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In difesa di Allegri: Juve alla pari dell'Atletico e superiore alla Roma
Il processo ad Allegri non è onesto. Per taluni è una necessità comunicativa, una strategia di vendita. Per altri è un esercizio di narcisismo, un modo per farsi ricordare: Sacchi, per esempio. In ogni sua critica c’è l’implicito rimando ai suoi tempi, al suo magnifico Milan (un gruppo di campioni che Allegri se lo sogna nelle notti più felici, per essere chiari. Gruppo a cui Sacchi aggiunse molto, e anche questo va detto). Ma la Juventus di Madrid è stata all’altezza, è stata forte, ha duellato a tutto campo come si deve fare con l’Atletico e come l’Atletico impone di fare, una squadra che non ha vinto l’ultima Champions per 35 secondi. Una squadra che lo scorso anno ha costretto spesso alla scena muta Barcellona e Real, attaccanti come Messi, Neymar, Ronaldo, Benzema. Che si rimproveri ad Allegri di esser caduto in una trappola dove sono inciampati cotanti predecessori, e più volte (perché con l’Atletico l’esperienza non serve, la loro ossessione è superiore alle contromisure), è davvero cinico. Le spiegazioni di Allegri convincono: maggiore fretta nel servire gli attaccanti per evitare la loro interdizione, che è la base dove costruiscono il loro gioco di rimessa. Possesso palla rallentato per lo stesso. Terzini più bloccati per duellare sulle seconde palle. Che poi alla Juventus manchi un attaccante esterno capace di entrare in area palla al piede, e turbare così certe difese chiuse, e alleggerire la marcatura su Tevez e Llorente, è storia nota e già affrontata: e non è colpa di Allegri. L’offerta per Cuadrado fu fatta, ma se quello era il tipo di giocatore cercato, si poteva insistere su altre ali. Comunque, la Juventus è questa, l’Atletico anche, e perfino gli spagnoli sono stati ridotti al minimo: non producono calcio in quantità, ma solitamente hanno più occasioni a partita. Ieri, l’unica limpida è stata quella del gol, favorito dal concorso di colpa di entrambi i terzini bianconeri: Evra lascia correre l’avversario sulla fascia, costringendo Chiellini e Bonucci a spostarsi verso sinistra, e sguarnire il centro area, dove Mandzukic si annulla con Caceres, permettendo ad Arda Turan di vincere il duello con Litchsteiner, lento nell’ultimo scampolo di diagonale. Simeone rivendica di aver consigliato i cross sul secondo palo: dopo, sono tutti fenomeni. Il cross era sul primo palo, per lo slavo. Ma Simeone ha così infiniti meriti, anche filosofici (le sua squadre che vincono contro le più ricche di soldi e talento, da sempre), che gli è concessa l’alterigia.
Questa lunga premessa su Allegri era per pareggiare la Juventus alla Roma, in questa recita europea. Va anche detto che per la Juventus questa era la partita “meno” importante del girone: le rivali sono le altre due. Non fu la sconfitta a Madrid che eliminò lo scorso anno i bianconeri, ma il pareggio a Torino con il Galatasaray. Mentre per la Roma era quello di Manchester il duello decisivo, contro il City si giocherà la qualificazione: per l’andazzo della prima ora di gioco, c’era la possibilità di eliminare i maggiori rivali dal girone, subito, a casa loro. Non è detto che questo differente peso psicologico (inverso ai risultati) non gravi su questo pezzo di settimana che conduce alla partita di domenica. Bella, si spera, e sicuramente attesa: sono le due squadre più forti, le due società che hanno lavorato meglio in questi anni fra quelle ambiziose. Possono viaggiare in Europa con i documenti in regola, e la loro salute è un beneficio per tutto il movimento. Hanno tecnica, fisicità, mentalità. Ci sbilanciamo: chi vede equilibrio è troppo gentile con la Roma. La Juventus ha ancora qualcosa in più: ereditata da un triennio vincente, rinnovata dalla duttilità e dall’intelligenza di Allegri. La Roma ha accorciato, non pareggiato. Sono opinioni, soggette alla prova del tempo e questo logorio potrebbe arrivare in fretta, fra tre giorni. Ci “offriamo” allo sbertuccio. Vedremo. Il giudizio tiene conto di una considerazione del campo che ci pare ancora maggiore nella Juventus. I bianconeri difendono anche quando attaccano, anzi, nel forcing c’è la necessità di tenere gli altri fuori dal match: tatticamente, emotivamente. Con Conte questa padronanza era più piena, con Allegri in alcuni momenti è più “leggera”, basata più sul possesso palla che sull’occupazione militare del campo avversario.
La Roma invece si difende sulla mediana, per calcolo e per necessità. Con la difesa a quattro, tiene un intenditore a protezione dei centrali: un ruolo cucito addosso a De Rossi ma indossato bene anche da Keita. Abbassando gli interni, e alzando la linea difensiva, Garcia quasi allinea 5-6 uomini in pochi metri, chiede ai difensori l’azzardo dell’anticipo, e li sceglie con queste caratteristiche (Manolas, sostituto ideale di Benatia, anche se manca la dote di gol). Lascia gli avversari palleggiare, ma non li fa passare. Questo addensamento “basso”, ma ben fuori dall’area di rigore, è ideale anche per poter lanciare Gervinho e Florenzi in contrattacchi lunghi. A rimorchio arrivano poi Pjanic e gli altri, compreso i terzini. Il tecnico francese è stato enorme nel permeare tutto l’organico di questa possibilità di protagonismo, che sgorga dall’umiltà di “gruppo”: la Roma si procura i suoi spazi accettando di far giocare gli altri (o subendoli, nel caso). La Juventus invece cerca di non far giocare, cerca il dominio ovunque, in Italia soprattutto non accetta flessioni o concessioni. Il risultato è lo stesso: arrivare a tirare nella porta di Buffon e De Sanctis è ugualmente difficile. Ma se Tevez va attivato a 30 metri dalla porta, e dunque la squadra spinge lassù, i romanisti rendono meglio se partono più indietro. Totti e Destro sono perni opposti per la profondità, ma con lo stesso compito: lo splendido 38enne arretra e fa correre la palla assecondando con carisma e classe i movimenti altrui, il centravanti va a lottare con i centrali, cercando di tenerli bassi, e procurare così il campo per le corse dei compagni.
L’azione della Juventus è continua, asfissiante, fisica. La Roma al di là del contropiede sempre acceso, fa la voce grossa a folate, spesso cadenzate: in avvio dei tempi, quasi sempre. Poi rifiata, prende le misure. Poi riparte. Da gennaio, Nainggolan ha aggiunto fluidità al giro palla, riempiendo un’azione che Pjanic governa a momenti. Cambia l’uso degli esterni bassi: nella Juventus, avanzano senza palla, soprattutto Litchsteiner, protetti dalla difesa a tre. Ricevono spesso direttamente dentro l’area, sul movimento. E succede che siano anche i giocatori più “alti” in campo: altro lascito di Conte, per ora recuperato senza vergogna da Allegri (che però a sinistra con Evra parte più da lontano…). Nella Roma, Maicon, Cole, Torosidis salgono in “catena” con l’interno o con Totti. Quando Maicon (soprattutto) arriva in fondo (e tira, o crossa) quasi sempre ha già partecipato all’azione. La fonte del gioco nella Roma è più varia perché spesso più individualistica. Nella Juventus c’è un’origine di squadra anche se poi è decisiva la capacità – immensa – di Tevez e Llorente di proteggere il pallone, e far arrivare gli altri, per collocare tutta la squadra all’attacco. La Roma lo fa con più parsimonia, a folate, appunto anche se sa diventare “potente”. Spesso delega ai movimenti degli attaccanti: rivedere le reti su azione in questo campionato aiuta a capire. I giochi combinati (con e senza palla) del terzetto d’attacco confezionano molti gol. L’alternativa del tiro da fuori è comunque stata altrettanto decisiva. Nella Juventus l’azione (quasi ogni azione…) può essere finalizzata da “dentro l’area” da 5-6 giocatori. Le marcature non bastano più, l’Atletico in un certo modo (ma purtroppo difficilmente ripetibile) insegna che la soluzione è quella di affrontarli nei duelli sparsi, lontani dalla porta, una specie di battaglia a campo aperto che però fisicamente, in Italia, non può permettersi nessuna squadra. In più, c’è lo stato di grazia di Tevez, giocatore che ha nascosto l’assenza di Pirlo, inventando calcio 30 metri di campo più avanti rispetto all’azione del regista. In questo momento sa mettersi davanti ai difensori, è in salute fisica e mentale, anticiparlo (si è detto: la più importante qualità tattica chiesta da Garcia ai difensori) sarà decisivo per le speranze della Roma.
Lo scorso anno la Juventus guadagnò tutti i punti perché la consueta concessione del campo della Roma è proibita con chi poi quel campo non te lo restituisce più. E per una mossa tattica (all’andata) che Conte rivelò dopo il 3-0: abbassò la Juventus, lasciando avanzare la Roma, di fatto anestetizzandone il contropiede. Vero, verissimo. Ma certe cose si dicono anche per raccogliere complimenti. Nel primo gol, quello che spaccò una partita che sembrava equilibrata, segnato da Vidal su assist di Tevez, ci sono quattro juventini dentro l’area piccola! È questa la forza d’impatto, questa la tattica “imparabile”, la possente violazione del campo altrui che ancora lascia la Juventus in lieve vantaggio sugli altri. Il passato va in campo, sempre e comunque, ma può essere battuto da una storia nuova, le cose finiscono, così come sono iniziate. Da tifosi o semplici appassionati, o anche tifosi di altre squadre, è una partita importante da vedere, è la migliore che il nostro calcio può offrire, il miglior marchio che può vendere. Bisogna guardarla con questo affetto e con questo calcolo, con questo istinto di conservazione e sopravvivenza.
Questa lunga premessa su Allegri era per pareggiare la Juventus alla Roma, in questa recita europea. Va anche detto che per la Juventus questa era la partita “meno” importante del girone: le rivali sono le altre due. Non fu la sconfitta a Madrid che eliminò lo scorso anno i bianconeri, ma il pareggio a Torino con il Galatasaray. Mentre per la Roma era quello di Manchester il duello decisivo, contro il City si giocherà la qualificazione: per l’andazzo della prima ora di gioco, c’era la possibilità di eliminare i maggiori rivali dal girone, subito, a casa loro. Non è detto che questo differente peso psicologico (inverso ai risultati) non gravi su questo pezzo di settimana che conduce alla partita di domenica. Bella, si spera, e sicuramente attesa: sono le due squadre più forti, le due società che hanno lavorato meglio in questi anni fra quelle ambiziose. Possono viaggiare in Europa con i documenti in regola, e la loro salute è un beneficio per tutto il movimento. Hanno tecnica, fisicità, mentalità. Ci sbilanciamo: chi vede equilibrio è troppo gentile con la Roma. La Juventus ha ancora qualcosa in più: ereditata da un triennio vincente, rinnovata dalla duttilità e dall’intelligenza di Allegri. La Roma ha accorciato, non pareggiato. Sono opinioni, soggette alla prova del tempo e questo logorio potrebbe arrivare in fretta, fra tre giorni. Ci “offriamo” allo sbertuccio. Vedremo. Il giudizio tiene conto di una considerazione del campo che ci pare ancora maggiore nella Juventus. I bianconeri difendono anche quando attaccano, anzi, nel forcing c’è la necessità di tenere gli altri fuori dal match: tatticamente, emotivamente. Con Conte questa padronanza era più piena, con Allegri in alcuni momenti è più “leggera”, basata più sul possesso palla che sull’occupazione militare del campo avversario.
La Roma invece si difende sulla mediana, per calcolo e per necessità. Con la difesa a quattro, tiene un intenditore a protezione dei centrali: un ruolo cucito addosso a De Rossi ma indossato bene anche da Keita. Abbassando gli interni, e alzando la linea difensiva, Garcia quasi allinea 5-6 uomini in pochi metri, chiede ai difensori l’azzardo dell’anticipo, e li sceglie con queste caratteristiche (Manolas, sostituto ideale di Benatia, anche se manca la dote di gol). Lascia gli avversari palleggiare, ma non li fa passare. Questo addensamento “basso”, ma ben fuori dall’area di rigore, è ideale anche per poter lanciare Gervinho e Florenzi in contrattacchi lunghi. A rimorchio arrivano poi Pjanic e gli altri, compreso i terzini. Il tecnico francese è stato enorme nel permeare tutto l’organico di questa possibilità di protagonismo, che sgorga dall’umiltà di “gruppo”: la Roma si procura i suoi spazi accettando di far giocare gli altri (o subendoli, nel caso). La Juventus invece cerca di non far giocare, cerca il dominio ovunque, in Italia soprattutto non accetta flessioni o concessioni. Il risultato è lo stesso: arrivare a tirare nella porta di Buffon e De Sanctis è ugualmente difficile. Ma se Tevez va attivato a 30 metri dalla porta, e dunque la squadra spinge lassù, i romanisti rendono meglio se partono più indietro. Totti e Destro sono perni opposti per la profondità, ma con lo stesso compito: lo splendido 38enne arretra e fa correre la palla assecondando con carisma e classe i movimenti altrui, il centravanti va a lottare con i centrali, cercando di tenerli bassi, e procurare così il campo per le corse dei compagni.
L’azione della Juventus è continua, asfissiante, fisica. La Roma al di là del contropiede sempre acceso, fa la voce grossa a folate, spesso cadenzate: in avvio dei tempi, quasi sempre. Poi rifiata, prende le misure. Poi riparte. Da gennaio, Nainggolan ha aggiunto fluidità al giro palla, riempiendo un’azione che Pjanic governa a momenti. Cambia l’uso degli esterni bassi: nella Juventus, avanzano senza palla, soprattutto Litchsteiner, protetti dalla difesa a tre. Ricevono spesso direttamente dentro l’area, sul movimento. E succede che siano anche i giocatori più “alti” in campo: altro lascito di Conte, per ora recuperato senza vergogna da Allegri (che però a sinistra con Evra parte più da lontano…). Nella Roma, Maicon, Cole, Torosidis salgono in “catena” con l’interno o con Totti. Quando Maicon (soprattutto) arriva in fondo (e tira, o crossa) quasi sempre ha già partecipato all’azione. La fonte del gioco nella Roma è più varia perché spesso più individualistica. Nella Juventus c’è un’origine di squadra anche se poi è decisiva la capacità – immensa – di Tevez e Llorente di proteggere il pallone, e far arrivare gli altri, per collocare tutta la squadra all’attacco. La Roma lo fa con più parsimonia, a folate, appunto anche se sa diventare “potente”. Spesso delega ai movimenti degli attaccanti: rivedere le reti su azione in questo campionato aiuta a capire. I giochi combinati (con e senza palla) del terzetto d’attacco confezionano molti gol. L’alternativa del tiro da fuori è comunque stata altrettanto decisiva. Nella Juventus l’azione (quasi ogni azione…) può essere finalizzata da “dentro l’area” da 5-6 giocatori. Le marcature non bastano più, l’Atletico in un certo modo (ma purtroppo difficilmente ripetibile) insegna che la soluzione è quella di affrontarli nei duelli sparsi, lontani dalla porta, una specie di battaglia a campo aperto che però fisicamente, in Italia, non può permettersi nessuna squadra. In più, c’è lo stato di grazia di Tevez, giocatore che ha nascosto l’assenza di Pirlo, inventando calcio 30 metri di campo più avanti rispetto all’azione del regista. In questo momento sa mettersi davanti ai difensori, è in salute fisica e mentale, anticiparlo (si è detto: la più importante qualità tattica chiesta da Garcia ai difensori) sarà decisivo per le speranze della Roma.
Lo scorso anno la Juventus guadagnò tutti i punti perché la consueta concessione del campo della Roma è proibita con chi poi quel campo non te lo restituisce più. E per una mossa tattica (all’andata) che Conte rivelò dopo il 3-0: abbassò la Juventus, lasciando avanzare la Roma, di fatto anestetizzandone il contropiede. Vero, verissimo. Ma certe cose si dicono anche per raccogliere complimenti. Nel primo gol, quello che spaccò una partita che sembrava equilibrata, segnato da Vidal su assist di Tevez, ci sono quattro juventini dentro l’area piccola! È questa la forza d’impatto, questa la tattica “imparabile”, la possente violazione del campo altrui che ancora lascia la Juventus in lieve vantaggio sugli altri. Il passato va in campo, sempre e comunque, ma può essere battuto da una storia nuova, le cose finiscono, così come sono iniziate. Da tifosi o semplici appassionati, o anche tifosi di altre squadre, è una partita importante da vedere, è la migliore che il nostro calcio può offrire, il miglior marchio che può vendere. Bisogna guardarla con questo affetto e con questo calcolo, con questo istinto di conservazione e sopravvivenza.