Inferno Campania: dall'arbitro impiccato a Salernitana-Nocerina, dove nessuno aveva denunciato minacce
C'è una storia che tutti i calciatori conoscono, se hanno giocato almeno una stagione nei campi della Campania: la storia dell'arbitro di San Giuseppe Vesuviano, impiccato alla traversa. Erano gli anni ‘50 e pare che non avesse fischiato un rigore evidente. I tifosi entrarono in campo ed eseguirono la loro sentenza. Negli anni la vicenda ha assunto i contorni della leggenda, ma da allora chiunque viene a giocare da queste parti è bene che lo sappia: comandano i tifosi.
Avranno pensato al fantasma di quell'arbitro, probabilmente, domenica i 22 che sono scesi in campo, si fa per dire, a Salerno, nella "non gara" tra Salernitana e Nocerina. Un episodio che sarebbe di una gravità eccezionale se non fosse che di eccezionale, in quell'episodio, non c'è nulla.
In quel mondo a parte che è il calcio dilettantistico «si è formata una culla dell'illegalità, organizzata e non organizzata, un posto dove lo Stato è assente, sostituito da poche centinaia di persone che calpestano ogni regola e la passione dei tifosi comuni», dice Raffaele Cantone, magistrato, che due anni fa ha scritto anche un libro (Football Clan, con Gianluca di Feo, Rizzoli) per raccontare quello che dovrebbe essere un ossimoro e invece è un connubio perfetto: calcio e mafia, sport e delinquenza.
Un sociologo, Pierpaolo Romani, ha fatto una lunga ricerca e scritto un volume nel quale ha censito tutte le società che nelle ultime stagioni hanno visto i propri dirigenti vicini a organizzazioni mafiose: sono almeno 15, dalla Liguria alla Sicilia, la maggior parte al Sud.
LA FARSA
A sentire gli investigatori quello che è accaduto domenica a Salerno c'entra poco con la criminalità organizzata e molto di più con quella diffusa. Non ci si è mossi per denaro ma solo per campanile. I tifosi della Nocerina tenevano troppo a quella partita per non potervi partecipare, come aveva invece deciso la Federazione.E allora hanno fatto capire ai calciatori, più con le buone che con le cattive, che sarebbe stato meglio non scendere in campo. Per solidarietà. È un fatto che la curva della Nocerina è infiltrata dalla camorra e che una parte di essa controlla il mercato della spaccio. Ed è un fatto che qualche mese fa è stato arrestato (appalti truccati) il presidente, che per questo si è dovuto dimettere: Giovanni Citarella. Ma questi due fatti, nella farsa di domenica, sono quasi laterali.
Avete presente l'aereo dell'illegalità, quel monoposto giallo che trascinava la scritta: «Striscione X Nocera, gli Ultras»? «Certo non l'hanno pagato i tifosi », osserva un investigatore. Alludendo alla possibilità che lo abbiano fatto direttamente i giocatori, o la società. «Questa è una vicenda molto peggiore rispetto a una "semplice" storia di mafia - dice Cantone - nonostante l'allarme delle forze di Polizia, la Federazione per sciatteria ha inserito nello stesso girone due squadre con un'ostilità del genere, senza essere in grado di gestirla. Il risultato è un'irrecuperabile figuraccia internazionale. Poi c'è la politica che, davanti a tutto questo, gira la testa dall'altra parte».
LE INCHIESTE
Le mafie, in questo caso la camorra, della vicenda Nocerina-Salernitana non sono la causa. Sono il presupposto. Gli ultrà fuori controllo, alla fine, non sono che la conseguenza, l'espressione fisica delle ambizioni dei criminali e della distrazione complice della classe dirigente del pallone. Decine di inchieste della magistratura che da Palermo a Roma stanno cercando di mettere a fuoco le relazioni pericolose.Un lavoro solitario, svolto con l'ausilio di strumenti legislativi monchi («Nessuno può pensare di affrontare questi temi con i Daspo», dice Cantone). La Direzione nazionale antimafia, e due anni fa anche Libera di don Ciotti, hanno fatto un lavoro specifico per raccontare i collegamenti tra calcio e mafia. «A spingere le organizzazioni sono due motivi: il business e il controllo del territorio» dice Romani. «Per questo hanno due tipi di esigenze: controllare le curve e dunque la squadra. E in alcuni casi avere in mano direttamente le società».
Il denaro si fa principalmente con le scommesse sportive: a Bari i tifosi hanno imposto al club, all'epoca in A, di perdere perché avevano scommesse contro. La Camorra (e in particolare i clan D'Alessandro e Di Martino) ha invece deciso di investire direttamente su una società di scommesse (la Intralot).
IL POTERE
Il calcio, però, specialmente nelle comunità più piccole, non è questione soltanto di soldi. Ma anche di prestigio. Al matrimonio di un capobastone era seduto in prima fila Salvatore Aronica, calciatore di serie A, all'epoca in Calabria. Le indagini hanno raccontato proprio a Napoli, per esempio, di come un difensore (Santacroce) ossequiasse un bossetto locale ai domiciliari portandogli a casa le magliette firmate della squadra.«In alcuni casi - ha raccontato il procuratore aggiunto Giovanni Melillo - abbiamo evidenze di come i giocatori usino la curva per fare pressioni sulla società in coincidenza con le scadenze di contratto». «Negli ultimi campionati - ha spiegato il procuratore capo di Lecce, Cataldo Motta, alla Dna - ci siamo accorti come alcune società di Eccellenza avessero direttamente contatti con esponenti della Sacra corona unita».
I Coluccia avevano puntato sul Galatina, lo Squinzano era vicino alla famiglia di Zu Peppo Pellegrino, il Taurisano nelle mani del genero di Pippi Calamita. «Il presidente di una squadra non lo fa certo per denaro - spiega il procuratore aggiunto di Reggio, Nicola Gratteri - perché non ci guadagna, ci rimette: lo fa per un'esternazione del potere, si siederà così nella tribuna con il medico, il farmacista, il magistrato. È quello che cerca la mafia». «Più misterioso è invece il motivo per cui il calcio si lasci controllare in questo modo», dice Cantone. E forse, nella risposta a questa domanda, c'è la strada verso la soluzione del problema.
Giuliano Foschini e Marco Mensurati per repubblica.it
2 - LE LACRIME DEI CALCIATORI MINACCIATI E LE OMBRE SUI VERTICI DELLA NOCERINA F.B. per "Il Corriere della Sera"
Tradotta in termini di responsabilità penali, la storia degli ultrà della Nocerina che hanno ordinato ai giocatori della loro squadra di non disputare il derby con la Salernitana per protestare contro la decisione del prefetto di non fare accedere allo stadio di Salerno i tifosi ospiti, è roba piuttosto scarsa. Né aggiunge gravità (sempre in termini penali) il fatto che i giocatori abbiano ubbidito fingendo in campo infortuni a raffica fino a lasciare la loro squadra in sei uomini e costringere l'arbitro a sospendere la partita.
La Procura di Nocera ha aperto un fascicolo per violenza privata, reato che non sempre comporta per chi ne è accusato, l'arresto preventivo. La polizia ha individuato già almeno una ventina di persone che hanno fatto parte della delegazione presentatasi dai giocatori della Nocerina prima della loro partenza per Salerno, e oltre alla denuncia, nei loro confronti, così come degli altri che sicuramente saranno individuati a breve, scatterà anche il provvedimento di Daspo (divieto di accedere a manifestazioni sportive, quindi divieto di andare allo stadio) che il questore di Salerno, Antonio De Iesu è pronto a firmare.
Oltre ciò l'indagine difficilmente potrà andare. Però potrà contribuire a chiarire certe opacità che ci sono in questa storia, e che anche se non sono reati, potrebbero almeno far vergognare qualcuno.
Per esempio chi ha deciso di far scendere in campo i giocatori della Nocerina con una maglietta, sopra la divisa ufficiale, sulla quale spiccava la stessa scritta riportata sullo striscione che, trainato da un piccolo aereo, ha sorvolato lo stadio Arechi: «Rispetto per Nocera».
La polizia ha individuato le due persone che hanno noleggiato l'aereo e anche per questi scatterà il Daspo, ma la Nocerina, esponendo lo stesso slogan, ha sposato gli argomenti di chi aveva fatto quello striscione. Come possono convivere le stesse idee in chi, considerato pericoloso per l'ordine pubblico, viene tenuto fuori dagli stadi e in chi invece vi entra da attore protagonista?
E ancora: durante la settimana che ha preceduto il derby del girone B di Lega Pro, i funzionari della questura di Salerno, si sono ripetutamente incontrati con i dirigenti della Nocerina, proprio per ragionare sui rischi che la partita comportava.
Mai ai poliziotti sono state segnalate pressioni da parte di gruppi del tifo organizzato. Eppure già le primissime indagini hanno consentito di accertare che quello di domenica al ritiro non è stato il primo incontro tra giocatori e ultrà: almeno un altro, risalente a venerdì o sabato, è avvenuto sicuramente, e già in quell'occasione i tifosi hanno intimato ai calciatori di far saltare la partita con la Salernitana.
Ma questo viene fuori adesso, quando è successo, invece, nessuno della Nocerina ha pensato di informarne la polizia. Ora la società è muta, e gli unici che straparlano, gonfi di orgoglio, sono i tifosi della Nocerina attraverso il sito internet di riferimento (www.forzanocerina.it). «La nostra verità» è il titolo del post in cui si legge che «nessuno ha minacciato nessuno. È stato semplicemente chiesto al mister e alla squadra un gesto eclatante, che facesse parlare l'Italia intera, un gesto che desse voce all'ingiustizia subita dai tifosi molossi a cui preventivamente e senza alcuna prova d'appello, è stata negata la trasferta dell'Arechi».
E ora che quel gesto l'hanno fatto, i giocatori diventano, nella considerazione dei loro tifosi, «immensamente grandi e nocerini a tutti gli effetti. Undici molossi che non hanno agito così per paura ma per dimostrare che la vera farsa era non avere il sostegno del proprio pubblico».
Concetti che non sono frutto soltanto del pensiero ultrà. Perché le stesse cose, seppure con toni diversi, le dice il sindaco di Nocera Inferiore Manlio Torquato: «Mi pare prematuro dire che le cose sono andate in una certa maniera e che ci sia un nesso tra le eventuali minacce dei tifosi e la scelta dei calciatori di non giocare la partita. Non si può escludere, infatti, che ci sia stata una forma di solidarietà verso la tifoseria».