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Zeman, quanto è amara Lugano
L’isola che non c’è più. Al tempo, un’utopia dell’incanto, l’estasi inebriante e a tratti tracotante, spesso amara e deludente. Di chi parliamo? Facile, di Zdenek Zeman. Come sapete, da qualche tempo allena il Lugano, nel Canton Ticino, nella più grande città di lingua italiana al di fuori del “Bel Paese”. “Super League” svizzera. Dieci squadre, la prima vince il campionato e va in Champions, la seconda ai preliminari, terza e quarta in Europa League, l’ultima retrocede in “Challenge League”.
Evviva, eh? Il Lugano è terz’ultimo, quindici punti. Un disastro? Quasi. Poche le soddisfazioni; soprattutto, poco divertimento. Per dirne una: alla quarta giornata ne prende sei dal Grasshoppers. Poi, perde ancora qua e là. L’unica soddisfazione? Venti giorni fa, tre a zero in casa col Sion, quarta in classifica. Non un granchè francamente. Il sapore è quello amaro dei titoli di coda, dopo un’altra annata da dimenticare, che ha portato alla disastrosa retrocessione del Cagliari in Serie B dopo ben undici anni. L’ennesimo gruppo (dopo l’ultima parentesi romanista), che ha faticato a recepire il suo integralismo tattico.
Un integralismo di bellezza. La ricerca della felicità attraverso un sistema di gioco estremo e rischioso. Un ingranaggio che funziona solo se tutti contribuiscono alla perfezione, nessuno escluso. Ogni movimento di un calciatore è legato a quello del compagno. Se salta, salta tutto. Il castello viene giù. E l’isola che non c’è torna un’utopia da deridere. Ma tant’è, fa parte del gioco, in fondo lo sa anche Zeman. In ogni campo, chiunque decide di rischiare, a volte di rischiare tutto, va poi incontro a due strade: l’estasi o il fallimento. Non ci sono vie di mezzo. È la vita dei geni in fondo. Per loro non esiste “bravo, bene così”, non c’è pacca sulla spalla. Loro vogliono stupire, ammaliare, portare la mente fuori dalla realtà, in uno spazio di bellezza diremmo quasi ultraterrena.
Rischiamo l’eresia: prendete Mozart, oppure Beethoven. Non crederete mica che suonassero per i comuni mortali no? La loro musica ti conduce in una dimensione di meravigliosa irrealtà. Come loro tantissimi altri artisti. Prendete Michelangelo, stesso discorso. Secondo voi “La Pietà” a qualcosa a che vedere con il mondo reale? Cos’è che la distingue dal resto? La meraviglia che suscita. E’ questo il genio, la diversità. Ora, lasciando stare paragoni quantomeno azzardati, ricordiamoci che il calcio è il più grande fenomeno sociale moderno; forse è triste dirlo, ma è così. Sarebbe da ottusi non riconoscerlo. Le emozioni che suscita toccano milioni di persone. Vuol dire che qualcosa “crea” nella gente, è inevitabile. Definire quindi Zeman (come altri “artisti” del calcio) un genio nel suo campo, non ci sembra un eccesso immotivato. In fondo, se è vero quello che si dice, che il calcio riporta tutti bambini, non c’è età più adatta per meravigliarsi, per rimanere stupiti.
Certo, poi c’è la vita di tutti i giorni, con le sue ruvidezze e criticità. Ecco perché, quando ci ricordiamo che Zeman è in Svizzera, in “Super League”, ci viene un groppo in gola pensando al Foggia, alla Lazio, alla Roma, al Pescara. Perché era davvero bello e indimenticabile, una volta a settimana, quel viaggio in un’isoletta sperduta dalla monotona quotidianità. Lì dove la bellezza era senza tempo. L’isola di Zeman.
Raniero Mercuri
Evviva, eh? Il Lugano è terz’ultimo, quindici punti. Un disastro? Quasi. Poche le soddisfazioni; soprattutto, poco divertimento. Per dirne una: alla quarta giornata ne prende sei dal Grasshoppers. Poi, perde ancora qua e là. L’unica soddisfazione? Venti giorni fa, tre a zero in casa col Sion, quarta in classifica. Non un granchè francamente. Il sapore è quello amaro dei titoli di coda, dopo un’altra annata da dimenticare, che ha portato alla disastrosa retrocessione del Cagliari in Serie B dopo ben undici anni. L’ennesimo gruppo (dopo l’ultima parentesi romanista), che ha faticato a recepire il suo integralismo tattico.
Un integralismo di bellezza. La ricerca della felicità attraverso un sistema di gioco estremo e rischioso. Un ingranaggio che funziona solo se tutti contribuiscono alla perfezione, nessuno escluso. Ogni movimento di un calciatore è legato a quello del compagno. Se salta, salta tutto. Il castello viene giù. E l’isola che non c’è torna un’utopia da deridere. Ma tant’è, fa parte del gioco, in fondo lo sa anche Zeman. In ogni campo, chiunque decide di rischiare, a volte di rischiare tutto, va poi incontro a due strade: l’estasi o il fallimento. Non ci sono vie di mezzo. È la vita dei geni in fondo. Per loro non esiste “bravo, bene così”, non c’è pacca sulla spalla. Loro vogliono stupire, ammaliare, portare la mente fuori dalla realtà, in uno spazio di bellezza diremmo quasi ultraterrena.
Rischiamo l’eresia: prendete Mozart, oppure Beethoven. Non crederete mica che suonassero per i comuni mortali no? La loro musica ti conduce in una dimensione di meravigliosa irrealtà. Come loro tantissimi altri artisti. Prendete Michelangelo, stesso discorso. Secondo voi “La Pietà” a qualcosa a che vedere con il mondo reale? Cos’è che la distingue dal resto? La meraviglia che suscita. E’ questo il genio, la diversità. Ora, lasciando stare paragoni quantomeno azzardati, ricordiamoci che il calcio è il più grande fenomeno sociale moderno; forse è triste dirlo, ma è così. Sarebbe da ottusi non riconoscerlo. Le emozioni che suscita toccano milioni di persone. Vuol dire che qualcosa “crea” nella gente, è inevitabile. Definire quindi Zeman (come altri “artisti” del calcio) un genio nel suo campo, non ci sembra un eccesso immotivato. In fondo, se è vero quello che si dice, che il calcio riporta tutti bambini, non c’è età più adatta per meravigliarsi, per rimanere stupiti.
Certo, poi c’è la vita di tutti i giorni, con le sue ruvidezze e criticità. Ecco perché, quando ci ricordiamo che Zeman è in Svizzera, in “Super League”, ci viene un groppo in gola pensando al Foggia, alla Lazio, alla Roma, al Pescara. Perché era davvero bello e indimenticabile, una volta a settimana, quel viaggio in un’isoletta sperduta dalla monotona quotidianità. Lì dove la bellezza era senza tempo. L’isola di Zeman.
Raniero Mercuri