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    Dimarco: "Inzaghi decisivo, ho dovuto pregare Conte di lasciarmi partire. Le parole più belle? Di Ausilio"

    Dimarco: "Inzaghi decisivo, ho dovuto pregare Conte di lasciarmi partire. Le parole più belle? Di Ausilio"

    Nel corso della lunga intervista concessa al BSMT, il podcast di Gianluca Gazzoli, il terzino dell'Inter, Federico Dimarco ha parlato anche del suo percorso con la maglia dell'Inter in tutti i suoi passaggi. Un giro lunghissimo, ma che ora l'ha riportato ad essere uno dei migliori interpreti del suo ruolo e con la maglia per cui tifa addosso.

    L'ULTIMO DEI PREDESTINATI - "Io sono l'ultimo dei predestinati. Io quando scendo in campo con la maglia dell'Inter cerco di essere me stesso. Come sono in campo lo sono anche fuori. Sono un competitivo, cerco sempre di aiutare i miei compagni, nelle partite importanti cerco di dare uno stimolo in più. Quando vesti la maglia dell'Inter ci sono partite più importanti delle altre e quindi cerco sempre di dare il mio contributo con una parola in più e questo mi piace perché devo tanto a quello che ho passato nel settore giovanile, quello che mi hanno insegnato tutte le persone che ho avuto e cerco di portarmele sia fuori dal campo che quando vado in campo".

    FIGLI INTERISTI - "Certo… Sono ben indirizzati, non hanno avuto grande scelta".

    GLI ESORDI - "Io ho iniziato ad andare in prima squadra quando avevo 16 anni. C'era Mazzarri in panchina, ma c'erano le leggende del triplete come Samuel, Milito, era l'ultim anno di Zanetti. Quando sei così giovane è come una giostra. Vedere Milito che ha fatto quella doppietta in finale di Champions è stato emozionante. In quel periodo andavo solo ad allenarmi. Quando è subentrato Mancini ho iniziato ad essere conovcato. Poi i due esordi in Europa League e contro l'Empoli a fine campionato. Per l'importante era esordire, è stato bello c'erano tanti ragazzi della Primavera convocati. All'epoca però c'erano ancora solo 3 cambi, eravamo in 4-5 e sono stato fortunato, però è stato bellissimo perché emozioni così si provano una volta sola. Quella sera ho fatto 4 ore di viaggio di ritorno, ho dormito ad Appiano e mi sono allenato la mattina dopo".

    L'INTER CON CONTE - "Non credo che l'inversione c'era stata a Parma. Dopo un paio di allenamenti tornato all'Inter viene Conte e mi dice: "Fede, voglio che rimani". Li ero felice perché quando arriva uno come lui e ti dice quelle cose rimani un po' spiazzato. Alla fine ho fatto 6 mesi e a gennaio ho dovuto supplicarlo per andar via. Erano però arrivati altri giocatori come Ashley Young, Moses e da lì ho scelto di andare a giocare. Era bello stare all'Inter, ma non mi sentivo a mio agio, mi sentivo inadatto per il livello che mi sembrava troppo alto per me".

    IL DEFINITIVO RITORNO - "Non mi hanno mai detto "È il momento di tornare a casa". Mi hanno solo detto di tornare per andare in ritiro. Non sapevo niente, il Verona poteva comprarmi e l'Inter aveva il controriscatto. Però da lì pian piano, esperienza dopo esperienza, cresci e diventi tutt'altro giocatore rispetto a prima. Non ero comunque pronto per giocare determinate partite. Poi quando inizi a fare quelle esperienze impari a stare nello spogliatoio con determinati giocatori, il tuo livello si alza se impari a rubare quello che c'è di positivo". 

    GLI ESEMPI NELLO SPOGLIATOIO - "Un giocatore che è stato devastante e fondamentale è stato Perisic. Quell'anno lì ha fatto un anno incredibile. Poi se hai nello spogliatoio gente come Edin Dzeko che ha giocato in grandi squadre ti trasferisce l'esperienza. Poi Skriniar, Handanovic, Barella che lo conosco da quando avevo 15 anni, Bastoni, poi vabbé Lautaro. Le parole più belle? Del direttore Piero Ausilio. Mi sono guardato indietro e sentire quelle parole dal direttore mi hanno fatto bene".

    PERCORSO - "Io penso che ogni giocatore debba essere padrone del proprio destino. Quando fa delle scelte deve essere consapevole e andare in fondo alla scelta. Ogni giocatore è diverso, io magari ho avuto bisogno di cambiare 5 squadre prima di tornare all'Inter, ma non si può giudicare un percorso rispetto a un altro. Ognuno deve fare quello che si sente, quello che paga è il lavoro. Quando sono tornato all'Inter ho sentito la differenza, mi sentivo pronto, mi sentivo dentro all'ambiente. Dopo aver fatto tante esperienze e dimostrato chi ero veramento mi sono sentito importante". 

    MATERAZZI - "Ci sentiamo spesso. Siamo simili sull’attaccamento all’Inter. Ci siamo sempre sentiti per le partite, c’è un bel rapporto, ci sentiamo spesso". 

    IL GOL PIU' BELLO - "Ti dico la punizione di quando ho fatto gol contro la Samp. Il primo gol in assoluto con l’Inter, per tutte le cose insieme. Se devo far vedere una partita in particolare, a mio figlio farei vedere questa per prima".

    IL GOL COL FROSIONE DA META' CAMPO - "Col Frosinone. Grande giocata ma preferisco mille volte il gol su punizione contro la Samp".

    LO SPOGLIATOIO INTERISTA - "All’Inter siamo tutti un gruppo di… una parola che non si può dire. Stiamo veramente bene insieme e si vede anche in campo perché in campo trasmetti ciò che sei nello spogliatoio. E nella squadra dell’anno scorso chiunque entrava dava sempre il massimo, e non è sempre facile perché di base chi non gioca non è mai contento. Poi ci sono giocatori con cui hai un rapporto migliore di un altro, io ad esempio ho ovviamente Bastoni con cui giocavo a Parma, Barella che conosco da quando avevo 14 anni, Matteo Darmian, Di Gennaro, Acerbi, poi c’è sempre Marcus. Lo ha già raccontato pure lui nel film dell’Inter, quando è arrivato lui, in lui non ci credeva nessuno ci credevo solo io e infatti dopo lo scudetto ho cominciato a ricordarglielo. Gli dicevo sempre ‘ricordati che quando sei arrivato non ti voleva e cagava nessuno’, (ride ndr) io provo sempre a stuzzicarlo sia nei momenti più belli che in quelli più brutti".

    I GIOVANI - "I giovani io li aiuto sempre, ma servono anche le bastonate. Stankovic l’anno scorso veniva con me a tutti gli allenamenti, robe che ai miei tempi non succedevano mai, ma per quello che ho passato cerco di aiutare i giovani. Con Ale poi abitavamo uno sopra l’altro, ma in generale sono così. Lo stesso è in Nazionale, quando sono arrivato in Nazionale ero uno dei più giovani, ora sono uno dei più vecchi, il calcio cambia velocemente. E quando cresci devi anche prenderti certe responsabilità".

    L'INTER DEL TRIPLETE - "A parte quella del Triplete? Troppo facile quello. Mi sarebbe piaciuto giocare con Maicon, Eto’o, giocatore di uno spessore allucinante, ti trasferiva la sua aura già dalla tv, era incredibile".

    SANTON E BALOTELLI - "La prima volta che sono andato allo stadio avevo tre anni, con mio zio e mio nonno. Loro mi portavano sempre allo stadio. Sul rapporto col tifoso tutto dipende anche dal modo in cui qualcuno tratta l’Inter e dipende anche dalle partite e dal risultato. Io cerco sempre di trattare l’Inter in maniera speciale, questo forse mi aiuta. Poi negli anni sono pochi i giocatori che sono venuti dal settore giovanile dell’Inter alla Prima squadra, personalmente ne ricordo solo due: Santon e Balotelli".

    LA CURVA - "Io andavo a fare il piccolo tifoso. Speravo che l’Inter vincesse e basta. Il periodo più chiaro che ricordo va dal 2006 al 2012 più o meno. Da Mancini, Triplete in poi…".

    INZAGHI - "Negli anni ho imparato a conoscerlo meglio. La sua forza anche all’interno del gruppo è che anche nei momenti, anche in cui non andavamo bene, porta leggerezza e tranquillità per stemperare. Credo che quello è uno dei suoi pregi migliori che ci ha portato anche allo scudetto, non sempre è semplice, specie con le teste che ci sono all’Inter".

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