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De Rossi: "Sono stato ad un passo dal Manchester United, nel 2006 Lippi mi fece incontrare Ferguson"
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A distanza di tre mesi dal suo esonero per mano della Roma, Daniele De Rossi torna a parlare. E lo fa al podcast condotto da alcune leggende del calcio inglese come gli ex Manchester United Gary Neville e Roy Keane e dagli ex Liverpool e Arsenal Jamie Carragher e Ian Wright. E' l'occasione per ripercorrere alcuni dei momenti più significativi della propria carriera e raccontare alcuni curiosi retroscena, legati pure ad ipotesi di calciomercato non andate in porto.
Per esempio, Daniele De Rossi avrebbe potuto indossare la maglia del Manchester United: "Sono stato molto vicino, sarebbe stata la prima opzione in caso di addio alla Roma. Fui vicino al Manchester United, la consideravo la squadra migliore in Inghilterra. Inoltre ho avuto ulteriori occasioni per andare in altri club. Nel 2006, durante il Mondiale, ero in aeroporto e il ct Lippi mi chiamò e mi portò in una piccola stanza in cui c'era Ferguson. Lippi mi disse: 'Devi andare lì'. Io stavo in silenzio perché c'era Ferguson e perché avevo paura di Lippi. Fu una chiacchierata che durò 3 minuti, niente di serio, ma mi sarebbe piaciuto dire a Ferguson 'Io voglio venire”.
Da un mancato trasferimento all'estero all'amore incondizionato per la Roma. Nel podcast con Gary Neville, Roy Kean, Jamie Carragher e Ian Wright, Daniele De Rossi spiega il suo profondo legame con la squadra della propria città: “Io ho sempre voluto giocare in questa squadra, ogni bambino nato in questa città ha questo sogno. Qualche volta succede e poi devi fare una scelta: se sei abbastanza fortunato puoi permetterti di scegliere se andare in un club migliore o rimanere qui. Io ho preso la mia decisione, calcisticamente una decisione sbagliata ma per me è andata bene così. Non ho rimpianti”. Sulle pressioni che la città di Roma crea verso i suoi giocatori: ”È l'amore per questo club, il modo in cui siamo. Se io fossi uno chef sarei così, se cucinassi una carbonara e non ci fosse tanto guanciale mi arrabbierei (ride, ndr). Il calcio è molto importante per gli italiani, soprattutto a Roma. Sappiamo che non siamo il Real Madrid e molti tifosi accettano di non vincere trofei per una stagione. Amano la lealtà di un giocatore, l'impegno profuso in campo anche se non sei di Roma. Abbiamo trascorso 10/12 anni senza vincere ma andandoci molto vicino, con 9 secondi posti ed è folle, contro club costruiti con 200 milioni più di noi. Non abbiamo mai vinto ma in quelle stagioni avevamo vinto tante partite e alla gente andava comunque bene perché apprezzavano la prestazione”.
Infine a Daniele De Rossi, tornando a parlare dell'estate del 2006 e dell'ultimo Mondiale conquistato dall'Italia, viene chiesto un parere su Calciopoli: "Fu qualcosa di brutto anche se i calciatori non c’entravano nulla. Eravamo molto uniti, quando siamo arrivati in Germania ai tifosi italiani che vivevano lì non interessava questo scandalo. Erano tutti con noi, hanno riempito ogni stadio e ci hanno aiutato molto, ci hanno spinto fino alla finale. Sono stato stupido però. Sono stato espulso alla seconda partita per una gomitata. Non mi sono goduto tutto il cammino, pregavo di avere un’altra chance, di giocare la finale. Lippi mi amava, parlava con me anche se sotto sotto era arrabbiato. Ero sicuro che mi avrebbe dato un’altra opportunità se fossimo arrivati in finale nonostante l’errore che avevo commesso. Anche il suo assistente mi disse che fossimo arrivati in finale avrei giocato, e così è stato”.
Per esempio, Daniele De Rossi avrebbe potuto indossare la maglia del Manchester United: "Sono stato molto vicino, sarebbe stata la prima opzione in caso di addio alla Roma. Fui vicino al Manchester United, la consideravo la squadra migliore in Inghilterra. Inoltre ho avuto ulteriori occasioni per andare in altri club. Nel 2006, durante il Mondiale, ero in aeroporto e il ct Lippi mi chiamò e mi portò in una piccola stanza in cui c'era Ferguson. Lippi mi disse: 'Devi andare lì'. Io stavo in silenzio perché c'era Ferguson e perché avevo paura di Lippi. Fu una chiacchierata che durò 3 minuti, niente di serio, ma mi sarebbe piaciuto dire a Ferguson 'Io voglio venire”.
Da un mancato trasferimento all'estero all'amore incondizionato per la Roma. Nel podcast con Gary Neville, Roy Kean, Jamie Carragher e Ian Wright, Daniele De Rossi spiega il suo profondo legame con la squadra della propria città: “Io ho sempre voluto giocare in questa squadra, ogni bambino nato in questa città ha questo sogno. Qualche volta succede e poi devi fare una scelta: se sei abbastanza fortunato puoi permetterti di scegliere se andare in un club migliore o rimanere qui. Io ho preso la mia decisione, calcisticamente una decisione sbagliata ma per me è andata bene così. Non ho rimpianti”. Sulle pressioni che la città di Roma crea verso i suoi giocatori: ”È l'amore per questo club, il modo in cui siamo. Se io fossi uno chef sarei così, se cucinassi una carbonara e non ci fosse tanto guanciale mi arrabbierei (ride, ndr). Il calcio è molto importante per gli italiani, soprattutto a Roma. Sappiamo che non siamo il Real Madrid e molti tifosi accettano di non vincere trofei per una stagione. Amano la lealtà di un giocatore, l'impegno profuso in campo anche se non sei di Roma. Abbiamo trascorso 10/12 anni senza vincere ma andandoci molto vicino, con 9 secondi posti ed è folle, contro club costruiti con 200 milioni più di noi. Non abbiamo mai vinto ma in quelle stagioni avevamo vinto tante partite e alla gente andava comunque bene perché apprezzavano la prestazione”.
Infine a Daniele De Rossi, tornando a parlare dell'estate del 2006 e dell'ultimo Mondiale conquistato dall'Italia, viene chiesto un parere su Calciopoli: "Fu qualcosa di brutto anche se i calciatori non c’entravano nulla. Eravamo molto uniti, quando siamo arrivati in Germania ai tifosi italiani che vivevano lì non interessava questo scandalo. Erano tutti con noi, hanno riempito ogni stadio e ci hanno aiutato molto, ci hanno spinto fino alla finale. Sono stato stupido però. Sono stato espulso alla seconda partita per una gomitata. Non mi sono goduto tutto il cammino, pregavo di avere un’altra chance, di giocare la finale. Lippi mi amava, parlava con me anche se sotto sotto era arrabbiato. Ero sicuro che mi avrebbe dato un’altra opportunità se fossimo arrivati in finale nonostante l’errore che avevo commesso. Anche il suo assistente mi disse che fossimo arrivati in finale avrei giocato, e così è stato”.
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