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    Brocchi racconta Ancelotti a CM: "Con lui non avevamo mai paura"

    Brocchi racconta Ancelotti a CM: "Con lui non avevamo mai paura"

    • Francesco Guerrieri
    Ancora Real Madrid, ancora Ancelotti. Carletto sul tetto d'Europa per l'ennesima volta, terza Champions League con i Blancos vinta grazie al 2-0 al Borussia Dortmund (gol di Carvajal e Vinicius). Le altre due le ha vinte col Milan, diventando una leggenda rossonera. Il tempo passa ma i ricordi sono indelebili, quel rigore di Sheva contro Buffon nel 2003 è rimasto nella storia. A 64 anni Ancelotti è ancora lì, con una coppa tra le mani. Re Carlo. In tutto il mondo. Ha detto no al Brasile per continuare a vincere in Europa, e ha avuto ragione. Dopo le esperienze negative all'Everton e al Napoli gli davano del 'bollito'. Lui se la rideva. 

    BROCCHI RACCONTA ANCELOTTI - Inutile rispondere agli insulti, Ancelotti non è mai stato di tante parole. Ed è uno dei segreti di Carlo, come racconta nella nostra intervista Cristian Brocchi, che ha lavorato con lui al Milan dal 2001 al 2008 (nel mezzo una stagione alla Fiorentina): "Nel calcio di oggi se non urli e non dai calci alle bottigliette sembra che non hai polso, Ancelotti invece ha sempre dato serenità e tranquillità ai giocatori; un aspetto fondamentale per affrontare i momenti più difficili, ed è quello che che cerco di tasmettere anch'io alle mie squadre. Carlo ha sempre fatto sentire tutti i giocatori importanti, senza grandi sceneggiate ha ottenuto il massimo da chiunque".

    Hai visto la finale di Champions?
    "Il Real Madrid ha rischiato di andare sotto, ma credo che in queste partite contano anche altri aspetti extra campo, le Merengues erano più pronte per affrontare sfide così importanti".

    Hai scritto ad Ancelotti dopo la vittoria?
    "No, non sono uno di quelli che sale sul carro del vincitore; Carlo sa l'affetto e la stima che ho per lui. In un momento in cui ci sarà tutto il mondo che lo starà chiamando, io aspetto; ci sarà modo di sentirlo a tempo debito".

    E' l'allenatore più forte di sempre?
    "Se non il primo, sicuramente è tra i primi tre. Lo sta dimostrando allenando in ambienti non semplici nei quali c'è tensione massima. Sedersi sulla panchina del Real Madrid o del nostro Milan non è come andare in altre squadre, Carlo è un allenatore che ha dato un segnale importante al calcio".

    Brocchi racconta Ancelotti a CM:

    Chi sono gli altri due?
    "Sacchi, cambiando completamente il concetto di questo sport, e Guardiola che è riuscito a inserire cose nuove e interpreta la gara in modo diverso rispetto ad Ancelotti".

    Ma Carlo Ancelotti ha anche qualche difetto?
    "E' difficile trovarglieli... Io credo che questa calma apparente in alcuni momenti l'ha penalizzato, perché in ambienti dove ha avuto difficoltà - penso all'esperienza a Napoli - non è stata ben vista. E se fosse riuscito a far capire i suoi metodi di lavoro avrebbe ottenuto di più".

    Te per lui eri il giocatore più sottovalutato di quel Milan.
    "Sì, lo diceva spesso. Se sono rimasto un paio d'anni in più in rossonero è anche perché c'era lui: da una parte per me il Milan era famiglia, dall'altra sapevo di avere in Ancelotti un allenatore che mi stimava e me lo dimostrava con i fatti. Vi racconto un esempio".

    Vai.
    "Prima della semifinale di Champions con l'Inter mi disse: 'Dicono che manca quello e quell'altro, ma io ho te e sono tranquillo'. Ecco, in questo modo Ancelotti trasmetteva serenità e aiutava ad affrontare anche i big match con tranquillità. Il Milan è stata l'unica squadra nella quale non ero titolare: avendo davanti Pirlo, Gattuso e Seedorf era difficile, ma la sua forza è sempre stata quella di farmi sentire importante. E ci riesce in ogni gruppo".

    E' anche uno psicologo?
    "Nella modalità di gestione sì. Non è un allenatore che fa grandi discorsi nello spogliatoio, ma riesce a trasmettere quello che vuole anche senza parlare. In tante partite importanti non c'è mai stata una volta in cui ci ha fatto percepire paura o difficoltà. Oggi ci sono allenatori che quando le cose non vanno fanno tante riunioni, ma le chiacchiere servono a poco".

    Brocchi racconta Ancelotti a CM:

    Ci racconti un aneddoto con lui?
    "Posso dirvi che prima di ogni partita, qualsiasi partita, arrivava col suo sorrisino sulle labbra e ci diceva: 'Che dobbiamo fare?! Andiamo, giochiamo e divertiamoci'. Con poche parole riusciva sempre a stemperare la tensione che poteva esserci nello spogliatoio".

    Anche prima della finale di Champions 2003 poi vinta con la Juventus?
    "Anche in quel caso. Per lui troppe parole non servono: se un allenatore ha bisogno di fare lunghi discorsi motivazionali prima di una finale c'è qualcosa che non va; i giocatori le motivazioni devono averle dentro di loro per partite così importanti".

    Cosa hai ripreso da lui?
    "A livello tecnico-tattico Prandelli è quello che mi ha insegnato di più - prima a Verona e poi a Firenze - dal punto di vista gestionale però mi rivedo molto in Ancelotti: nel tentativo di trasmettere tranquillità alla squadra siamo simili. Un allenatore deve dare fiducia, certezze e serenità".

    @francGuerrieri 

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