Calciomercato.com

  • ANSA
    Paolo Borsellino, essere siciliani quel 19 luglio di 31 anni fa

    Paolo Borsellino, essere siciliani quel 19 luglio di 31 anni fa

    • Pippo Russo
      Pippo Russo
    Trentuno anni e sentirli tutti. È arrivato un altro 19 luglio e diventa terreno di scontro politico fra governo e opposizioni, fra antimafia e professionisti del garantismo. E nel mezzo c'è Palermo, c'è la Sicilia, ci soni i siciliani. Con quel trauma che non passa mai. Ché si, fu un trauma per tutto il Paese e continua a esserlo. Ma per chi è siciliano, per chi da siciliano si trovava in Sicilia in quelle ore, ogni 19 luglio significa riprovare quel senso di abisso che si spalancò sotto i piedi a metà pomeriggio di una domenica d'estate. Una sensazione orrenda, di irrimediabile annichilimento. Che d'istinto si vorrebbe cancellare. Ma che invece è bene richiamare alla memoria, perché risentire sulla pelle il gelo di quell'attimo serve a ricordare il momento del più cieco sconforto, quello in cui si è toccato il fondo. 

    Una sensazione preziosa, per quanto possa sembrare paradossale. Perché adesso abbiamo tutti la certezza che da quel fondo abbiamo cominciato a risalire. E invece in quel momento pensavamo che alla caduta non esistesse limite. Che la “Sicilia irredimibile” di Leonardo Sciascia avesse un destino d'inabissamento definitivo. Dunque riprovare la sensazione gelida di quell'attimo serve per ricordare che c'è stato un momento in cui pareva che davvero la speranza fosse andata perduta per sempre. Invece non era così, non è andata così. 

    Da siciliani abbiamo avuto la forza di rialzarci. Di batterci per una vita e un destino migliori. Senza l'illusione che una certa sub-cultura mafiosa potesse essere estirpata del tutto, perché quella va oltre Cosa Nostra e i suoi uomini del disonore per affondare le radici in una mentalità diffusa che soltanto i decenni potranno cancellare. Ma con la certezza di poter avere una Sicilia diversa, sempre più libera dal giogo della mafia. Quella Sicilia, pian piano, sta venendo fuori. 

    Ma cosa fu quel 19 luglio 1992? Fu uno strazio indicibile. Mi trovavo nella casa al mare a San Leone (Agrigento), quando la notizia prese a circolare intorno alle sei del pomeriggio. 
    Un attentato a Palermo. Un altro, dopo quello di nemmeno due mesi prima che aveva ucciso il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i componenti della scorta. 

    Per questo non si ebbe dubbio su chi fosse il bersaglio di quel vile atto criminale. Lo sapevamo tutti che era stato colpito Paolo Borsellino, prima ancora che i notiziari facessero il nome suo e di chi faceva parte della sua scorta. E fu come sentirsi crollare, fisicamente. La sensazione che le ginocchia si piegassero, che non reggessero il peso di un dolore così potente. Ma fu soprattutto la tracotanza a ferire. Quel “l'hanno rifatto...”, quando ancora la ferita del precedente attentato era pulsante, fu la presa di coscienza più devastante. La consapevolezza di una ferocia che non avrebbe conosciuto limiti e che per questo si sarebbe potuta ripresentare in ogni momento. È stato difficilissimo essere siciliani in quelle ore e nei giorni che sono seguiti. 

    Da allora sono cambiate molte cose. Finalmente la mafia è percepita come non più invincibile, tutti i suoi capi che sembravano irraggiungibili sono stati catturati. Ma l'esercizio della memoria rimane utile, oggi più che mai. È il vincolo degli anniversari, ciò che ci fa ricordare cosa siamo stati e perché siamo arrivati fin qui. Da siciliani onesti. 

    @pippoevai

    Altre Notizie