Zazzaroni: Juve-Abete 2-0
La pagina 549 della sentenza di Calciopoli (motivazioni Casoria) contiene un passaggio-chiave: segna un punto – anche due – a favore della Juve nella guerra alla Federcalcio di Giancarlo Abete. Se riuscirete ad arrivare fino in fondo (il linguaggio è quel che è), capirete che la richiesta di danni del club di Agnelli (oltre 440 milioni di euro) adesso è sostenuta da una sentenza: Moggi, secondo i giudici, non rappresentava il club.
“Non imputabilità a Juventus per assenza di rappresentanza e per esorbitanza dalle incombenze – Deve, inoltre, rilevarsi come Juventus non possa essere chiamata a rispondere del fatto di Luciano Moggi, né a titolo di responsabilità organica diretta né a titolo di responsabilità indiretta per fatto del proprio dipendente commesso nell’esercizio delle sue incombenze (art. 2049 c.c.).
Quanto al primo profilo – responsabilità organica diretta – Luciano Moggi all’epoca dei fatti, pur essendo direttore generale e consigliere di amministrazione di Juventus S.p.A., era tuttavia del tutto sprovvisto di poteri di rappresentanza della società, come risultante dalla deliberazione assembleare Juventus pubblicata nel Registro delle Imprese. Pertanto, nella commissione dei noti illeciti sportivi e degli eventuali illeciti penali ascrittigli, il Moggi in alcun modo agì quale rappresentante della società esponente, sicché gli eventuali danni ex lege aquilia derivanti da essi non potranno essere imputati direttamente a Juventus, non sussistendo rapporto organico e non venendo in rilievo, naturalmente, esigenze di tutela dell’affidamento dei terzi, del tutto inconferenti in materia di responsabilità extracontrattuale. La frattura del rapporto organico con il datore di lavoro è dunque evidente laddove si consideri che il ruolo del sig. Moggi fu esclusivamente mera occasio dell’eventuale commissione dell’illecito e giammai rapporto di incorporazione organica preteso dalle norme e dalla giurisprudenza per affermare la responsabilità dell’ente.
Quanto al secondo profilo – responsabilità indiretta dell’esponente per fatto del proprio dipendente commesso nell’esercizio delle sue incombenze – deve parimenti escludersi la responsabilità dell’esponente in quanto i fatti oggetto di questo giudizionon sono stati commessi dal Moggi nell’esercizio delle incombenze cui egli, quale direttore generale di Juventus, era adibito.
Sul punto è doverosa una breve premessa: le fattispecie di responsabilità per fatto altrui, di cui l’art. 2049 c.c. rappresenta uno dei casi più lampanti, costituiscono evidente deviazione dal paradigma costituzionalmente tutelato della responsabilità personale per fatto proprio e colpevole. Esse hanno dunque evidente natura eccezionale e, al pari di tutte le norme eccezionali, sono norme di stretta interpretazione che non ammettono alcuna integrazione di tipo estensivo o analogico, come abitualmente affermato dalla Suprema Corte (per qualche esempio: Cass. SS. UU. 24 novembre 2008, n. 27863; Cass. SS. UU. 8 ottobre 2008, n. 24772; Cass. 18 gennaio 2008, n. 1014). Alla stregua di tali canoni interpretativi, deve ritenersi sussistente la responsabilità del committente soltanto allorquando il preposto abbia commesso un fatto illecito nell’esercizio effettivo delle proprie incombenze. Eventuali interpretazioni estensive che tentino di ampliare l’ambito di responsabilità del committente sono da ritenersi contrari alle regole interpretative dettate dalle preleggi e dai principi costituzionali.
Ritornando alla fattispecie concreta che qui ci occupa, Luciano Moggi, qualedirettore generale, aveva naturalmente il compito di coordinare i dipendenti, trasmettendo direttive agli organi subordinati e curandone la puntuale esecuzione (secondo l’usuale definizione dottrinale delle funzioni del direttore generale di S.p.A.; cfr., ad esempio, Abbadessa, Il direttore generale, in Tratt. S.p.a. Colombo-Portale, 1991, vol. 4, 461 ss.).
Ebbene, manca quindi un nesso diretto tra l’esercizio delle incombenze del Moggi e l’eventuale compimento dei fatti illeciti a lui imputati. L’adempimento delle proprie mansioni di direttore generale non prevedeva affatto l’instaurazione di contatti con i designatori arbitrali o con gli arbitri di gara né tantomeno il consolidamento di relazioni con gli stessi. L’eventuale commissione degli illeciti del Moggi è, dunque, avvenuta pacificamente al di fuori dell’esercizio delle incombenze cui egli era adibito e ciò basta per escludere la responsabilità dell’esponente ex art. 2049 c.c., essendo venuta meno quella pertinenza del fatto illecito al contenuto e allo scopo delle incombenze che autorevole dottrina ha indicato come necessaria per l’affermazione di responsabilità (Scognamiglio, Responsabilità per fatto altrui,voce in Nov. Dig. It.,Torino, 1968, 700).
È evidente, infatti, che l’attività dolosa consistente ad esempio nell’istigazione all’alterazione del sorteggio di un arbitro di gara non solo non è pertinente ma esorbita radicalmente dal perimetro delle incombenze cui il direttore generale di una società calcistica è adibito, palesando in tutta la sua chiarezza l’autonomia dell’iniziativa dell’agente e l’evasione volontaria dai limiti impostigli, sì da non potersi ritenere nemmeno agevolata o occasionata dall’esercizio delle incombenze. Manca, per dirlo con le parole della Suprema Corte, quel contatto funzionale tra fatto illecito e mansioni del dipendente (Cass. 16 aprile 1957, n. 1289) e quella “specifica riferibilità dell’attività generatrice del danno alle mansioni” (Cass. 24 maggio 1972, n. 1632, in Mass. iust. Civ., 1972), necessari per ritenere il committente indirettamente responsabile per il fatto del proprio dipendente”.
Non entro nel merito – dubito che Moggi lavorasse per se stesso -, di certo si è difeso male: la linea del “così facevan tutti” costituisce una sorta di ammissione di colpevolezza: avrebbe dovuto puntare sull’assenza di prove. Avrebbe.
PS. Immemore, io sono solo anti-coglioni. Se non l’hai capita.