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Bucciantini: il coraggio di Conte e i fantasmi Candreva e Florenzi
L’Italia gioca una partita senza splendore, ma vince. I legni spolpano il risultato, a Malta si va per mostrare gol al mondo, se ne viene uno solo bisogna giustificarlo: spiegare resta il lavoro più difficile per qualsiasi ct, costretto fra la difesa di se stesso e un minimo sindacale di ragionevolezza. Così Conte torna indietro, ai disastrosi mondiali: quel paragone è un mare pescoso, per forza, e dunque troppo comodo. Accettiamo una partita così, succede. Molto più onesto è considerare la trasferta più facile come un buon momento per tentare qualcosa: trovare un posto a Candreva, per esempio. È un dei migliori centrocampisti italiani ma nel 3-5-2 è difficile vedere il suo posto. Quindi Darmian è scalato nel terzetto (ma era prevedibile che Malta si accucciasse dietro, e concedesse la possibilità al granata di “tornare” terzino di spinta). E Candreva si è messo esterno, con pochissimo profitto: forse è più bravo quando deve muoversi assieme agli attaccanti e non ai centrocampisti. Quando può svariare partendo dal tridente, e dunque con maggiore anarchia. Forse era una semplice serata di poca ispirazione, eppure Candreva è un giocatore da tenere nel progetto, perché sa essere importante. Altro centrocampista d’attacco che fatica a trovare i suoi tempi di gioco con la maglia azzurra è Florenzi. Nella Roma è un ingranaggio “passionale” di un meccanismo perfetto. In giallorosso è talmente esuberante da apparire spesso fine, capace di gol belli e di armoniosi schemi d’attacco con i compagni. Nell’Italia sembra invece un ragazzo triste e senza patria.
Per spiegare questa partituccia ci sono allora motivi tattici, e generosi e ammirevoli tentativi di inserire calciatori che meritano. Centrocampisti che non lavorano quasi mai nel 3-5-2, che non cominciano la loro azione nel momento dell’interdizione (come hanno sempre fatto gli interni della Juventus di Conte) e che vivono in spazi ampi non ancora rintracciabili nell’Italia, specie contro avversari abbottonati e convinti di valorizzarsi dentro sconfitte meno appariscenti del solito. Senza campo da sbranare (perché già concesso a priori dai maltesi) e senza ritmo per l’assenza di protagonismo in troppi uomini, è stato difficile masticare calcio. Pellè ha messo sostanza in area, verissimo, ma non ha battagliato su tutto il fronte come fa Zaza, e anche questo ha costipato la manovra. Verratti non ha trovato così linee di passaggio per affrettare l’azione, e di suo non ha aggiunto niente: peccato. In questa staticità è perfino ovvio che l’unico schema presentabile finesse per essere il più banale: cross (di Pasqual) e testa di qualcuno (Pellè, per mezz’ora). Poco, ma è più stancante cominciare a processare che accettare novanta minuti minori, e intono c’è chi fa molto peggio.
Anche Conte, finora ineccepibile nell’eloquio, dovrebbe evitarci quello strazio sul calcio italiano: lo conosciamo, “se crediamo di essere ancora i migliori al mondo, siamo fuori strada”, dice lui: e chi lo crede? C’è un pazzo in giro che crede una cosa del genere? C’è qualcuno che non vede la penuria di talenti autentici del nostro movimento? In verità, tutto questo c’entra poco in una partita contro Malta (ma c’entra moltissimo a livello generale). Soprattutto, il ct non può e non deve sentire il bisogno di cominciare a edificare quella trincea dialettica che è stata un’ossessione di molti suoi predecessori. Anche quando si lamenta che alcuni dei giocatori impiegati “fanno le riserve nelle loro squadre”, sia più ambizioso e coerente con le scelte: l’idea di riesumare Giovinco è sua (e lui lo teneva in panchina a Torino): è un’idea che ci piace, che rivela buone intenzioni. Di Florenzi (altro giocatore che non è titolare fisso nella Roma) si è detto, il terzo è Pasqual, che a Firenze si alterna con Alonso, ma che ha giocato 320 partite negli ultimi 9 anni: è ingiusto definirlo una riserva. È un buon interprete del ruolo, sa dare equilibrio, è un eccelso manierista del cross, da considerare quando servono i palloni nel mezzo, è un’osmosi tattica dei centravanti vecchia maniera (come Pellè, per dire). Se serve, c’è.
Qui, il ct troverà sempre sponda se una partita gli viene storta per la voglia di trovare posto a un centrocampista di talento, o per vedere un attaccante nuovo. Abbiamo bisogno di azzardi, di coraggio, di fantasia (e di un lavoro profondo e serio, ma è un altro discorso). E il nostro maggiore allenatore non avrà necessità di rifugiarsi in risposte banali e un po’ vili, se non rinnegherà il suo coraggio.
Anche noi abbiamo un mondiale dove pascolare, ma non è quello angosciante degli azzurri di Prandelli: è quello pieno, trascinante delle ragazze di Bonitta. È successo nel quarto set della semifinale contro le cinesi, ormai giunte a match point: una, due, tre volte. È successo quando la nostra schiacciatrice Del Core, in fondo a un’azione spossante, con almeno quattro difese da una parte e dall’altra, si è elevata lassù e invece di schiaffeggiare la palla ha deciso di toccarla appena, quel pallonetto che si usa nel volley per scavalcare il muro e cercare la zona sguarnita dai centrali, accorsi a edificare la difesa. Palla a terra. La prodezza non ha invertito la partita, le cinesi hanno vinto (senza scalfire la fierezza delle italiane). Ma in quel momento l’atleta italiana ha scelto una soluzione dissonante, ha ripudiato il percorso diretto (della palla, della mente). Ha beffato un problema invece di sfondarlo. Ha trovato una risposta diversa. Abbiamo bisogno di risposte diverse.
Marco Bucciantini
Per spiegare questa partituccia ci sono allora motivi tattici, e generosi e ammirevoli tentativi di inserire calciatori che meritano. Centrocampisti che non lavorano quasi mai nel 3-5-2, che non cominciano la loro azione nel momento dell’interdizione (come hanno sempre fatto gli interni della Juventus di Conte) e che vivono in spazi ampi non ancora rintracciabili nell’Italia, specie contro avversari abbottonati e convinti di valorizzarsi dentro sconfitte meno appariscenti del solito. Senza campo da sbranare (perché già concesso a priori dai maltesi) e senza ritmo per l’assenza di protagonismo in troppi uomini, è stato difficile masticare calcio. Pellè ha messo sostanza in area, verissimo, ma non ha battagliato su tutto il fronte come fa Zaza, e anche questo ha costipato la manovra. Verratti non ha trovato così linee di passaggio per affrettare l’azione, e di suo non ha aggiunto niente: peccato. In questa staticità è perfino ovvio che l’unico schema presentabile finesse per essere il più banale: cross (di Pasqual) e testa di qualcuno (Pellè, per mezz’ora). Poco, ma è più stancante cominciare a processare che accettare novanta minuti minori, e intono c’è chi fa molto peggio.
Anche Conte, finora ineccepibile nell’eloquio, dovrebbe evitarci quello strazio sul calcio italiano: lo conosciamo, “se crediamo di essere ancora i migliori al mondo, siamo fuori strada”, dice lui: e chi lo crede? C’è un pazzo in giro che crede una cosa del genere? C’è qualcuno che non vede la penuria di talenti autentici del nostro movimento? In verità, tutto questo c’entra poco in una partita contro Malta (ma c’entra moltissimo a livello generale). Soprattutto, il ct non può e non deve sentire il bisogno di cominciare a edificare quella trincea dialettica che è stata un’ossessione di molti suoi predecessori. Anche quando si lamenta che alcuni dei giocatori impiegati “fanno le riserve nelle loro squadre”, sia più ambizioso e coerente con le scelte: l’idea di riesumare Giovinco è sua (e lui lo teneva in panchina a Torino): è un’idea che ci piace, che rivela buone intenzioni. Di Florenzi (altro giocatore che non è titolare fisso nella Roma) si è detto, il terzo è Pasqual, che a Firenze si alterna con Alonso, ma che ha giocato 320 partite negli ultimi 9 anni: è ingiusto definirlo una riserva. È un buon interprete del ruolo, sa dare equilibrio, è un eccelso manierista del cross, da considerare quando servono i palloni nel mezzo, è un’osmosi tattica dei centravanti vecchia maniera (come Pellè, per dire). Se serve, c’è.
Qui, il ct troverà sempre sponda se una partita gli viene storta per la voglia di trovare posto a un centrocampista di talento, o per vedere un attaccante nuovo. Abbiamo bisogno di azzardi, di coraggio, di fantasia (e di un lavoro profondo e serio, ma è un altro discorso). E il nostro maggiore allenatore non avrà necessità di rifugiarsi in risposte banali e un po’ vili, se non rinnegherà il suo coraggio.
Anche noi abbiamo un mondiale dove pascolare, ma non è quello angosciante degli azzurri di Prandelli: è quello pieno, trascinante delle ragazze di Bonitta. È successo nel quarto set della semifinale contro le cinesi, ormai giunte a match point: una, due, tre volte. È successo quando la nostra schiacciatrice Del Core, in fondo a un’azione spossante, con almeno quattro difese da una parte e dall’altra, si è elevata lassù e invece di schiaffeggiare la palla ha deciso di toccarla appena, quel pallonetto che si usa nel volley per scavalcare il muro e cercare la zona sguarnita dai centrali, accorsi a edificare la difesa. Palla a terra. La prodezza non ha invertito la partita, le cinesi hanno vinto (senza scalfire la fierezza delle italiane). Ma in quel momento l’atleta italiana ha scelto una soluzione dissonante, ha ripudiato il percorso diretto (della palla, della mente). Ha beffato un problema invece di sfondarlo. Ha trovato una risposta diversa. Abbiamo bisogno di risposte diverse.
Marco Bucciantini