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Pastorin: 11 luglio 1982, Italia campione, la vittoria che cambiò il nostro calcio
L'Italia cominciò male il girone eliminatorio, con tre pareggi: contro Polonia, Perù e Camerun. Paolo Rossi un fantasma, la critica, a parte qualche eccezione, inferocita, i giocatori che decisero di dare vita a un clamoroso, per quel tempo, silenzio stampa, gli unici chiamati a parlare erano due personaggi tosti e... silenziosi: l'allenatore Enzo Bearzot e il portiere e capitano Dino Zoff, quarantuno anni portati come un ragazzino. Gli azzurri a quel punto dovevano andare a Barcellona, per affrontare il Brasile (che avevo seguito nel girone di Siviglia: belli e impossibili) e l'Argentina. Un quotidiano, in aperta polemica con Bearzot e i calciatori, titolò: "Ma a Bercellona che ci andiamo a fare?". Sembrava la cronaca di una disfatta annunciata.
La paura si trasformò in impresa omerica. Battuta l'Argentina (2-1, con gol di Cabrini e Tardelli), bisognava superare lo scoglio Seleção. Una delle più belle nazionali verdeoro di sempre. In panchina, un vecchio saggio come Telé Santana e in campo le meraviglie di Leo Junior, Toninho Cerezo, Paulo Roberto Falção, Socrates, Zico. Spettacolo e bellezza, con qualche punto debole: il portiere Valdir Peres e il centravanti Serginho. Ai brasiliani, che avevano superato gli argentini 3-1, poteva bastare un pari contro gli azzurri per accedere alla semifinale.
5 luglio 1982: la svolta, la partita che uscì dalla cronaca per trasformarsi in leggenda. In tribuna stampa, a narrare quell'evento, c'erano Giovanni Arpino, mio maestro di letteratura, Mario Soldati, Gianni Brera, Oreste del Buono e giornalisti come Vladimiro Caminiti, Marco Bernardini, Gianni Mura, Mario Sconcerti. Assi tra gli assi. L'Italia vinse 3-2, con una tripletta di Paolo Rossi tornato, come per incantamento, il Pablito del mundial d'Argentina del 1978, a nulla servirono le reti di Socrates e Falção. Ma fondamentale fu la parata, sulla linea bianca, proprio allo scadere del match, di Zoff su un colpo di testa del difensore centrale Oscar Bernardi. Il resto fu una cavalcata trionfale: 2-0 alla Polonia, doppietta di Paolo Rossi, e in finale il 3-1 alla Germania Ovest, rigore fallito da Cabrini, gol di Rossi, Tardelli (con il famoso urlo!), Altobelli e infine l'inutile gol di Breitner. E Sandro Pertini, che alla terza rete, urlava, raggiante: "Non ci prendono più, non ci prendono più!".
Quella vittoria cambiò molte cose. I quotidiani sportivi, La Gazzetta dello Sport in testa, vendettero milioni di copie, i giocatori cominciarono a chiedere più soldi (Paolo Rossi, Cabrini e Gentile, più Carlo Osti, ma per altri motivi, a Boniperti, prima di un'amichevole dei bianconeri a Casale Monferrato), la gente riscoprì la voglia di scendere in piazza e di festeggiare. Fu una vertigine, probabilmente la fine di un'epoca romantica e poetica. Anche se quel successo portò il campionato italiano a diventare un Eldorado, con gli arrivi di Platini, Maradona, Zico, Boniek, Leo Junior e compagnia bella. Ma oggi molte cose sono cambiate: i giornali stanno conoscendo una profonda crisi, i campioni preferiscono gli ingaggi di Spagna, Inghilterra, Germania e del Psg, la crisi economica porta a ritornare per le strade, ma con rabbia e rancore. L'11 luglio 1982 rimane, in ogni caso, una delle pagine più belle non solo della storia del calcio, ma d'Italia. E io, grazie al mio indimenticabile direttore Piercesare Baretti, c'ero.