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    La Juve non vincerà la Champions, ma in Europa è un'altra squadra: ecco perché

    La Juve non vincerà la Champions, ma in Europa è un'altra squadra: ecco perché

    • Giancarlo Padovan
      Giancarlo Padovan
    E’ del tutto stupefacente che una squadra come la Juventus, in piena crisi nelle partite di campionato, possa trasformarsi in maniera radicale in quelle di Champions League, tanto da essere a punteggio pieno (12 punti) e già qualificata agli ottavi di finale, con due turni di anticipo.

    Se, da una parte, il girone non è propriamente impossibile, dall’altra le partite europee possiedono un coefficiente di difficoltà intrinseco e un’intensità di svolgimento molto più elevati delle gare del nostro campionato. Ma c’è di più. La Juventus, infatti, al momento è pure tre punti avanti al Chelsea, campione d’Europa uscente e leader in Premier League, battuto nello scontro diretto a Torino con una formazione rimaneggiatissima, ovvero senza Morata e Dybala, e con Chiesa e Bernardeschi a fare da punte.

    Le spiegazioni non sono finite. Perché la Juve, storicamente, non il Milan che ha vinto sette tra Coppe dei Campioni e Champions e considera l’Europa un proprio territorio privilegiato. No, anzi i bianconeri sono (o erano) l’esatto contrario: dominanti, in tutti i sensi, in Italia, timidi e remissivi quando si trattava di affrontare le altre squadre del continente.

    Oggi, invece, le parti si sono rovesciate: il Milan, primo in serie A insieme al Napoli, arranca all’ultimo posto del suo gruppo in Champions, mentre la Juve, lontana sedici punti dalla testa della classifica in campionato, si giocherà, il 23 novembre, il primo posto del girone con il Chelsea, avendo due risultati su tre a disposizione (al momento detiene anche una migliore differenza reti).

    Il mistero di questo rendimento alternato non è facilmente sondabile. Ma può essere che dopo aver conquistato nove scudetti di fila (e perso il decimo l’anno scorso), la Juve percepisca stimoli finalmente eccezionali dai confronti europei. Come è possibile che gli avversari affrontati non fossero o non siano stati esattamente al top. Fatto sta che una squadra battuta in campionato da Napoli (e ci sta), Empoli, Sassuolo, Verona (e non ci sta), diventa finalmente credibile solo quando calca il palcoscenico internazionale.

    Ora, siccome non si può dire che si tratti di una questione di gioco più europeo rispetto ad uno solamente domestico, credo di non essere lontano dalla verità quando dico che né Malmoe, né Chelsea e men che meno lo Zenit abbiano giocato a ritmi particolarmente alti. Inoltre, nelle quattro partite citate (con lo Zenit i bianconeri hanno giocato sia l’andata che il ritorno), Allegri, ben lungi dallo sperimentare uomini parzialmente o del tutto fuori ruolo (Rabiot per esempio), ha schierato una formazione logica ed elastica. In grado cioé di attuare il 4-4-2 in fase difensiva e di allargarsi in un divertente 4-2-4 o 4-2-3-1 in fase offensiva.

    Certo, la platea della Champions e l’allure che accompagna la manifestazione, rende i calciatori più attenti e maggiormente desiderosi di ben figurare, il rientro di Dybala, soprattutto nella gara di martedì contro i russi, ha prodotto due reti, un assist e un palo, ma in generale nella Juve si vede un’altra ferocia anche difensiva, così come i rari momenti di difficoltà vengono vissuti senza l’ansia che poi porta a sbagliare anche le operazioni più semplici.

    Tuttavia, mentre in campionato la Juve può al massimo ambire al quarto posto, distante quattro punti, in Champions la speranza di fare più strada di quanto compiuto con Sarri e Pirlo (eliminazione agli ottavi) è viva.

    La Juve non vincerà la Champions, questo no, però sta capendo come un segno nel calcio lo si lasci soprattutto se si è protagonisti in campo internazionale. Ovviamente è un percorso lungo e appena cominciato, anche se non bisogna dimenticare che Allegri è stato l’unico allenatore a portare, nel suo precedente quinquennio juventino, la squadra due volte alla finale. Sarà dura, anzi durissima, forse impossibile. Però il calcio, illuminato com’è dalla sua suprema imprevedibilità, incarica spesso di stupire e smentire.

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