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    Bruno Conti: "La Roma è la mia vita. Mi spiace che Totti non ci sia. Ho dribblato anche un tumore ai polmoni"

    Bruno Conti: "La Roma è la mia vita. Mi spiace che Totti non ci sia. Ho dribblato anche un tumore ai polmoni"

    • Emanuele Tramacere
    Bruno Conti, ex-bandiera in campo e dirigente della Roma, ha concesso una bella e lunga intervista alla Gazzetta dello Sport in occasione del suo 70esimo compleanno. Tantissimi gli aneddoti raccontati, dalle vittorie in campo all'esperienza vissuta a Trigoria, passando perfino per la malattia, un tumore ai polmoni, sconfitta con la stessa grinta, felicità e carattere che aveva in campo.

    COL PALLONE CI FACEVO L'AMORE - "Voi non potete neanche immaginare quanto mi sono divertito… Dribbling, tacchi, finte e controfinte, che giocassi da ragazzino per strada con gli amici di Nettuno o contro Briegel in Italia-Germania per diventare campione del mondo. Perché io col pallone ci facevo l’amore…".

    LA ROMA - "Sono l’uomo con la più lunga militanza in giallorosso da calciatore, allenatore e dirigente: un grande orgoglio. Cosa è la Roma? Tutta la mia vita. Ancora oggi quando sento gli inni di Venditti, Fiorini e Conidi mi emoziono, mi viene la pelle d’oca. Ho passato due anni al Genoa per farmi le ossa in prestito, avendo come maestro Simoni, ma non ho mai pensato di lasciare la Roma, neanche quando Maradona ogni volta che ci incontravamo mi diceva “vieni a Napoli”. Mio padre, romanista fino al midollo, non me l’avrebbe mai perdonato".

    LIEDHOLM - "Il primo allenamento? Certo c’erano De Sisti, Cordova, Di Bartolomei, ma mister Liedholm chiamò me, un ragazzino, per mostrare un gesto tecnico: “Bruno fai vedere lo stop di interno”, “Ora di esterno…”. Liedholm, mi ha insegnato tanto e mi ha lasciato libero di esprimermi. Io andavo a destra, a sinistra, dribblavo e lui non mi ha mai ingabbiato o chiesto sacrifici, ma solo di sfruttare la mia fantasia. Chi mi mandava a quel paese era Bomber Pruzzo: “E dai ‘sta palla…”. Se la nostra Roma è stata la più forte? Non lo so, la più bella penso di sì. Era elegante, dominante, ci divertivamo a giocare. Nell’anno dello scudetto il Barone si inventò Di Bartolomei libero, due terzini mancini, Nela e Maldera. Falcao, Ancelotti, Prohaska, io, Pruzzo… Difendeva solo Vierchowod. L’anno dopo arrivarono Graziani e Cerezo. E pensate se avessimo avuto anche Rocca".

    LA FINALE PERSA - "E come fai a non pensarci? Maldera squalificato, Pruzzo uscì per infortunio, Cerezo per crampi. Perdemmo i rigoristi. Sbagliammo io e Ciccio, i campioni del mondo. Tancredi che li parava sempre non ne prese uno. Poi Paulo Roberto… Non era un rigorista. È stato un campione che cambiò la storia della Roma. Ma forse, viste le tante assenze, avrebbe dovuto prendersi quella responsabilità".

    MANCANO DUE SCUDETTI - "Mi mancano due scudetti. Il gol di Turone nel 1981 era valido, lo vidi a occhio nudo, su assist di Pruzzo, Ramon veniva da dietro. E poi quel maledetto Roma-Lecce in cui io partii in panchina. C’è chi parlò di partita venduta: follie. Ma ci pensate vincere uno scudetto dopo aver recuperato 8 punti alla Juve? Neanche per tutto l’oro del mondo ci avremmo rinunciato".

    AMICI CHE NON CI SONO PIU' - "La perdita di Agostino Di Bartolomei è una ferita che non si rimarginerà mai. Era il mio idolo, il mio capitano. Prima che accadde l’irreparabile avevo organizzato una partita al palazzetto dello sport per un ex compagno sfortunato. Vennero tutti i ragazzi dello scudetto, Agostino era lì con noi e suo figlio Luca. Rideva, era normale. Non ci siamo accorti del suo disagio, se solo avesse parlato, chiesto aiuto. Io non riesco ad accettarlo: Ago, perché?. Ho pianto tanti amici. Scirea che mi accolse in Nazionale in anni in cui eravamo rivali: elegante e umile. Poi Maldera, ragazzo fantastico, che noi chiamavamo “Caballo” per come correva. Paolo Rossi non partecipava più alla nostra chat Mundial, ma nessuno sapeva stesse male. Lui mi fece il complimento più bello: disse che sul pallone che gli servii per il 2-0 alla Polonia nell’82 c’era scritto “Basta spingere…”. E poi Vialli, con cui ho giocato in Messico nell’86. E Mihajlovic di cui conservo una maglia con dedica “Al mancino più forte del mondo…”. Mi mancano tutti moltissimo".

    TALENTI GIALLOROSSI - "I ragazzi scovati? Il primo anno presi Pepe, Bovo, Aquilani e il mio fiore all’occhiello di sempre, Daniele De Rossi. La lista negli anni è lunghissima. E quante plusvalenze... Romagnoli, Bertolacci, Caprari, Politano, Frattesi, Scamacca, Calafiori, Pellegrini, Zalewski, Bove, Pisilli. Rosella Sensi non finirò mai di ringraziarla: le dissi subito sì, era un momento delicato per la squadra. Da dt con il ds Pradè scegliemmo Spalletti e dopo di lui Ranieri. Ritrovarlo oggi è stata una gioia. Avere nella Roma chi la ama è importantissimo".

    TOTTI - "Quanto spiace che Totti non sia nella Roma? Tantissimo, lui è la storia della Roma".

    IL TUMORE - "Due anni fa mi hanno diagnostico un tumore al polmone. Devo ringraziare il mio medico di famiglia, il dottor Camilli, che si è accorto subito della mia tosse persistente e il professor Rendina del S. Andrea per le cure che hanno funzionato. E non dimentico il presidente Dan Friedkin che voleva portarmi a sue spese negli Stati Uniti: conservo le sue affettuose lettere. Ora però sto bene, gli esami sono tutti a posto. E posso dire che mi è riuscito un altro dribbling…".

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    Era meglio dribblare le sigarette sin dall'inizio.

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