Hiroshima contro Nagasaki: il match della pace per dire mai più all'atomica
Per lo stesso motivo, presenza di fiumi o laghi nelle immediate vicinanze vennero scartate Niigata e Kyoto. Fu lo stesso Truman d’accordo con il segretario della guerra del suo governo Stimson a scegliere Hiroshima. Perché più attiva dal punto di vista militare e di fornitura industriale all’esercito imperiale nipponico ma anche perché più densamente popolata. Serviva una forte azione dimostrativa che piegasse definitivamente un Giappone molto provato. Gli americani avevano dato vita a una incessante azione di bombardamento che aveva completamente distrutto dieci importanti città e definitivamente compromesso le infrastrutture di altre cinquanta. L’atomica doveva essere il colpo di grazia. E lo fu.
Nagasaki invece fin dall’inizio fu un obiettivo primario: era il porto principale del Giappone e i suoi cantieri continuavano a lavorare e a produrre e riparare navi da guerra, 24 ore su 24. Il progetto Enola Gay – nome della madre del comandante Tibbetts che era alla cloche del B29 che sganciò il primo ordigno - scattò il 4 maggio quando Truman richiese la fornitura di tre ordigni atomici ai laboratori di Los Alamos che per la verità lavoravano alle atomiche da almeno due anni e da sei mesi avevano chiuso la cosiddetta fase di sperimentazione. Le bombe erano pronte: si chiamavano Little Boy e Fat Man. La prima venne scelta per Hiroshima: cinque tonnellate di acciaio che contenevano appena 65 chili di uranio 235 per una potenza di circa 15 chilotoni.
Le tre bombe furono imbarcate per le Marianne e lì, due di esse, due mesi dopo, sarebbero state caricate sui B29 che il 6 di agosto avrebbe puntato su Hiroshima e il 9, con un’altra operazione distinta, su Nagasaki. Si calcola che le persone decedute a seguito delle due esplosioni siano state 150 mila. Impossibile ricostruire quanto persone siano morte negli anni a venire per le conseguenze delle radiazioni che continuarono ad abbattersi sul Giappone da terra, ma soprattutto dall’aria per due mesi. I B29 che sorvolavano continuamente il paese non si contavano più, la contraerea nipponica era stata smantellata: l’85% della forza aerea del Giappone era stata annientata. La US Air Force inviò cinque perlustrazioni prima di sganciare la comba su Hiroshima e altre tre su Nagasaki prima di affidate al B29 Bockscar pilotato dal maggiore Sweeney l’incarico di sganciare il secondo ordigno, un Fat Man contenente circa 4 chili di plutonio che cadde esattamente tra l’Arsenale nazionale e i capannoni della Mitsubishi.
Dal Giappone nessuna resistenza: i due aerei passarono, sganciarono le bombe e restarono a malapena in aria per le conseguenze di una mostruosa onda d’urto. Qualche tempo più tardi l’Imperatore consegnò la resa e il Giappone, in ginocchio, uscì dal conflitto. Hiroshima oggi è una città meravigliosa, verde, ricchissima di parchi e di aree di studio ma è anche un museo a cielo aperto dedicato alla memoria di quello che è stato uno dei più tragici sacrifici dell’umanità. La città si è risollevata da un terremoto e anche da un disastroso tifone. La Pagoda della Pace è uno dei monumenti più visitati di tutto il Giappone, così come il Museo della Pace e della Memoria inaugurato dieci anni dopo l’atomica. Nagasaki ha mantenuto la sua connotazione industriale ma ha anche accentuato la sua innata vocazione spirituale: si tratta in assoluto di una delle città più religiose e ispirate del paese. L’Arco di Ground Zero a Sanno Shire è visitato ogni giorno da centinaia di persone: il 10 agosto qui, come a Hiroshima è giornata del ricordo e delle riflessione. L’immagine dei cerchi concentrici che si dipanano sul terreno nel punto esatto di impatto della bomba è davvero impressionante. Comunque la si pensi. Gli americani che sono venuti a fare visita alle due città colpite fin dal 1945 sono milioni: così come ogni anno c’è anche una corona di fiori giapponese che finisce tra le acque di Pearl Harbour, ricordando il drammatico attaccò che aprì il conflitto del pacifico.
Tra Hiroshima e Nagasaki dunque, anche se non è una ricorrenza così abituale perché entrambe le squadre hanno vissuto nelle retrovie del campionato, non può essere una partita come le altre. I tifosi sono arrivati all’Edion Stadium del Sanfrecce di Hiroshima insieme e in silenzio: e in silenzio sono rimasti fino all’inizio della partita, anche dopo il kickoff. Un momento solo per ricordare che ci sono cose che vanno al di là del calcio e che non è retorica, e che non possono annoiare e non si possono mettere da parte anche se sono passati ormai tanti anni. Il capitano del Sanfrecce Hiroshima Toshihiro Aoyama ha detto… “spero che questa partita serva a tutti gli spettatori di ogni parte del mondo per capire il vero valore della pace”. Il Sanfrecce ha indossato il numero 86, ricordando il 6 di agosto secondo la modalità del calendario internazionale mentre tutti i giocatori del V Varen Nagasaki hanno indossato alla stessa maniera l’89, il 9 agosto.
È la prima volta che capita che la JLeague accolga una richiesta di calendarizzazione di un match per motivi di carattere ‘morale’: sono stati Sanfrecce e V Varen a chiedere di giocare nella seconda settimana di agosto. In precedenza si era cambiato il campionato solo per rimediare al disastro di Fukushima e dare comunque una speranza a un paese nuovamente abbattuto. Il Sanfrecce, al comando della classifica, ha vinto 2-0. Iniesta, appena adottato dalla JLeague, ha detto poche parole sulla questione del Peace Match: “È una lezione, andrebbe imparata da tutti: nessuno escluso”.