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120 anni Milan, Sheva: 'Storia unica, Maldini simbolo'. Rivera: 'Oggi cose poco chiare e preoccupanti. Ibra...'
SHEVA - "Adoravo il Milan, per quello volevo venire a giocare in rossonero. Rapporto con Berlusconi? È naturale. Tutto quello che riguarda la mia carriera a Milano è legato a lui. Giocatore simbolo dei 120 anni del Milan? Dico Maldini perché rappresenta il mio Milan ma ha attraversato gli anni. il club ha avuto tantissimi campioni: Rivera, Baresi, molti altri. Paolo è il simbolo del mio tempo, ma è anche un giocatore particolare: padre capitano, come lui, e poi allenatore, mentre lui ora è dirigente, con un figlio che gioca nel Milan. È una storia che attraversa quasi tutte le epoche e credo che sia più unica che rara nel calcio. Per questo penso che, alla fine, se proprio si dovesse scegliere un unico nome sarebbe giusto scegliere Paolo. Che è il simbolo di un club straordinario, che ha segnato tante epoche. La storia non si dimentica. Lo dimostrano i tifosi, pensi quanti ce ne sono stati e quanti ce ne sono allo stadio, anche nei periodi di difficoltà. Augurio al Milan? Faccio gli auguri a tutti quelli che hanno contribuito a creare questa lunga emozione, in un modo o nell’altro. È una festa per tutti noi, non soltanto per quelli che hanno avuto la fortuna di stare sul palcoscenico. Il Milan è unico, è un grande film che non finisce. Chi ama il calcio lo sa".
RIVERA - "Le difficoltà di Piatek? Bisogna dire che fare il centravanti di questo Milan non dev’essere facile. La squadra sta rendendo al di sotto del suo valore e quando accade questo di solito dipende da una situazione societaria incerta, che si ripercuote sul rendimento in campo. C’è qualcosa di poco chiaro, indubbiamente, nei rapporti tra le varie componenti. Non conosco la situazione reale e le strategie, però qualcosa che non quadra, che preoccupa, esiste. Ibrahimovic uomo giusto per rendere più competitiva la squadra? Il Milan più brillante? Penso a quello che schierava la difesa della nazionale italiana e l’attacco dell’Olanda: un mix formidabile. E il merito va anche a chi aveva formato nel nostro vivaio i vari Baresi, Maldini, Galli, Costacurta. Più forte Cesare o Paolo Maldini? Il mio Maldini è stato un difensore di rara efficacia e personalità, ma usava solo il destro. Paolo ha evidentemente ricevuto dal padre quel qualcosa in più che Cesare non era riuscito ad esprimere. Rimpianto di non aver fatto parte del Milan di Berlusconi? No, perché si trattò di una scelta. Avevo verificato che oltre un certo confine decisionale come dirigente rossonero non potevo spingermi e nel frattempo mi era giunta l’offerta di entrare in politica: così decisi di uscire dal club. Esiste uno spirito Milan? Sì, c’è un filo che lega i vari periodi ed è la correttezza dei rapporti interni e la pacatezza degli atteggiamenti esterni: non siamo mai stati una squadra di urlatori. Al punto che i cronisti ci rimproveravano spesso: Gianni, non ci date mai dei titoloni...".