Getty Images
Amoruso a CM: 'Gattuso, Gascoigne e Sean Connery, ecco i miei Rangers. Fiorentina, quando fermai Ronaldo...'
Nell’estate del 1996, con il walkman in mano e le cuffie sulle orecchie, si ascoltavano cassette fai da te, quelle che "poi l’etichetta la compili tu": gli Oasis con Don’t Look Back In Anger, i Fool’s Garden con Lemon Tree e gli Articolo 31 con Tranqui Funky. Sulle note di questi tormentoni estivi, a metà anni ’90, nel calcio, l’Italia faceva gola a tanti. Tantissimi. Per lo più club stranieri. Nel ’96 il primo vero esodo con Di Matteo, Zola e Vialli al Chelsea, nel ’97, invece, tocca a Lorenzo Amoruso lasciare l’Italia per volare in Gran Bretagna. Non in Inghilterra, però, ma in Scozia: sponda Rangers di Glasgow. E di quegli anni, e non solo, ha parlato a calciomercato.com l’ex capitano dei Gers.
Lei è stato tra i primi a lasciare l'Italia. Cosa significava andare all'estero? Come l'ha presa?
"Non fu una cosa presa bene da tanti, parlo anche di gente vicina a me. Mi davano dal pazzo a lasciare il campionato più bello del mondo per andare a Glasgow. Tutti pensavano ci fosse dietro un discorso economico, e per carità, le squadre britanniche iniziavano a pagare molto di più rispetto a quelle italiane, ma in realtà io volevo affrontare gli attaccanti più forti al mondo e questo lo potevi fare solo in Champions League. I Rangers questa possibilità me la davano. Con tutto il rispetto per la Fiorentina non pensavo potessimo competere con Inter, Juve, Milan, ma mai avrei pensato che qualche anno dopo le prime quattro sarebbero andare in Champions. All'epoca solo se vincevi partecipavi. In più la Fiorentina, che iniziava già a non passarsela benissimo a livello economico, non ci ha pensato due volte a vendermi, avevano già chiuso la trattativa senza neanche interpellarmi. Quindi ho valutato una serie di cose, che poi abbinate alla mia ambizione mi hanno spinto ad andare in Scozia".
Tanti i grandi giocatori in Europa dell'epoca. Lei, a Firenze, se la vide con Ronaldo il Fenomeno ai tempi del Barcellona...
"Quella è stata una delle motivazioni che mi ha portato a decidere di andare in Gran Bretagna. Quando giochi con un attaccante del genere, lo tieni lontano dalla porta, non gli fai far gol, capisci che puoi davvero puntare a quel tipo di livello, giocare contro i più forti di tutti. Quando sei in campo non pensi a quanto guadagni, te ne sbatti. Io ho giocato contro il Fenomeno e posso vantarmi di non avergli fatto fare gol. Non so quanti difensori possono dire la stessa cosa. Il tutto in una semifinale di Coppa delle Coppe. Anche quello mi ha spinto ai Rangers, che mi hanno fatto una corte spietata. C'è solo un piccolo rimpianto..."
Quale?
"Essendo andato via dall'Italia, purtroppo ho perso la Nazionale. Ero in odore di convocazione, vicino al debutto, ma andare all'estero mi ha tagliato le gambe. Avevamo una mentalità anche un po' chiusa. Ma se tornassi indietro rifarei comunque la stessa scelta. A livello umano, culturale, calcistico, l'esperienza all'estero mi ha migliorato sotto tutti i punti di vista".
Lei, in Scozia, ha avuto a che fare con Gennaro Gattuso, che all'epoca giovanissimo lasciò l'Italia per Glasgow. Quando tornò in Italia, sembrava, nel modo di giocare, uno scozzese.
"Rino anche a Perugia aveva quello spirito, ma quell'esperienza ai Rangers credo che gli sia servita tantissimo. Ha capito che con le sue caratteristiche si sposava bene con quella realtà. Poi dopo è stato bravo a sfruttare tutto questo, arrivando sul tetto del mondo.
Lo ha aiutato molto in quel periodo?
"Aveva bisogno di gestire la sua forza fisica e l'aggressività mentale in campo. Doveva farlo anche in allenamento. Io all'epoca ero infortunato e ho vissuto con lui e la sua famiglia, perché avevano una casa più piccola della mia e facendo fatica a fare le scale mi sono trasferito da loro. Gli ho dato danti consigli, tanto è vero che ha preso all'epoca il mio stesso procuratore, D'Amico e Pasqualin, e la trattativa per andare prima alla Salernitana e poi al Milan non dico che ho suggerito io, ma l'ho aiutato. Ai Rangers aveva rotto con Advocaat, che lo aveva bocciato, e io gli dissi di andare a Salerno per mettersi in mostra. Restando lì avrebbe perso tantissimo. Parlai anche con Franco, suo padre. Tante piccole cose che hanno portato poi Rino dov'è. E vederlo a certi livelli mi ha fatto molto piacere".
E ora, quel ragazzino, fa l'allenatore. Se lo sarebbe mai aspettato?
"No, ti dico la verità All'epoca era difficile da dire. Ma il sentire la partita lo ha aiutato anche in questo percorso. E' un guerriero eterno. Sentiva la partita da giocatore, ora trasmette forza ai suoi giocatori".
In quei Rangers c'era anche Paul Gascoigne. Com'era il suo rapporto con il fuoriclasse inglese?
"Non è stato lunghissimo, io ero infortunato, lui ad aprile andò via, praticamente quando io rientrai dopo la terza operazione. Iniziai a dubitare dei medici britannici e quindi decisi di farmi operare, la terza volta, in Belgio. Per questo non siamo stati tanto insieme, però posso dire che aveva una classe incredibile, che poteva fare molto, ma molto, ma molto di più di quello che ha fatto. Non ha avuta un'infanzia normale, la facilità di crescere sereno, e questo se l'è portato dietro. Però una persona splendida, con un cuore immenso, profondo, gigantesco, una bontà incredibile. Non ho mai visto Paul essere cattivo nei confronti di nessun. A volte aveva un comportante sopra le righe, un po' superficiale, ma era anche la sua forza".
Gattuso, Gascoigne e.... Sean Connery. Ci racconta quell'incontro?
"All'epoca tifava Rangers, era amico del presidente, David Murray. Mi ha detto, quando ci siamo visti, una delle prime volte, che avrei potuto fare l'attore per come ero fisicamente. Ci siamo visti 3 o 4 volte, veniva sempre nei finali di stagione. Era un grande appassionato di calcio"
Dopo i Rangers andò al Blackburn. E qui ebbe a che fare con due giocatori che per chi ha vissuto gli anni '90 intensamente, hanno segnato un'era: Yorke e Cole, i Calypso Boys. Com'erano?
"Due giocatori diversi. Yorke molto più istrionico, più bizzarro, si divertiva molto, un giocatore fantastico. Andy Cole un attaccante con il fiuto del gol incredibile, bravo nel concretizzare quello che gli capitava. Entrambi, però, non molto predisposti al sacrificio, né in allenamento né in partita. Avrebbero potuto continuare a giocare nello United se avesser avuto questa indole al sacrificio, ecco"
Un'ultima domanda per chiudere questo viaggio negli anni '90. Facciamo, però, un passo indietro. Fiorentina. Batistuta. Rui Costa. La squadra più forte con cui ha giocato?
"Difficile fare questi paragoni, dipende molto dal contesto. Nei Rangers ho giocato con Ronald de Boer, Tore Andre Flo, Stefan Klos, Claudio Reyna, Tugay, Giovanni van Bronkhorst, Arthur Numan, Brian Laudrup, calciatori fortissimi, tutti nazionali. E' chiaro che, visto in un contesto italiano, è più forte la squadra italiana. Certo, Batistuta è Batistuta, ha fatto gol contro chiunque in qualsiasi modo, stiamo parlando di uno come Ronaldo il Fenomeno. Era Batigol. Rui Costa aveva una classe incredibile, ma purtroppo poco continuo. Avrebbe potuto fare molto di più in carriera, era discontinuo. Ma una classe immensa"
Ce lo ha detto Lulù Oliveira. Ma Bati era proprio così tirchio?
"E' vero, è vero. Devo dire la verità, però: a fine carriera effettivamente è cambiato, forse perché quando smetti di giocare se ne va quell'alone quasi sacro e devi tornare un po' coi piedi per terra"
Lasciamo il passato e torniamo al presente, ai giorni nostri, che sono difficili. Come sta vivendo questa quarantena?
"Sono da solo a casa, col mio cane, a Firenze. La mia compagna è a Roma coi bimbi e inizia a pesare, sono 6 settimane che non ci vediamo. Speriamo che dal 4 maggio si possa muovere qualcosa, ovviamente in sicurezza, e che possa rivederla. Però è un sacrificio che va fatto, che si deve fare, anche perché piano piano i risultati stanno arrivando"
E il calcio riusciremo a vederlo, in questo contesto?
"Io capisco tutta la buona volontà, le idee, le precauzioni che verranno prese, però credo anche che ci sono dei numeri che non quadrano da qualche parte. I calciatori devono risultare negativi per due tamponi a distanza di un tot di giorni, altrimenti non possono rientrare nel gruppo. E questi gruppi devono essere isolati per tutto il tempo necessario, stare in un centro sportivo adattato ad albergo per chi ce l'ha, sempre pulito, igienizzato. Ci dovranno essere persone che dovranno pulire tutti i giorni, rifare le camere tutti i giorni, cucinare tutti i giorni, un personale importante. Un numero importantissimo. Le rose ormai sono di 30 giocatori, compreso qualcuno della Primavera. Poi c'è la dirigenza, dottori, staff tecnico, massaggiatori. Mi sembra un numero troppo elevato. Non penso sia facile ripartire"
Che poi, non è un problema sono italiano.
"In Inghilterra sono in contatto con ex compagni. Il peggio lì sembra non sia ancora arrivato, nonostante siano in lockdown da 3 settimane. Situazione complicata dappertutto. Poi vedere gli stadi senza pubblico..."
Farebbe fatica a giocare in uno stadio senza pubblico?
"Sarò romantico, sentimantele, ma giocare calcio in uno stadio a porte chiuse è una cosa tristissima, l'anticalcio. Però, questo è il mio pensiero. Se dobbiamo mettere degli interessi economici davanti, tutto ci può stare. E se questo devono prevaricare, l'importante è che non vadano a toccare la sicurezza mondiale. Quello che spesso ci si dimentica, è che il calcio è nato per dare un po' di svago agli operai che in settimana dovevano lavorare duramente. Uno spettacolo, quasi. E a porte chiuse non è uno spettacolo"