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Ezio Loik, l'elefante buono del Grande Torino: la vita di una leggenda
Ogni sera, tornato nella pensione dove viveva con molti dei suoi compagni di squadra, Ezio svuotava il suo portafoglio e metteva tutte le banconote sul letto.
Poi le contava religiosamente, una ad una.
Anche più volte per essere certo che il conteggio fosse giusto.
Qualcuno racconta che quelle più stropicciate addirittura le stirasse, per renderle perfette e piacevoli alla vista.
Sapeva già dove sarebbero finite la maggior parte di loro.
Spedite alla famiglia ai Fiume, dove vivevano i genitori e i due fratelli, Egeo ed Ervino.
Era così da sempre.
Da quando aveva lasciato Fiume per fare il calciatore.
Era bravo, molto bravo con un pallone tra i piedi.
Al Milan lo avevano capito prima degli altri.
Ancor prima di compire diciotto anni lo prelevano dalla Fiumana, società polisportiva della città di Ezio e dopo poco viene inserito in prima squadra.
Ad un primo sguardo non era il calciatore in grado di rapirti con le sue giocate, la sua tecnica o le movenze eleganti.
Anzi, il suo era un incedere macchinoso, quasi sgraziato ... ma assolutamente possente.
Iniziarono a chiamarlo “l’elefante”.
Ma non in tono dispregiativo, tutt’altro.
Dove passava lui con il suo metro e ottanta, le spalle robuste e le gambe forti e muscolose gli avversari cedevano il passo ... e quasi sempre anche il pallone!
Al suo primo anno al Milan deve fare la classica gavetta.
Un pugno di partite.
Sei per l’esattezza segnando però ben quattro reti.
Per un centrocampista non è certo una media trascurabile soprattutto se come priorità hai quella di rincorrere gli avversari e recuperare palloni.
Quella forza che ha nel fisico ce l’ha anche nei piedi e quando tira in porta sa fare male.
Precisione e potenza.
Al Milan rimane tre stagioni prima che il Venezia si faccia avanti per il suo cartellino.
Siamo nel 1940. L’anno che cambierà per sempre la vita e la carriera di Ezio Loik.
Si, perché in quello stesso anno a Venezia arriva anche Valentino Mazzola, il più forte calciatore italiano dell’epoca.
Tra i due nasce un’intesa immediata, dentro e fuori il rettangolo di gioco.
In un’epoca dove i numeri sulla schiena avevano ancora un senso Ezio gioca con il numero “8” e Valentino con il “10”.
Ezio corre, lotta e “porta acqua” come il più fedele dei gregari.
Valentino inventa, segna e delizia il pubblico con la sua infinita classe.
Ezio però il vizio del gol non lo ha mica perso.
Nelle due stagioni in laguna va in rete ben tredici volte e sono gol talmente belli che da quelle parti si ricorderanno di lui come “l’uomo dai gol impossibili”.
Il Venezia assurge a livelli mai neppure sognati fino ad allora.
Nella prima stagione di Ezio e Valentino arriva il trionfo in Coppa Italia mentre al termine della stagione successiva i “lagunari” chiudono il campionato con un eccellente terzo posto.
E’ pero evidente che due giocatori di quel livello non possono non attirare le attenzioni dei grandi club delle metropoli del nord.
A sbaragliare la concorrenza ci pensa il Torino del Presidente Ferruccio Novo che sventola davanti alla dirigenza del Venezia un assegno da un milione e duecentomila lire, che, insieme ad una contropartita tecnica di due giocatori (Mezzadra e Petron) che faranno il percorso inverso, permetterà ai granata di schierare tra le proprie fila la coppia di mezze ali.
Siamo nel 1942.
L’Italia è da due anni in guerra a fianco della Germania nazista di Adolf Hitler.
Il “foot-ball” però non si ferma.
Il Torino, dopo una strenua lotta contro il sorprendente Livorno, mette le mani sul titolo.
Valentino ed Ezio non saltano una sola partita e contribuiscono con 11 reti il primo e 9 il secondo alla conquista del titolo.
Le basi per quella considerata da molti come la più grande squadra di club della storia del calcio italiano sono state gettate.
In quello che resta di quei tormentati anni ’40 il Torino diventerà praticamente invincibile.
Quattro scudetti consecutivi e un calcio che era molto di più che semplicemente “vincere”. Era organizzazione, era spirito di squadra, era qualità ... ed era soprattutto “bellezza”.
Tutto questo finirà a Superga, in un maledetto giorno di pomeriggio di maggio del 1949 che si porterà via Ezio, Valentino e tutti i loro compagni.
ANEDDOTI E CURIOSITA’
Ezio perse poco prima della fine della guerra uno dei suoi fratelli, Egeo.
Arruolato nella Guardia Nazionale Repubblicana creata nel dicembre del 1943 per contrapporsi alle forze della Resistenza Italiana.
Per Ezio fu un grande dolore che gli fece ancora di più odiare la guerra dopo che il padre fece l’operaio, sottopagato, in una fabbrica che si occupava di assemblare siluri per le navi da guerra.
Furono proprio gli anni dell’infanzia, vissuti poco sopra la soglia della miseria, che Ezio imparò il valore e l’importanza del denaro. Il misero salario del padre Roberto non bastava a sfamare cinque bocche.
E così Ezio, a cui carattere e coraggio non sono mai mancati, iniziò in qualche modo ad arrangiarsi per dare una mano alla famiglia.
In un’occasione, nel pieno del rigido inverno di Fiume, Ezio decise di “prelevare” un po’ di prezioso carbone da un camion di passaggio.
Durante l’operazione lasciò un piede sotto la ruota del mezzo.
«Fu uno degli spaventi più grandi di tutta la mia vita. Pensavo di essermi rotto tutte le ossa del piede e di non poter più giocare a calcio ... l’unica cosa che in quegli anni mi dava un po’ di conforto» ricorderà lo stesso Loik in merito a quell’incidente.
Ancora più eloquente fu quanto Ezio decise di fare nei confronti del bottegaio del quartiere che un giorno decise di smettere di fare credito alla famiglia Loik.
La punizione che escogitò il ragazzino fu esemplare.
Catturò e uccise due grossi topi di fogna, li cosparse di petrolio, diede loro fuoco e li lanciò all’interno del negozio del bottegaio malfidato.
... senza che nessuno fosse stato in grado di risalire a lui ...
«Oggi segnerò un gol per te. Così capisci che ti amo e mi sposi».
Si, forse non era Leopardi ma questo meraviglioso biglietto fu quello che Enzo Loik fece arrivare alla futura moglie, la sua adorata Ilia, poco prima di una partita.
... tanto era l’entusiasmo e l’amore per lei che il gol di Ezio arrivò al primo minuto di gioco!
Anche per uno come Loik che sfuggiva la gloria personale sempre a beneficio della squadra, arrivò finalmente il suo giorno di gloria da consegnare alla memoria ... in questo caso dei tifosi del Venezia.
E’ il 15 giugno del 1941. Allo stadio Pier Luigi Penzo di Venezia si gioca la partita di ritorno della finale di Coppa Italia. All’andata allo Stadio Nazionale di Roma contro i giallorossi padroni di casa, finì tre a tre.
La partita è combattuta ed estremamente equilibrata e il risultato non si sblocca.
Mancano ormai meno di venti minuti alla fine quando Ezio Loik riesce a segnare il gol decisivo facendo impazzire di gioia i quindicimila tifosi del Venezia sugli spalti.
... Per il Venezia Football Club è ancora oggi l’unico grande trofeo in bacheca.
Così descrive Ezio Loik il giornalista Ettore Berra, una delle grandi “penne” dell’epoca.
«Non vi capiterà mai di vedere Ezio Loik indeciso. Mai, come a molti succede, che si fermi e che giri il suo sguardo sul campo per decidere a chi o in quale direzione passare la palla.
E’ un motore senza battute d’arresto.
La sua non è una tecnica di fantasia. Nella sua azione non ci sono squarci di virtuosismo ma nemmeno vi riscontrerete della faciloneria.
Egli semplifica, riduce il giuoco all’osso, ne trae l’essenziale.
Ezio Loik è una mezz’ala modello.
Tutto quello che fa in campo sono segnali inequivocabili di adattabilità e di intelligenza, quell’intelligenza che nei nostri giuocatori non è tanto diffusa come si vorrebbe credere».