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Conte l'estremista: l'uomo che spaccò la tifoseria della Juve. Ma senza di lui...
Conte a volte diventa preda delle sue ossessioni: da quella per la vittoria, al terrore per la sconfitta, il tutto attraverso un metodo che non lascia nulla, ma proprio nulla al caso, e forse proprio per questo nessuno rimane mai indifferente quando si parla di lui, proprio perché in lui non c'è nulla di casuale.
Conte però è anche molto di più, perché parliamo di una creatura calcistica, figlia di tre maestri immortali del nostro calcio, lui è stato scoperto, cresciuto e perfezionato da tre giganti come Trapattoni, Lippi e Sacchi, ognuno dei quali gli ha lasciato una traccia profonda e indelebile, sia dal punto di vista del metodo che da quello della personalità. Il Conte che si dimena e urla dal primo all'ultimo minuto dando indicazioni ai propri giocatori è figlio di Trapattoni, il Conte maniaco della cultura del lavoro e della cura dei dettagli invece è figlio di Sacchi, mentre quello psicologo e motivatore ai limiti della provocazione ha sicuramente imparato da Lippi. Tre personalità grandiose e ingombranti che vivono mixate nella giusta percentuale all'interno di un solo allenatore, un allenatore figlio di una dottrina fatta di disciplina e vittorie, quella della Juve, che lo ha forgiato dalla giovinezza fino all'età adulta; e forse fu proprio questo suo profondo imprinting bianconero sviluppato all'ennesima potenza, il vero motivo del suo clamoroso addio alla Vecchia Signora. Un addio che oggi a quattro anni di distanza non è mai stato veramente digerito da una parte della tifoseria, che lo ha sempre vissuto e considerato come un vero e proprio tradimento alla causa bianconera. Un addio talmente clamoroso che riuscì a spaccare in due la sconfinata tifoseria juventina, creando da una parte una fazione a lui semper fidelis, e dall'altra un partito di veri e propri anticontiani che col passare delle stagioni, oltre a dimenticare i suoi enormi meriti legati alla ricostruzione, sono arrivati persino a sminuire il reale valore specifico delle sue vittorie, dimenticando che soprattutto il primo dei suoi tre scudetti, fu una sorta di vero e proprio miracolo calcistico, visto che fu conquistato contro un avversario nettamente superiore come l'ultimo vero grande Milan e che soprattutto fu ottenuto immediatamente dopo due scandalosi settimi posti che avevano lasciato in eredità solo macerie e distruzione.
Tuttavia è proprio grazie a questa clamorosa scissione avvenuta nello juventinismo più profondo che si può trovare una chiave di lettura definitiva per Conte, un uomo che evidentemente è riuscito a spingersi oltre certi limiti, dimostrandosi in questo più realista del re e nello specifico più juventino della stessa Juve, come quella volta che arrivò a fare – a scudetto già vinto – una sfuriata plateale in faccia a Buffon che aveva avuto l'ardire di chiedergli del premio scudetto, quando lui invece pensava al record dei 100 punti. Oppure ancora, quando parlando della Champions usò la sconveniente e inelegante metafora del ristorante di lusso e dei 10 euro in tasca. Oggi a quattro anni di distanza, quando nel frattempo in queste ore assistiamo al vivace scambio di battute velenose tra lui e Mourinho, vien da chiedersi che cosa sarebbe successo se non se ne fosse mai andato dalla Juve, e se ci fosse stato lui al posto di Allegri in una finale di Champions League. Una domanda alla quale non potremo mai dare una risposta dal punto di vista sportivo, ma alla quale si può ipotizzarne una dal punto di vista umano, perché probabilmente in caso di sconfitta ne sarebbe uscito devastato sia nella testa che nel cuore visto che Antonio Conte, come disse Cristoph Waltz in Django Unchained è decisamente un pessimo perdente ma di sicuro non un infimo vincente.
Antonio Martines
@Dragomironero