Le Classifiche di CM: i migliori 10 argentini nella storia del calcio
Il calcio argentino ha una posizione di grande rilievo all’interno del complesso universo del football mondiale. Un piccolo racconto dei dieci migliori giocatori argentini di sempre ci permette di continuare il viaggio nel suggestivo calcio sudamericano e di tracciare forte il legame storico che questa cultura affascinante a con noi italiani. Una storia di campioni e stili dai grandi estratti: la classe, la personalità, lo spirito di lotta. In questa graduatoria che racconta se stessa dal punto di vista tecnico ed estetico lasciamo spazio al mito, trovando un viaggio completo e pieno. Quattro campioni del mondo, tre leggende, cinque attaccanti formidabili, quattro Dieci assoluti considerando anche Don Alfredo e 2.579 goal tra tutti, grandi capitani e personaggi da romanzo.
CAMPIONI ARGENTINI - LA TOP 10 DI SEMPRE
1. Diego Armando Maradona
2. Lionel Messi
3. Alfredo Di Stefano
4. Enrique Omar Sivori
5. Gabriel Omar Batistuta
6. Daniel Aberto Passarella
7. Adolfo Pedernera
8. Mario Kempes
9. Hernan Crespo
10. Osvaldo Ardiles
Maradona - Per capirne il mito e le profonde controversie, raccontiamolo con immagini. Quelle da piccolo, dove palleggiando tra le strade dei barrios poveri di Buenos Aires, mostrava predestinazione e talento adamantino. Oppure l’immaginifico goal all’Inghilterra in cui c’è tutta la sua sfrontata personalità e l’irriverenza di un’azione figlia della visualizzazione del possibile laddove tutti vedono invece l’impossibile. La terza è il piano sequenza dei giorni (felici e romanzeschi) di Napoli, ma anche di un finale controverso e malinconico, irrispettoso di se e degli altri. Infine il pianto alla premiazione di Italia 90: li sembrò a noi italiani un momento di giustizia dopo la finale mondiale tolta, la sconfitta del cattivo che perde all’ultimo atto, tutto. Invece era la sua personalissima uscita di scena, con l’emozione degli uomini controversi che recitano più ruoli e l’inizio del mito del El Diez.
Messi - Chi tra lui e Maradona dovesse essere al primo posto, non è stato facile, sono due grandi attori del nostro tempo. Ma la storia ha un posto importante nella mente di ciascuno di noi. Messi è l’oggi che diverrà memoria e leggenda a fine carriera. Da Rosario, la capitale intellettuale del calcio argentino, a Barcellona in un viaggio inverso che ci ha fatto scoprire il talento fulmineo e sopraffino di questo mancino. I goal e il suo gioco sono lì a testimoniare una grande evoluzione: da attaccante a giocatore universale, a conferma che i grandi raccontano la loro storia sempre in modo diverso e ascoltando il tempo.
Di Stefano - Il vincente per antonomasia e l’inventore del Real Madrid, quello della leggenda. Un uomo che ha lavorato sempre e solo per vincere, senza però prevaricare. Ha costruito il suo successo sulla continuità, quella linea di confine che demarca il vincente dal talentuoso; e sul carisma quell’afflato che solo i grandi con una visione lungimirante trasmettono. E’ stato la Saeta Rubia, veloce, tecnico e a tutto campo. Un leader capace di convivere con altri leader come Don Santiago Bernabeu e Puskas all’insegna di una vita immaginifica. Per capirne il senso completo occorre il medagliere: 17 campionati vinti (tra Argentina, Colombia e Spagna); 12 coppe; 10 volte capocannoniere; 2 palloni d’oro; sempre in goal nelle finali dei Campioni vinte; 484 goal complessivi. Un fuoriclasse che ha trovato la leggenda.
Sivori - Lo chiamavano in due modi ed era il frutto del romanzesco racconto sudamericano: El Cabezon (per via della folta capigliatura) ed El Gran Zurdo, il grande mancino col quale segnava (236 goal) e dribblava in verticale, col famoso tunnel. E’ stato eletto dall’IFFhs 5° argentino di sempre. Talentuoso e iracondo. Ha rappresentato un personaggio da romanzo tra personaggi da romanzo. E’ stato uno degli Angeli dalla faccia sporca (1957); un fuoriclasse juventino tra icone juventine (J. Charles e G. Boniperti 1957-65); un sudamericano napoletano con affianco José Altafini (1965-69); un pallone d’oro (1961) e un allenatore inviso alla stessa federazione argentina nonostante la qualificazione al mondiale di Germania 74. Un grande attore buono del suo tempo che faceva per gusto e irriverenza il cattivo.
Batistuta - E’ stato un grande attaccante. Nei dieci anni a Firenze è stato magniloquente come Lorenzo il Magnifico (la città nel 2006 gli ha donato le chiavi). Ha vinto lo scudetto all’ultima chiamata, quella della Roma di Sensi e Capello del 2001. Ma quella sintesi di potenza e vittoria è stata possibile grazie ad altre iconografie della sua carriera. Il viaggio tra le città argentine; i 56 goal nazionali (primato); l’essere tra i primi undici goleador di sempre della serie A e due goal indimenticabili con la Fiorentina: a Barcellona (1997) e Londra (2000), due dei potenti, inattaccabili 356 goal del coraggioso Re Leone Gabriel Omar.
Passarella - Il caudillo del calcio argentino e della prima Argentina campione del mondo (1978), quella controversa che giocava a calcio nel periodo oscuro della dittatura militare di Videla. Un libero moderno, a zona come il ruolo impone nella sua specificità. Un difensore che giocava con la squadra e che segnava (178/22 in nazionale i goal). Ha giocato da accigliato indio, che lotta per se e gli altri, con il River Plate (10 campionati argentini vinti), la Fiorentina e L’Inter, segnando con la sua forza un legame storico tra il vecchio e il nuovo mondo.
Pedernera - E’ stato uno dei fondatori della famosa scuola del River Plate, la sua fama (12°giocatore del Sudamerica) merita il racconto. E’ un mito del calcio pioneristico. Imprescindibile maestro anche per il grande Alfredo Di Stefano. L’uomo che ha inventato il trequartista. Il suo racconto è contenuto nella costruzione della Maquina. L’inarrestabile prima linea del River anni ‘30/40 che ha fatto la storia raccontando uno stile diverso da quello europeo, lo stile del talento, dove l’equilibrio sta nella fusione della classe.
Kempes - Dal nome italiano (Mario) a conferma storica ma non retorica che tra noi c’è un legame indissolubile. E’ stato il simbolo della prima Argentina campione, con i suoi goal all’Olanda ha battuto il calcio atletico e tattico di Happel. Ha raccontato col suo modo di fare un po’ anarchico, ma al tempo stesso, veloce e potente, un po’ di quel senso d’imprevedibilità che l’Argentina dei militari aveva reciso dalla vita comune.
Crespo - E’ stato vincente dovunque sia andato. Ha vinto in grandi e affascinanti capitali, da Buenos Aires sponda River, a Milano con entrambe le glorie della città, a Roma fino a Londra. E’ stato l’alterego prima e la continuazione poi di Batistuta. Forte fisicamente, bravissimo di testa era dotato di un grande senso del goal. Un finalizzatore più lineare e meno anarchico di Kempes. Ha legato col suo modo di attaccare la porta, verticale e tempista, il gioco di classe argentino e l’opportunismo nel cogliere le situazioni italiano. Una sintesi perfetta che ha fuso storia e cronaca.
Ardiles - Argentino d’Inghilterra visto i suoi trascorsi anche vincenti al Tottenham Hotspur degli anni ’80. Un classico personaggio da letteratura, in apparenza forse un po’ anonimo ma in realtà ricco di ritmi sudamericani, resi grandi da giocate di classe e precisione. Ha vissuto il periodo della dittatura, le Falkland ed ha girato un film (Fuga per la Vittoria) assieme ad altri immensi campioni tra cui l’inarrivabile Pelé. In quella pellicola racconta anche se stesso e l’immagine di chi cercando la pienezza vuole uscire da universi oscuri. Il pallonetto a scavalcare l’avversario con i tacchi che alzano la palla, non è finizione cinematografica, ma il simulacro della precisione tecnica, della geometria che coordina, rendendolo mistico, il gioco del calcio.
Matteo Quaglini