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Bucciantini: la nostra Europa è possibile
Questi due mesi di partite “europee” misurano già distanze nette, tanto sono stati “prepotenti” certi punteggi e certe dimostrazioni: quattro squadre di un altro livello, capaci di evitarsi gli affanni di qualsiasi altro avversario che non sia del ristretto cerchio (Real, Bayern, Chelsea e Barcellona). Altre due squadre “superiori”, Paris Saint Germain (per possibilità) e Borussia Dortmund (per continuità di gioco in Champions: due anni e mezzo di partite piene, veloci, coraggiose e limpide), e forse l’Atletico per convinzioni recenti. Poi, un gruppo ampio di buone squadre, più o meno faticose e favorite. Un inventario che si potrebbe estendere anche alla “crema” dell’Europa League: è più sfumato il confine verso il limite inferiore rispetto a quello verso i migliori: questa è una novità. Un tempo era facile identificare le squadrette in giro, le avversarie da abusare, i materassi sui quali rimbalzare, sempre e comunque. Adesso è tutto più insidioso: di scontato c’è solo la sconfitta se vai a giocare a Monaco o a Madrid.
È il ragionamento che ha mosso Garcia, ferito dalle ultime batoste. Fu avventato, e lo scorticarono. È stato saggio, e lo criticano: funziona così. Noi restiamo convinti che la formazione sbagliata fosse quella dell’andata, ma non è più questo il discorso: la Roma è prima nel suo piccolo girone a tre squadre, per il posto rimasto agli ottavi. Sembrava un girone impossibile, è invece un gruppo che può dare la qualificazione a 6 punti! Sono paradossi solo se non si tiene conto dell’assunto iniziale. Il Manchester City forse ha più argomenti per duellare con il Bayern (da sfavorito, ovviamente) ma non per sentirsi superiore alla Roma. La rimonta dell’Anderlecht a Londra contro l’Arsenal è l’esempio più cinico (forse superficiale) di questo “gruppone”, dove quasi tutto può succedere e dove le italiane sono costrette a lottare. Non hanno margine sull’Europa debole: questa è la brutta notizia. Ma non mancano di nessun requisito per essere fra le qualificate, anzi: il tempo le crescerà, servirà a riguadagnare blasone in Europa, adesso il tarlo dell’obiettivo sembra dissanguare Juventus e Roma. A primavera le distanze potrebbe essere minori, l’eliminazione diretta è sempre più aleatoria di un girone, e stressa le gerarchie (ma non siamo ancora in grado di invertirle: onestamente, ci vorranno anni, se usati bene).
La Juventus, per esempio, potrebbe mettersi alla testa di questo gruppo. Allegri sta cominciando a griffare la squadra. Non tutto è fluido, non tutto è chiaro, il rombo di centrocampo sembra più dovuto alla difficoltà di scegliere una riserva del magnifico quartetto di centrocampo che figlio di un preciso uso della manodopera (infatti nessuno gradisce il ruolo di vertice alto). Ma il tentativo di muovere di più il pallone e le difese avversarie è evidente. Peccato (millesima volta che lo denunciamo) per l’assenza di un attaccante esterno che priva Allegri di diverse variabili tattiche. Ma intanto sono arrivati 3 gol, dopo tanti stenti. La rimonta è sempre un segnale di forza (d’animo, almeno) e di saldezza d’intenti. Pescando il più suggestivo fra i ricordi, abbiamo ritrovato un 3-2 di 20 anni fa, tondi tondi (era il 4 dicembre del 1994). Un’altra rimonta, più difficile, più bella, contro la Fiorentina al Delle Alpi, i viola in vantaggio 2-0, i bianconeri indefessamente in avanti, a sbagliare occasioni da gol. Poi arrivarono le reti, nell’ultima mezz’ora: Vialli, Vialli, Del Piero. Fu quella la “nascita di una squadra”. Quel giorno la Juventus di Marcello Lippi seppe di essere forte, di poter trovare in sé la voglia e la classe per ribaltare un risultato, una gerarchia (era gli anni del dominio imbarazzante e perentorio del Milan di Capello, vincitore degli ultimi 3 scudetti). Quel giorno cominciò l’era della Juventus di Lippi (e di Del Piero, per certi versi, che giocò quel match ma allora era ancora riserva di Baggio).
Ogni paragone non può mai sfuggire dal vizio, dall’arbitrarietà, perfino dal ridicolo. Ma quel pomeriggio lontano fu vissuto (dalla parte che c’interessa qui, quella juventina) con un’intensità e una drammatizzazione che era medesima l’altra sera, venti minuti prima di una possibile ignominiosa eliminazione dalla Champions per mano dei volenterosi greci. La Juventus ha ribaltato partita e destino (per ora). Ma è così che nascono le squadre, è uscendo interi da certi testacoda che trovano la direzione. Sono le emozioni più violente che persuadono un gruppo di un lavoro comune. E non c’è esagerazione: la Juventus ha bisogno di una natività, di una nuova storia, anche se i volti sono gli stessi dei trionfi recenti, anche se è lei stessa titolare degli ultimi 3 scudetti.
L’Europa vuole qualcosa di nuovo, è un terreno che le nostre squadre hanno lasciato incolto, asfissiate dai debiti e dai tatticismi. Sono poche, pochissime, forse solo quattro, le squadre distanti. Le conosciamo, la sfida a loro è rimandata (la Roma, in fondo questo ha scelto di fare a Monaco: rimandare la sfida a qualche mese più avanti, se tutto va bene).
Tutto il “grosso” del continente è lì, come noi, né peggio né meglio. Proviamo a metterlo in fila, alle spalle, ora che forse è ri-nata la Juventus, che la Roma ha ormai alle spalle le peggiori partite del suo calendario (e senza danno irreparabile), che il Napoli ha ritrovato (cresciuta) la sua forza, che Inter e Fiorentina curano in Europa le ferite del campionato. Certe distanze si possono “comprare”, ma i soldi non ci sono. Allora servono coraggio e idee, cultura e lavoro. E i gol: quelli si trovano attaccando.
Marco Bucciantini