Wilkins, dal Milan di Hateley al Chelsea con Ancelotti. Chi ha detto che 'con lui in campo si gioca in 12'?
I pochi risparmi me li giocai tutti dai bookmakers.
Perdendoli.
Poi toccò al mio piccolo appartamento.
Lo misi in vendita e i soldi finirono tutti in tasca degli allibratori.
Ero senza un tetto, un lavoro ... un futuro.
Un “tramp” come si dice qui da noi nel Regno Unito.
Il mio giaciglio era una panchina alla stazione di Brompton che dista poche centinaia di metri dallo Stamford Bridge.
Quella era la mia vita.
Un giorno mi si avvicinò un uomo. Un signore distinto di mezza età.
Lo avevo riconosciuto e per questo fui ancora più stupito quando si fermò ed iniziò a parlare con me. Parlammo della vita nell’esercito, delle difficoltà di reinserirsi nella vita di tutti i giorni, del lavoro che in Inghilterra non c’era per tutti.
Mentre parlavamo ricevette una telefonata.
«Non ho tempo adesso. Sono impegnato. Ti richiamo io».
... “impegnato” ... a parlare con me, un barbone qualsiasi.
Prima di andarsene mi diede 20 sterline.
«Mangiati qualcosa di caldo» mi disse.
Poi mi accompagnò al bar dall’altra parte della strada.
«Beviamoci un caffè insieme prima di salutarci»
Quando arrivò il conto insistetti per pagarlo.
Con le “sue” 20 sterline.
«Certo, con piacere» mi disse sorridendo.
Aveva capito che volevo sentirmi “uomo”, per la prima volta dopo tanto tempo.
Quella sera stessa andai a mangiare in un locale con le sue 20 sterline.
E lì incontrai qualcuno che si occupava del reinserimento degli ex-soldati nella vita civile.
Ora ho un lavoro, ho smesso di scommettere, ho un piccolo appartamento tutto mio e una meravigliosa fidanzata che presto diventerà mia moglie.
Ora lo posso dire senza pudore o ipocrisia.
Io devo tutto a quell’uomo e a quell’incontro che cambiò la mia vita.
Il suo nome era Raymond Colin Wilkins.
Su Ray Wilkins “uomo”, sulla sua generosità, sulla sua etica e sulla sua professionalità gli aneddoti si sprecano.
Uno di quegli esseri umani a cui è impossibile non volere bene.
Non c’è uno solo dei suoi compagni di squadra nelle tante e importanti squadre in cui ha militato che non si porti dentro un meraviglioso ricordo di lui, di “Butch” come lo chiamavano tutti.
Ma attenzione.
Stiamo parlando di uno dei più forti centrocampisti della sua epoca.
Sapeva fare tutto.
Ad una intelligenza tattica fuori dal comune sapeva unire la capacità di recuperare palloni sia grazie ad un senso della posizione invidiabile sia ad una notevole predisposizione al sacrificio quando la palla era tra i piedi degli avversari.
E una volta in possesso era raro, veramente raro, vedere “Razor” (altro suo soprannome) perdere il pallone o consegnarlo ai rivali.
Era avanti trent’anni, soprattutto in quel calcio inglese che della forza fisica, della corsa e del gioco in verticale aveva fatto un dogma negli anni ’80.
«Fosse nato dieci anni prima e avesse giocato con noi ora si parlerebbe di lui come uno dei più grandi centrocampisti della storia del calcio» ... parole e musica di George Best.
Tirati i primi calci nel piccolo Senrab è evidente ad un cieco che le qualità di Ray Wilkins meritano ben altri palcoscenici.
Lo vuole il Chelsea, la sua squadra del cuore.
A 17 anni fa il suo debutto in prima squadra.
Nella stagione successiva è già un titolare fisso ma quando a fine campionato arriva la retrocessione per i “Blues” si scatena il “fuggi fuggi”.
Se ne vanno in tanti, almeno quelli che hanno un mercato in First Division.
A “Butch” le richieste non mancano di certo.
«Non se ne parla neppure. Io resto qui!» sono le parole di Wilkins al termine di quella disgraziata stagione.
A questo punto il manager del Chelsea Eddie McCreadie non ha dubbi: sarà proprio il ragazzino diciottenne il nuovo capitano dei Blues, colui che dovrà guidare il Club nel tentativo di risalita nella massima divisione.
La rinascita partirà proprio da lui, da questo piccolo centrocampista dai due volti ben distinti: spietato e determinato nei tackles quanto freddo e lucido quando la palla ce l’ha tra i piedi.
Nel 1979 di retrocessioni ne arriva però un’altra e a quel punto si muovono tutte le più grandi squadre di Inghilterra per avere “Butch” in squadra.
Il Manchester United mette sul tavolo della dirigenza dei “Blues” un assegno da 825.000 sterline.
Al Chelsea nessuno aveva mai offerto tanto per un calciatore.
I “Red Devils” non sono più la corazzata del decennio precedente e stanno facendo tanta fatica a tornare ai vertici di un campionato quasi sempre dominato dai grandi rivali del Liverpool.
Ray diventa immediatamente il “metronomo” del centrocampo dello United e quando sulla panchina del club dell’Old Trafford arriva “Big” Ron Atkinson gli mette a fianco Bryan Robson, suo pupillo al WBA e per il quale lo United rompe letteralmente il salvadanaio.
In breve il Manchester torna a scalare posizioni e la coppia di centrocampo formata dai due si dimostra come una delle meglio assortite in assoluto tanto da diventare imprescindibile anche per la Nazionale inglese che nel 1982 giocherà un ottimo mondiale che, con un po’ più di coraggio, avrebbe potuto diventare indimenticabile.
Nel 1984, nel pieno della maturità psico-fisica con i suoi 28 anni, per Ray Wilkins si muove una delle squadre più importanti del continente, con un passato ad altissimi livelli e da un campionato che sta rapidamente diventando il più prestigioso e ricco d’Europa.
E’ il Milan che, dopo diverse deludenti e tribolate stagioni, sta cercando di ritrovare un posto ai vertici della Serie A.
E’ Nils Liedholm, di ritorno a San Siro dopo la meravigliosa esperienza romana, a volerlo in cabina di regia.
Insieme a Wilkins arriva un altro inglese, un giovane e semisconosciuto attaccante. Liedholm lo ha visto in azione una sola volta: nel match amichevole disputato poche settimane prima tra il Brasile e la nazionale inglese.
In quel match l’Inghilterra espugnerà il Maracanà e uno dei protagonisti sara lui, Mark Hateley che farà impazzire con la sua fisicità la retroguardia brasiliana segnando anche un gol con un impressionante stacco di testa.
In quel Milan arriva un altro dei pupilli di Liedholm.
E’ Agostino Di Bartolomei, che lui stesso aveva trasformato nel ruolo di “libero” alla Beckenbauer, ovvero primo organizzatore della manovra dei giallorossi.
Al Milan però ci sono già due dei difensori centrali più forti di tutto il campionato.
Si chiamano Franco Baresi e Filippo Galli e così per “Diba” c’è il ritorno nel suo vecchio ruolo di centrocampista.
Sono molti i dubbi sull’efficacia della coppia “Wilkins-Di Bartolomei”. Non sono certo “due fulmini di guerra”, non hanno “gamba” e in un calcio sempre più fisico questo sembra essere un limite non trascurabile.
Sono perfetti però per il gioco compassato, ragionato e “cerebrale” voluto da Liedholm.
Wilkins si piazza davanti alla difesa. Copre, recupera e distribuisce con la sua abituale sagacia lasciando Di Bartolomei libero di inserirsi in avanti per poter liberare il suo destro micidiale.
«Con Wilkins in campo a volte sembra di giocare in 12».
Raro sentire Liedholm parlare così di un suo giocatore.
Al Milan Ray giocherà due eccellenti stagioni prima di perdere protagonismo nella terza e ultima nel club. Con l’arrivo di Sacchi sulla panchina dei rossoneri nell’estate del 1987 e l’inizio della “rivoluzione olandese” per Wilkins (e per Hateley) è tempo di fare le valigie.
Destinazione Francia per entrambi ma se per Hateley sarà una scelta eccellente (conquista del campionato al primo tentativo con il Monaco di Arséne Wenger) la scelta di Ray (il Paris Saint-Germain) non sarà altrettanto fortunata.
A Ray Wilkins però non mancano gli estimatori.
Per lui arriva un’allettante offerta dei Glasgow Rangers che Graeme Souness vuole riportare ai vertici dopo anni di dominio dei rivali del Celtic.
Per Ray saranno tre stagioni indimenticabili e solo la nostalgia della famiglia per Londra lo staccherà dall’amore del popolo dei Rangers che nella sua ultima partita con i propri colori gli tributerà un saluto intenso e commovente.
Gli ultimi anni di carriera saranno legati alle sorti del QPR, squadra londinese nella quali Ray ricoprirà la doppia veste di calciatore e allenatore.
Sarà un “canto del cigno” memorabile, con grandi prestazioni in campo e con un eccellente piazzamento nella sua prima stagione da allenatore.
Appenderà gli scarpini al chiodo all’età di 41 anni prima di lavorare come manager e come assistente.
«Ray è di una razza speciale, rara. Uno spirito nobile con il sangue blu del Chelsea che gli scorre nelle vene. Credetemi, senza di lui e il suo contributo non avremmo vinto nulla».
Lo scrive Carlo Ancelotti, manager del Chelsea tra il 2009 e il 2011, nella sua biografia.
Un infarto nel marzo del 2018 si è portato via Ray Wilkins.
Aveva solo 61 anni.
Se chiedete a chiunque lo abbia conosciuto a chi assocerebbe la parola “gentleman” nel mondo del calcio potete stare certi che la risposta sarà univoca: Raymond Colin Wilkins.
ANEDDOTI E CURIOSITA’
Sull’acquisto di Ray Wilkins da parte del Milan c’è un curioso (e non troppo conosciuto) antefatto.
Quando il Presidente del Milan Giuseppe Farina si presenta all’Old Trafford da Martin Edwards, suo collega nel Manchester United, non è Ray Wilkins l’obiettivo numero uno dei dirigenti rossoneri. E’ il suo compagno di squadra e di reparto Bryan Robson.
Sul piatto il Milan mette un assegno di tre milioni e mezzo di sterline.
Edwards va in brodo di giuggiole.
Bryan Robson è il più forte centrocampista inglese e uno dei più forti in assoluto in Europa ma la cifra è di quelle davvero allettanti.
A quel punto però deve avvisare il Manager del Manchester United ovvero quel Ron Atkinson che Robson aveva voluto a tutti i costi al suo arrivo sulla panchina dei Red Devils pagandolo dal WBA un milione e mezzo di sterline, record assoluto per il calcio inglese.
Ron Atkinson non la prende benissimo.
«Se mi vendete Robson io me ne vado un secondo dopo!»
La prospettiva di perdere in un colpo solo il suo Manager e il calciatore più forte della rosa riporta Edwards a più miti consigli.
«Non posso darvi Bryan Robson. Ma Ray Wilkins si. E per metà della cifra» spiega il presidente del Manchester United.
Farina ha il benestare di Liedholm e l’affare va in porto.
Ron Atkinson, venuto a sapere dell’affare solo a conclusione della trattativa non si dimetterà.
... ma qualcuno ad Old Trafford dovrà sostituire la porta e parte dei mobili del suo ufficio ...
Forse la lacuna principale nel gioco di Ray Wilkins è stata la scarsa propensione al gol.
Nel Milan solo due reti in più di settanta partite di campionato e in generale una media in carriera di una rete ogni quattordici partite circa.
Non sono tantissime ... ma sulla qualità di alcune di queste non si può certo discutere.
Un gol con un tiro al volo da trenta metri al Chelsea, un altro decisivo in un derby di Glasgow sempre con un tiro da fuori, un delicato pallonetto con il QPR e perfino un paio di gol di testa in tuffo assolutamente pregevoli.
Ma c’è una rete che rimarrà per sempre nella memoria di chi era presente quel giorno a Wembley e dei milioni di spettatori nel mondo che assistettero a quell’avvenimento in diretta.
E’ il 21 maggio del 1983. Si gioca la finale di FA CUP tra il Manchester United e il Brighton & Hove Albion. I favori del pronostico sono tutti per i “Red Devils”, ma il Brighton, appena retrocesso nella serie cadetta, si rivela un osso assai più duro del previsto da rodere.
Sono proprio i “Seagulls”, i “gabbiani”, a portarsi in vantaggio dopo un quarto d’ora di gioco. Per gli uomini di Ron Atkinson è un’autentica doccia fredda dalla quale fanno fatica a riprendersi.
Quando in avvio di ripresa il loro numero “9” irlandese Frank Stapleton rimette le sorti del match in parità si pensa che il più sia fatto.
Invece il Brighton tiene.
Di minuti ne mancano meno di venti quando Ray Wilkins riceve un lungo lancio dalle retrovie dell’olandese Arnold Mühren. E’ a pochi metri dal vertice sinistro dell’area del Brighton ed è, abbastanza stranamente, il giocatore più avanzato del Manchester United.
Stoppa la palla, finge il tiro con il destro “mandando al bar” il suo avversario diretto.
Dà un’occhiata in area.
I suoi compagni sono ancora lontani.
Ray carica il sinistro. Il suo tiro è a “giro” e la traiettoria si spegne all’incrocio dei pali più lontano.
E’ un gol meraviglioso, cercato, voluto.
Non sarà quello decisivo perché a tre minuti dalla fine un mai domo Brighton riuscirà a segnare il gol del pareggio che porterà il match alla ripetizione.
Stavolta però non ci sarà storia. Lo United farà un sol boccone degli avversari (4 a 0) permettendo così a Ray Wilkins di alzare il suo primo importante trofeo della carriera.
Ray Wilkins detiene un record davvero particolare e decisamente sorprendente considerando la sua sportività e la sua correttezza.
Fu infatti il primo calciatore nella storia della Nazionale inglese ad essere espulso durante la fase finale di un Campionato Mondiale.
Accadde nel 1986 contro il Marocco.
L’ennesima decisione cervellotica dell’arbitro paraguaiano Gabriel Gonzales Roa fece si che Ray perdesse per un attimo il suo aplomb. Il suo gesto di stizza (scagliò con le mani il pallone in direzione dell’arbitro sudamericano) fu sufficiente per la permalosa “giacchetta nera” per sventolare il cartellino rosso davanti al povero Ray.
Infine, la frase che Raymond Colin Wilkins amava ripetere ai tanti giovani calciatori allenati in carriera.
«In campo devi provare ad essere il più generoso e competitivo possibile. Fuori dal campo la persona più gentile e comprensiva che puoi».
... cosa che “Butch” Wilkins seppe fare alla perfezione nei suoi venticinque anni di carriera e nella sua troppo breve vita.