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  • Inter, Dimarco: "Non ero predestinato, ho fatto ricredere tutti. A Sion volevo smettere, punizione militare e persi un figlio"

    Inter, Dimarco: "Non ero predestinato, ho fatto ricredere tutti. A Sion volevo smettere, punizione militare e persi un figlio"

    • Redazione CM
    Il terzino sinistro dell'Inter, Federico Dimarco ha concesso una bella intervista a cuore aperto passando dal BSMT il podcast di Gianluca Gazzoli e pubblicato su Youtube.

    SOPRANNOMI - "C'è sempre stato Dima, poi Dimash nasce da quando sono tornato all'Inter. È stato mister Inzaghi a inventarlo. Come mai? Sinceramente non lo so, gli è nata così dal nulla e da lì anche un po' per gli altri sono diventato Dimash e l'abbiamo portato avanti. E quando abbiamo vinto il campionato l'abbiamo usato. Whisky? Era ai tempi del Verona, ma è passato".

    GESTIRE GLI IMPEGNI- "Vestire la maglia della nazionale è sempre bello. Ovvio ci sono tante partite durante l'arco dell'anno e devi sapertele gestire al meglio sia con l'Inter che con l'Italia. Sai quando c'è il campionato ci sono tante partite e puoi gestirtele meglio. Quando sei in Nazionale sono partite secche e devi tenere in alto l'onore della maglia".

    L'ITALIA - "Stiamo facendo bene dopo il brutto Europeo che abbiamo fatto e ci voleva questa nuova freschezza. Come funziona? Noi giochiamo in campionato e la domenica sera ci si ritrova a Coverciano. In base a quando giochi il ritrovo è la domenica sera, solo se giochi domenica sera slitta alla mattina. Un po' di giocatori rispetto all'Europeo sono cambiati, sono arrivati tanti giovani e questo è un bene perché la squadra giovane ha tanti margini per crescere".

    LA MAGLIA AZZURRA - "Fa un bell'effetto. Io non è che ci sono arrivato prestissimo in Nazionale. 2 anni fa sono arrivato a giocare con continuità con mister Mancini. Da lì è iniziato un percorso, c'è stato l'Europeo e nessuno è contento di com'è andata ma da li si riparte".

    L'ULTIMO DEI PREDESTINATI - "Io sono l'ultimo dei predestinati. Io quando scendo in campo con la maglia dell'Inter cerco di essere me stesso. Come sono in campo lo sono anche fuori. Sono un competitivo, cerco sempre di aiutare i miei compagni, nelle partite importanti cerco di dare uno stimolo in più. Quando vesti la maglia dell'Inter ci sono partite più importanti delle altre e quindi cerco sempre di dare il mio contributo con una parola in più e questo mi piace perché devo tanto a quello che ho passato nel settore giovanile, quello che mi hanno insegnato tutte le persone che ho avuto e cerco di portarmele sia fuori dal campo che quando vado in campo".

    QUANDO PERDO VADO IN DOWN TOTALE - "È sempre bello leggere i complimenti. A me non piace paragonarmi con nessun giocatore. Poi quando ti paragonano a leggende del calcio fa piacere, ma non mi fa impazzire il paragone. Nel calcio si vive di momenti. Io nell'Inter ho vissuto sia momenti belli che momenti brutti. Io quando perdiamo una partita, un campionato, la finale di Champions, io vado davvero in down totale. Poi quando analizzo le cose cerco di ripartire, mi fisso un obiettivo. Finita la nazionale dopo quella finale di Champions persa mi sono posto l'obiettivo di vincere il campionato e così è stato. Una bella rivincita, poi la seconda stella, è stato bello".

    TIFO INTER - "Sicuramente giocare nell'Inter da tifoso fa tantissimo piacere. Io forse vivo troppo le partite. Negli anni da quando sono tornato all'Inter, pian piano giocando partite di un certo livello ho imparato a gestire le emozioni. Prima giocare con Barcellona, Real Madrid... non era da tutti i giorni. Facendoci l'abitudine è diventata la normalità e la cosa bella è giocare quelle partite lì. La partita da brividi? L'ultimo derby l'ho sentito, era una partita che ci poteva dare tantissimo come togliere. L'esordio in Champions? Un po' amaro, ho giocato col Real e abbiamo perso. L'inno è unico, ti da delle vibrazioni dentro che non si possono paragonare con nulla".

    LA SCONFITTA - "Se c'è una settimana di lavoro ci metto un paio di giorni. In quei giorni sono veramente incazzato. I miei amici mi conoscono, fin da quando scendo dagli spogliatoi e vado al garage sanno già come sto. Nelle settimane in cui si gioca ogni 3 giorni devi azzerare subito. Fortunatamente l'anno scorso ne abbiamo perse poche ed è stato più facile".

    LA MAGLIA INTERISTA - "È difficile guardarla da fuori. In campo cerco di essere me stesso e non cambio. Giocare per l'Inter per me è una cosa bellissima e cerco di dare il massimo. L'ho detto nel video per la festa scudetto: er me questa maglia va trattata coi guanti, lo penso davvero"

    GLI INIZI - "Inizio a giocare a calcio a 5 anni alla Calvairate dalle mie parti, poi subito dopo sono andato all'Inter, avevo 8 anni e da lì ho fatto tutta la trafila fino all'esordio in prima squadra dove c'era Mancini. La mia famiglia? Quando mio padre mi ha portato la prima volta a calcio ha detto: "Vedete com'è, se si diverte tenetelo qui se no vengo a prendermelo". Loro e mio zio mi seguivano molto, ma mi hanno sempre lasciato fare tenendomi coi piedi per terra".

    PREGIUDIZI - "Negli anni sono sempre stato un po' "giudicato". Mi dicevano "No questo è piccolo", "non arriverà mai" "adesso è pronto ma vedrete che fra due anni non diventerà nessuno". Il lavoro però paga, io ho cercato sempre di stare zitto e lavorare e alla fine sono arrivato".

    GLI ESORDI - "Io ho iniziato ad andare in prima squadra quando avevo 16 anni. C'era Mazzarri in panchina, ma c'erano le leggende del triplete come Samuel, Milito, era l'ultim anno di Zanetti. Quando sei così giovane è come una giostra. Vedere Milito che ha fatto quella doppietta in finale di Champions è stato emozionante. In quel periodo andavo solo ad allenarmi. Quando è subentrato Mancini ho iniziato ad essere conovcato. Poi i due esordi in Europa League e contro l'Empoli a fine campionato. Per l'importante era esordire, è stato bello c'erano tanti ragazzi della Primavera convocati. All'epoca però c'erano ancora solo 3 cambi, eravamo in 4-5 e sono stato fortunato, però è stato bellissimo perché emozioni così si provano una volta sola. Quella sera ho fatto 4 ore di viaggio di ritorno, ho dormito ad Appiano e mi sono allenato la mattina dopo".

    ASCOLI - L'anno dopo faccio 6 mesi in cui non gioco mai e a gennaio vado ad Ascoli in una situazione difficile. Era la prima volta che andavo fuori di casa ed è stata bella, stimolante. Ero da solo e salvarsi all'ultima giornata dopo che la società era stata ripescata è stato bellissimo. Dopo Ascoli ho fatto Empoli ed è stato un anno dove ho fatto 13-14 partite e non avevo giocato tantissimo":

    IL MILITARE A SION - "L'anno dopo avevo delle squadre che mi volevano per fare il giovane dietro al giocatore più esperto e non essendo d'accordo ho provato a cambiare e sono andato in Svizzera. Ero partito benissimo, ma dopo la prima partita mi rompo il metatarso. Avevo 19 anni, il momento era importante e da lì rientro dopo 4 mesi dove era cambiato l'allenatore. Ora riderete, a gennaio eravamo ultimi o penultimi e il presidente della squadra si è inventato che dovevamo andare a fare una settimana di militare con le forze armate francesi per punizione. Abbiamo fatto il training, magari in caserma, nei campi. Dormivamo col sacco a pelo in mezzo ai campi, alle 6 svegli a camminare per 5/6 chilometri fino a che mangiavamo dentro le scatolette riscaldate col fuoco, ci facevano sparare, non con armi vere, ma è stato una sorta di addestramento militare. A me quando l'han detto non volevo andare, se non andavi però non ti pagava. Eravamo più carichi e ha funzionato, ma poi ho discusso con l'allenatore e non ho più giocato".

    HO PERSO UN FILGIO - "Diciamo che quell'anno lì lo stare fuori mi ha fatto capire altre culture e tante altre cose. Avevo anche imparato il francese, ma è stata una bella esperienza. È stato un anno difficile perché ho anche perso un figlio con la mia fidanzata, ma sono cose che mi hanno fatto crescere".

    NON MI VOLEVA NESSUNO, VOLEVO SMETTERE - "In Italia non mi voleva nessuno. Neanche in Serie B credo. Alla fine è arrivato il Parma e anche lì ho fatto 3 o 4 partite, ho fatto gol e poi basta, distacco del tendine dell'adduttore e altri 4 mesi fermi. Anche lì ho fatto veramente poco. Dopo Sion volevo smettere, mi dicevo: "a me chi me lo fa fare di soffrire così". Poi a volte dici quello che pensi, ti guardi dentro e alla fine il mio obiettivo era solo uno: far ricredere le persone che non credevano in me e alla fine ci sono riuscito facendo il mio percorso".

    L'INTER CON CONTE - "Non credo che l'inversione c'era stata a Parma. Dopo un paio di allenamenti tornato all'Inter viene Conte e mi dice: "Fede, voglio che rimani". Li ero felice perché quando arriva uno come lui e ti dice quelle cose rimani un po' spiazzato. Alla fine ho fatto 6 mesi e a gennaio ho dovuto supplicarlo per andar via. Erano però arrivati altri giocatori come Ashley Young, Moses e da lì ho scelto di andare a giocare. Era bello stare all'Inter, ma non mi sentivo a mio agio, mi sentivo inadatto per il livello che mi sembrava troppo alto per me".

    VERONA - "A Verona un anno e mezzo è stato il cambiamento più importante della mia piccola carriera. È stato un'insieme di cose, il mister mi ha dato la possibilità di esprimere le mie qualità. Il direttore era stato chiaro fin  dall'inizio e in passato non era stato così. Ogni volta che li vedo sia Ivan Juric che Tony D'Amico li saluto. Io quando sono andato a Verona ci sono andato per scelta personale. C'era gente che mi diceva cosa ci vai a fare. Sono decisioni che ho sempre preso personalmente senza farmi consigliare. Ero convinto però che con quell'allenatore e con quel modo di giocare potevo svoltare. Alla fine ho avuto ragione io. L'unica cosa che mi dispiace è aver giocato con lo stadio vuoto per il Covid perché loro hanno un bel tifo. Spero di essere rimasto nel loro cuore".

    IL DEFINITIVO RITORNO - "Non mi hanno mai detto "È il momento di tornare a casa". Mi hanno solo detto di tornare per andare in ritiro. Non sapevo niente, il Verona poteva comprarmi e l'Inter aveva il controriscatto. Però da lì pian piano, esperienza dopo esperienza, cresci e diventi tutt'altro giocatore rispetto a prima. Non ero comunque pronto per giocare determinate partite. Poi quando inizi a fare quelle esperienze impari a stare nello spogliatoio con determinati giocatori, il tuo livello si alza se impari a rubare quello che c'è di positivo". 

    GLI ESEMPI NELLO SPOGLIATOIO - "Un giocatore che è stato devastante e fondamentale è stato Perisic. Quell'anno lì ha fatto un anno incredibile. Poi se hai nello spogliatoio gente come Edin Dzeko che ha giocato in grandi squadre ti trasferisce l'esperienza. Poi Skriniar, Handanovic, Barella che lo conosco da quando avevo 15 anni, Bastoni, poi vabbé Lautaro. Le parole più belle? Del direttore Piero Ausilio. Mi sono guardato indietro e sentire quelle parole dal direttore mi hanno fatto bene".

    PERCORSO - "Io penso che ogni giocatore debba essere padrone del proprio destino. Quando fa delle scelte deve essere consapevole e andare in fondo alla scelta. Ogni giocatore è diverso, io magari ho avuto bisogno di cambiare 5 squadre prima di tornare all'Inter, ma non si può giudicare un percorso rispetto a un altro. Ognuno deve fare quello che si sente, quello che paga è il lavoro. Quando sono tornato all'Inter ho sentito la differenza, mi sentivo pronto, mi sentivo dentro all'ambiente. Dopo aver fatto tante esperienze e dimostrato chi ero veramento mi sono sentito importante". 

    INZAGHI - "Il mister subito mi ha fatto capire che ero importante. È stata una svolta, è stato lui a dirmi che dovevo restare. Quando torni poi alcune persone vengono da te e ti dicono: "non pensavamo diventassi così" è una bella rivincita. Sono queste le cose più belle che ti danno più soddisfazioni".

    SECONDA STELLA - "Bisogna buttarsi in mezzo alla gente. Ogni tanto è giusto rompere la monotonia festeggiando insieme ai tifosi. Alla gente fa piacere vedere tutto questo. Lo stesso valeva per me quando ero piccolo… apprezzavo molto quando i calciatori venivano a festeggiare con i tifosi, insieme alla gente che li supportava".

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