-1, con gol di Cabrini e Tardelli), bisognava superare lo scoglio Seleção. Una delle più belle nazionali verdeoro di sempre. In panchina, un vecchio saggio come Telé Santana e in campo le meraviglie di Leo Junior, Toninho Cerezo, Paulo Roberto Falção, Socrates, Zico. Spettacolo e bellezza, con qualche punto debole: il portiere Valdir Peres e il centravanti Serginho. Ai brasiliani, che avevano superato gli argentini 3-1, poteva bastare un pari contro gli azzurri per accedere alla semifinale.

    5 luglio 1982: la svolta, la partita che uscì dalla cronaca per trasformarsi in leggenda. In tribuna stampa, a narrare quell'evento, c'erano Giovanni Arpino, mio maestro di letteratura, Mario Soldati, Gianni Brera, Oreste del Buono e giornalisti come Vladimiro Caminiti, Marco Bernardini, Gianni Mura, Mario Sconcerti. Assi tra gli assi. L'Italia vinse 3-2, con una tripletta di Paolo Rossi tornato, come per incantamento, il Pablito del mundial d'Argentina del 1978, a nulla servirono le reti di Socrates e Falção. Ma fondamentale fu la parata, sulla linea bianca, proprio allo scadere del match, di Zoff su un colpo di testa del difensore centrale Oscar Bernardi. Il resto fu una cavalcata trionfale: 2-0 alla Polonia, doppietta di Paolo Rossi, e in finale il 3-1 alla Germania Ovest, rigore fallito da Cabrini, gol di Rossi, Tardelli (con il famoso urlo!), Altobelli e infine l'inutile gol di Breitner. E Sandro Pertini, che alla terza rete, urlava, raggiante: "Non ci prendono più, non ci prendono più!". 
     
    Quella vittoria cambiò molte cose. I quotidiani sportivi, La Gazzetta dello Sport in testa, vendettero milioni di copie, i giocatori cominciarono a chiedere più soldi (Paolo Rossi, Cabrini e Gentile, più Carlo Osti, ma per altri motivi, a Boniperti, prima di un'amichevole dei bianconeri a Casale Monferrato), la gente riscoprì la voglia di scendere in piazza e di festeggiare. Fu una vertigine, probabilmente la fine di un'epoca romantica e poetica. Anche se quel successo portò il campionato italiano a diventare un Eldorado, con gli arrivi di Platini, Maradona, Zico, Boniek, Leo Junior e compagnia bella. Ma oggi molte cose sono cambiate: i giornali stanno conoscendo una profonda crisi, i campioni preferiscono gli ingaggi di Spagna, Inghilterra, Germania e del Psg, la crisi economica porta a ritornare per le strade, ma con rabbia e rancore. L'11 luglio 1982 rimane, in ogni caso, una delle pagine più belle non solo della storia del calcio, ma d'Italia. E io, grazie al mio indimenticabile direttore Piercesare Baretti, c'ero. 

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