Milanmania: si chiude l'era Berlusconi, ma diamo tempo ai cinesi
Resterà dell'epopea Berlusconi una collezione di trionfi difficilmente eguagliabile, passerà alla storia come la più rivoluzionaria e vincente di sempre per mentalità, strategie, costanza che si sono spente sotto il peso dell'età, di incalzanti impegni diversi. Il declino fisiologico poteva e doveva essere gestito diversamente, all'altezza della grandeur vissuta: bastava cambiare comunicazione e filosofia, percorrendo davvero la strada - soltanto reclamizzata - dei giovani, degli italiani, del ridimensionamento mirato a una rinascita graduale. Invece il crollo è stato sancito da slogan anacronistici, da scelte fallimentari, da campagne acquisti miserabili farcite da passaggi demenziali, da un'arroganza incontenibile e sprezzante nei confronti dei tifosi e persino di qualche consanguineo come Leonardo, Seedorf, Inzaghi, Brocchi e prima ancora Maldini, Pirlo, Ambrosini. Non è stato un declino, è stata la disgregazione di un modello che ha finito con il travolgere la qualità della squadra spazzandone via identità e risultati. Berlusconi parla di impossibilità di tenere il passo finanziario dei nuovi padroni del grande calcio, un'ultima piccola grande bugia del 188esimo uomo più ricco del mondo il quale per primo sa e sostiene come i soldi non siamo l'unico requisito per vincere. E comunque questa risorsa davvero non gli è mai mancata. L'esperienza orientale dei vicini di casa nerazzurri non autorizza euforie o sogni illimitati: contrariamente ai nuovi più importanti investitori sbarcati nel calcio europeo, i cinesi non sono preparati sull'argomento, non hanno uomini e staff di loro fiducia da insediare per la gestione, non hanno idee chiarissime su come mantenere il valore del brand appetibile senza un piano sportivo credibile e ambizioso. Diamogli tempo. Ne è stato perduto così tanto in casa rossonera durante il lungo tramonto, che non sarà una nuova alba a destare inquietudine. Purché rinascano presto i giorni del Milan.