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    Bucciantini: 11 metri, la distanza fra noi e gli altri

    Bucciantini: 11 metri, la distanza fra noi e gli altri

    Solo Nino poteva dimenticare la paura, prima di tirare un calcio di rigore. Tanto era una canzone. Quando è roba vera, davanti a tanta gente, davanti a un portiere che per l'occasione diventa due volte più largo, e la porta che sembra un uscio socchiuso, la paura accompagna la corsa, s'intromette nel respiro. Fa la sua parte. Può soggiogarla l'abitudine, la personalità, il talento. Una cosa è certa, senza equivoci: il calcio di rigore è un esercizio di classe. Percentualmente, i grandi calciatori segnano nell'80% e più dei tentativi. Cruyff li mette tutti in fila, con 92%. Pochi degli 'eletti' sono sotto l'80% (Messi, ma sta migliorando, dopo i primi anni sottomedia). In generale, non esiste una statistica ufficiale perché l'inventario dei tornei e delle occasioni sarebbe sconfinato, ma considerando i campionati più noti, da sempre i rigoristi trasformano i rigori in una stima che 'balla' fra il 75-78% dei casi. Nel calcio eroico si rintracciano curriculum immacolati, ma fa più effetto la quasi perfezione del britannico Matthew Le Tissier, centrocampista d'attacco dall'incedere lento e stiloso, una vita nel Southampton: tra il 1986 e il 2002 ne ha sbattuti dentro 47 su 48 (98%). 

    La premessa suggestiva vuole accompagnare il dato (e spiegarlo, in parte) che aggiunge discredito alla povera (tecnicamente) Serie A: dopo 12 giornate la media-gol sui rigori assegnati è del 60%. Quattro rigoristi su 10 sbagliano: dato senza precedenti e senza paragoni nemmeno con gli altri campionati. Nella Premier League e nella Liga i dati sono perfettamente allineati alla statistica: 75% di gol. In Bundesliga si cresce all'80% (arrotondamento per lieve difetto, 22 rigori concessi, solo 4 errori). In Italia dunque ben 15 errori nei 38 penalty assegnati. Il Torino si distingue (3 sbagli su 3, e con tre protagonisti differenti: a volte è meglio insistere su un 'delegato', anche per calcolo statistico…). 

    È indubbio che sia una delle spie che indicano il depauperamento del talento nel nostro torneo. Fra i grandi calciatori che hanno giocato in Serie A e hanno battuto un numero sufficiente di rigori così da avere valore statistico, solo Batistuta è sotto al 60% (14 gol su 24 tentativi, il 58%). Solitamente, i fuoriclasse macinano molti gol e pochissimi 'storici' errori. Ma mancano, anche in quel momento. E, tolto Di Natale, mancano anche quei giocatori di talento in periferia, quei numeri dieci puntuali, manieristi, leader delle loro squadre. Calciatori di personalità, riconoscibili anche lontani dalla grande ribalta: questa è un'altra evidente assenza nella Serie A. 

    Un altro aspetto di questo viaggio nei rigori è il primato che invece tocca al nostro campionato: con 38 penalty siamo davanti a tutti, con la Liga dappresso (35) ma Premier e Bundesliga distanti (23 e 22): anche questo dato significa qualcosa. In Europa ci sono campi dove c'è più fluidità in tutte le zone di gioco e di contatto, dove le partite sono più piacevoli da vedere e ogni statistica ne conferma i sostanziali motivi. Meno rigori, e meno punizioni fischiate, meno falli ovunque, meno cartellini di ogni colore. Più calcio. Più voglia di attaccare che di 'ostacolare', 'braccare', fino ai mezzi meno leciti. Il discorso sta tutto insieme. E non è un problema di diversa tolleranza arbitrale. Anzi, la maggior critica rivolta al nostro modo d'interpretare certi momenti del match è proprio quella di ripetere l'abitudine alla 'rissa' durante i calci piazzati laterali, che spesso viene condonata in Italia (ma sempre meno) e ci viene poi rinfacciata all'estero. 

    Altro argomento: i portieri studiano di più i rigoristi. È vero, infatti la percentuale di realizzazione è calata (di pochissimo) ma ovunque e costantemente. E ci sono studi che cercano di codificare il comportamento migliore da tenere per parare un rigore. Si trovano in rete, come la ricerca dell'università Ben Gurion di Eilat (Israele): un portiere che può affidarsi a una buona reattività, e può permettersi di aspettare da fermo e vedere la direzione del pallone prima di buttarsi, neutralizza il 33% dei penalty (uno su tre). Percentuale che scende sotto al 15% se tenta il tuffo in anticipo, com'era vulgata popolare del passato: di qui o di là. Perché intuire la direzione non eleva le possibilità di prendere il tiro al 50%: non è testa o croce. Basta ricordare la battuta che Federico Buffa raccolse da Goicoechea, il portiere che portò l'Argentina in finale a Italia '90, parando i rigori agli slavi (nei quarti) e ai nostri (in semifinale, a Napoli): "Lo puoi prendere se ti butti dalla parte giusta, ma non puoi farci niente se la palla è calciata nei 30 centimetri vicini al palo: non ci può arrivare nessuno, quello è un rigore imparabile". Ed è un rigore che non si riesce più a calciare, in Serie A: i portieri studiano, ovunque, però le medie (si è visto) restano del 75%. Da noi no. Eppure, curiosamente, nonostante questi dati il 93,7% dei portieri preferisce – sbagliando – muoversi prima del tiro. 

    E allora resta l'ultimo alibi, che somiglia alle illusioni di un mondo perduto: in Italia ci sono i portieri più forti del mondo. Boh, chi lo sa. Quando la realtà è al di sotto delle aspettative, il rifugio delle frasi fatte è sempre a portata di mano. Neuer gioca da un'altra parte, e così Courtois. I portieri sono bravi, qualcuno è specializzato (Handanovic), qualche giovane ha stoffa, certo, ma mancano i rigoristi, quelli che la mettono in quei 30 centimetri. Quelli che sanno respirare calmo mentre l'aria trema. Che sanno dominare il fatto umano e il fatto tecnico, in quell'esercizio difficile perché dall'apparenza banale, per niente esatto anche se va quasi sempre dentro, perché mette insieme troppe cose umane per essere così prevedibile. C'è la spossatezza fisica e mentale di una lunga partita, c'è la rincorsa, cinque o sei appoggi sulle gambe stremate dalla fatica, talvolta, o spolpate dalla tensione. Poi si calcia, si butta il peso su una gamba, si colpisce con l'altra, d'interno, di collo, di esterno (un tempo, adesso meno). Bisogna scegliere e mirare. È un superbo momento di calcio, il rigore. Ritroveremo quei trenta centimetri, di qui o di là, solo dopo aver ritrovato tante altre cose. 

    Marco Bucciantini


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