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    Arroganza, presunzione, velleità. Il Napoli di Garcia si accorge presto quanto valesse Spalletti

    Arroganza, presunzione, velleità. Il Napoli di Garcia si accorge presto quanto valesse Spalletti

    • Giancarlo Padovan
    Finisce l’effetto Spalletti, comincia l’effetto Garcia. L’allenatore che l’astuto De Laurentiis - uno che crede di avere inventato il calcio perché ha vinto uno scudetto grazie a Luciano e a Giuntoli, anche se ovviamente tutti li disconoscono - è andato a raccattare ai margini dell’Arabia Saudita, dove si era trasferito per svernare e ricevere una sorta di pensione anticipata.

    Il Napoli perde ancora dalla Lazio, ma mentre sei mesi fa era lanciato verso uno scudetto inverosimile per dominio e punti di vantaggio, questa volta accade presto (alla terza giornata) e nella stagione in cui tutti, o quasi tutti, lo lo indicano come vincitore bis. Invece peggio della difesa del Napoli c’è stata la sua intera fase difensiva. Squadra spaccata in due nel tentativo prima di andare in vantaggio, poi di recuperare. Buon per il Napoli che nel giro di quattro minuti il Var abbia richiamato l’arbitro Colombo all’annullamento di due gol: il primo di Zaccagni e il secondo di Guendouzi, entrambi per fuorigioco. In un caso non c’è stata immagine che l’abbia mostrato, nel secondo la decisione è alquanto discutibile. Se è vero che c’è un calciatore della Lazio al di là della linea difensiva del Napoli, è altrettanto vero che non viene mai raggiunto da un passaggio, anche se costringe un difendente al rinvio che carambola sui piedi del francese, bravissimo ad insaccare con un tiro a giro dal limite.

    Il Napoli non si aspettava di andr sotto nè una, né un’altra volta. Per i primi trenta minuti ha dominato e la Lazio, tenuta in piedi da Provedel, sembrava davvero l’ultima in classifica. Peggio: non sembrava nemmeno lontanamente una squadra di Sarri. Timida, impacciata, con tutti gli uomini dietro la linea della palla e l’incapacità a ripartire. Poi, in un’azione che è sembrava di alleggerimento, rispetto alla pressione napoletana, Felipe Anderson e Luis Alberto si sono accesi, hanno inventato un gol fantastico (di tacco, su assist in tunnel) e non si sono spenti più. Non a caso, nella ripresa, il gol decisivo di Kamada è stato il prodotto, oltre che di un sinistro in diagonale del giapponese, anche di un’azione in ripartenza di Felipe Anderson (straordinario) e dell’assist su cui ha fatto velo Luis Alberto. A quel punto, il Napoli, che aveva trovato il pari nel primo tempo (tiro di Zielinski deviato in modo decisivo da Romagnoli), ad appena due minuti dal tacco sublime di Luis Alberto, è andato a schiantarsi, senza un minimo di equilibrio, nella metacampo avversaria.

    Probabilmente sentiva di essere superiore all’avversario, ma in maniera ottusa ha smesso di assaltare sui fianchi per una lunga e stucchevole teoria di lanci e cross dalla trequarti. La Lazio, al contrario del primo tempo, ad ogni pallone recuperato imbastiva una ripartenza e ogni ripartenza corrispondeva ad un pericolo. Ora Rrahmani senza Kim è un pesce fuor d’acqua (non sa tener la linea), Juan Jesus, invece, è un ex giocatore, ma nessuno lo ha detto a De Laurentiis che, infatti, ha preso Natan, panchinato da Garcia.

    Arroganza, presunzione, velleità. Il Napoli oggi è tutto il suo presidente e l’ineffabile allenatore, la squadra suona lo spartito di Spalletti, ma lui non c’è più e quando qualcosa si inceppa nessuno interviene. Ci voleva calma e non frenesia, non ha avuto senso togliere Kvaratskhelia per inserire il modesto Raspadori. Riempire la squadra di attaccanti (Simeone per Zielinski) ha dimostrato l’approssimazione strategica. Così, mentre la Lazio, prepotentemente ritrovava se stessa, il Napoli è sparito. Non ha perso lo scudetto, ma il filo del gioco. Se va sui nervi sembra una squadra come tante. Invece è sempre la più forte, tranne che in panchina.


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