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  • Gli ultras si accoltellano e i tifosi pagano: così lo Stato ammazza il calcio

    Gli ultras si accoltellano e i tifosi pagano: così lo Stato ammazza il calcio

    • Andrea Distaso
      Andrea Distaso
    E’ un primo passo, certamente, ma ancora non basta. Il nuovo giro di vite dato dal governo Meloni e dal Ministro dell’Interno Piantedosi sulle trasferte delle tifoserie di Napoli e Roma, dopo i gravissimi incidenti di domenica scorsa presso l’area di sosta di Badia al Pino, è il primo atto concreto del nuovo esecutivo per fronteggiare un fenomeno tornato drammaticamente a suscitare l’attenzione generale. E ad evidenziare come, pur in presenza di normative precise e ad hoc che consentirebbero a forze dell’ordine e magistrature di prevenire, arginare e reprimere i comportamenti criminali delle frange più estreme degli ultras, a livello politico non si combatta ancora con la necessaria determinazione una battaglia dalla quale lo Stato non può accontentarsi di uscire con un pareggio. Nella migliore delle ipotesi.

    Vietare per un limitato periodo di tempo lo spostamento di centinaia o migliaia di persone nelle varie città d’Italia per seguire le proprie squadre del cuore è indiscutibilmente un tentativo di scongiurare nuovi scontri tra bande di delinquenti in grado di concordare preventivamente appuntamenti - anche lontano dagli stadi - per darsele di santa ragione o addirittura accoltellarsi. Anche coinvolgendo personaggi meno raccomandabili del solito come pregiudicati e daspati. Ma allo stesso tempo è più che lecito porsi una domanda, come ha fatto peraltro il presidente del Torino Urbano Cairo: "La violenza è orribile ma è un peccato limitare la libertà delle persone che vogliono vedere una partita. Credo ci voglia più controllo e più attenzione, questi incontri strani fra le tifoserie in autogrill non devono avvenire. Mi dispiacerebbe se ci fossero limitazioni per i tifosi, è una misura da ultimissima spiaggia". Perché qui sta il punto: è mai possibile che in Italia continui, in ogni ambito, a vigere il principio tale per cui la collettività debba sempre pagare un prezzo più alto per i comportamenti illeciti di una minoranza?

    Il fenomeno ultrà è noto da tempo in ogni settore delle istituzioni. Eppure, continua ad essere contrastato e combattuto con le stesse metodologie. La gente comune, quella che magari si ritrova a fare i conti coi danni lasciati da certa teppaglia - in autogrill e supermercati saccheggiati o con autovetture e moto danneggiate da atti vandalici - è stanca e attende da troppo tempo provvedimenti esemplari. Leggere, come è accaduto pure nelle scorse ore, di criminali immediatamente rimessi in libertà dopo il fermo - in quanto non ritenuti sottoponibili al principio della flagranza di reato differita - alimenta la percezione nel cittadino medio di un senso di impunità generale di cui godono certi soggetti e certi settori della nostra società. Perché, ricordiamolo, le leggi ci sono e in molti casi sono pure ben scritte e tecnicamente efficaci. Ma, finché mancherà la volontà di farle applicare, a pagare il prezzo più alto sarà sempre la maggioranza silenziosa per colpa di una minoranza rumorosa e sempre più violenta.
     

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