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    Vivo X Lei, Pastorin: il Fenomeno Ronaldo, non più bravo di Pelé, ma unico nel suo genere

    Vivo X Lei, Pastorin: il Fenomeno Ronaldo, non più bravo di Pelé, ma unico nel suo genere

    Lapild - Il Fenomeno

    Se nasci in Brasile, e hai un qual certo talento per il calcio, al giorno d'oggi, sai già che dovrai scontrarti contro un paio di miti del passato, perché nell'immaginario collettivo del paese verde oro esistono due giocatori, tutti gli altri sono "solo" i loro eredi. Uno, ovviamente, è Pelé. O Rei è, e resterà per sempre il simbolo del calcio degni anni '60 e '70; nella sua bacheca splendono tre coppe del mondo (nessuno come lui può vantarne un tal numero) e innumerevoli premi personali. In patria l'ex calciatore del Santos è una semi-divinità, e nessuno è mai stato considerato al suo livello dai brasiliani, nemmeno Maradona; almeno fin quando non è arrivato O Fenômeno. 

    Il 22 settembre 1976 nasce Luís Nazário de Lima Ronaldo. L'ambientazione è quella della Rio de Janeiro più povera, nella quale si viveva lottando contro una realtà difficile. In una situazione di così grande disagio non c'è spazio per i sogni, a meno che il tuo talento non sia davvero folgorante. Il brasiliano, fin dalla più tenera età, ha messo in mostra doti assolutamente fuori dal comune con una palla tra i piedi. Era impossibile non notarlo. Nel 1993, infatti, fu messo sotto contratto dal Cruzeiro. Le prestazioni nelle giovanili furono subito impressionanti e venne presto promosso in prima squadra, dove, nonostante la giovane età, si impose come giocatore chiave divenendone il miglior marcatore. L'anno seguente si consacrò definitivamente chiudendo la stagione da capocannoniere della competizione nazionale. Fu presto chiaro che il campionato brasiliano era già diventato un palcoscenico troppo modesto per una stella di quel calibro.

    In Europa Ronaldo arrivò nel 1994, da campione del mondo (pur non essendo mai sceso in campo negli Stati Uniti). La sua parentesi al PSV fu rapida e straordinaria: due stagioni, 57 partite, 54 gol. Impossibile non suscitare l'interesse dei top club europei con prestazioni di così alto livello. E quindi la Spagna, il Barça. Una sola stagione, ma da fuoriclasse assoluto. Titolo Pichichi con 34 gol in 37 presenze nella Liga e Coppa delle Coppe. La consacrazione definitiva arriva però in Italia, all'Inter. Con la maglia nerazzurra Ronaldo alza al cielo non solo la coppa UEFA, ma anche il Pallone d'oro. Il brasiliano era, all'epoca, senza dubbio, il migliore giocatore del mondo; la sua più grande abilità, mai più replicata (avvicinata solo parzialmente da Messi) era quella di eseguire ogni giocata, dalla finta al passaggio, dal dribbling al tiro, con una velocità impressionante, assolutamente fuori dal comune. Nessuno nella storia del calcio ha mai avuto tanta facilità nel saltare l'uomo. Ronaldo era una macchina quasi perfetta: 183 cm per 78 kg, con la rapidità tipica di un brevilineo e la potenza di una prima punta. Nessuno era in grado di fermarlo, eccezion fatta per una zolla di San Siro, il campo che avrebbe dovuto essergli amico, ed invece gli fu fatale.

    21 novembre 1999, Milano, Inter-Lecce. Il fenomeno corre, come al solito imprendibile, ma il piede si ferma su una zolla; il ginocchio, invece, prosegue la sua corsa. Il tendine rotuleo si lesiona e il giovane campione deve affrontare uno stop di sei mesi. Il ritorno è atteso dai tifosi dell'Inter, e dagli amanti del calcio più di ogni altra cosa, perché Ronaldo era il calcio, in quegli anni, e solo lui sapeva suscitare certe emozioni negli appassionati di questo splendido sport. 
    12 aprile 2000, Roma, andata della finale di coppa Italia, Lazio-Inter. La stessa Lazio che proprio lui aveva piegato nella finale di coppa UEFA solo qualche anno prima, portandolo sul tetto del mondo, torna prepotentemente nella sua vita facendolo sprofondare; sì, perché il fenomeno entra in campo, ma ci resta solo sei minuti. L'arbitro Pellegrino ricorda con straziante precisione di aver sentito il suono tipico di qualcosa che si rompe: crack. Ronaldo è di nuovo a terra, di nuovo in lacrime, di nuovo il ginocchio. Questa volta il tendine rotuleo salta definitivamente. L'infortunio è così grave che si pensa ad un possibile ritiro. Alle porte del nuovo millennio sembra che la stella stia per spegnersi, questa volta per sempre.

    Le stelle, però, non sono lampadine e si spengono solo quando muoiono. Dopo un anno e sei mesi, infatti, c'è il ritorno in campo. Il numero 9 nerazzurro torna subito ad essere decisivo. L'Inter si gioca il campionato all'ultima giornata, guarda caso proprio contro la Lazio, che a metà tra incubo e sogno ha già segnato la carriera del fenomeno. Tutto sembra andare, inizialmente, per il verso giusto; ma il pomeriggio si trasforma ben presto in un brutto sogno. I biancocelesti rimontano lo svantaggio e vanno a vincere 4-2. Lo scudetto va a Torino, dalla rivale di sempre, la Juventus. Ancora una volta Ronaldo è in lacrime e il futuro non promette nulla di buono, infatti il rapporto con mister Cùper è pessimo; Massimo Moratti, alla precisa affermazione di Ronaldo: "O me o lui!", risponde con: "Lui". La sua avventura all'Inter finisce con le lacrime per il campionato perso.

    Il vero campione è, però, quello che sa rialzarsi dopo le cadute più dolorose, e Ronaldo l'estate del 2002 sale in cielo. Alza per la seconda volta la coppa del mondo, ma questa volta da protagonista, da mattatore assoluto del torneo (di cui è capocannoniere). E ora sì che i brasiliani capiscono che lui non è l'erede di Pelé, non è una brutta copia di qualcosa che si è già visto, lui è unico, lui è il più forte, lui è Ronaldo, lui è Il Fenomeno.
    Feliz cumpleaños Fenômeno.


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    Darwin Pastorin risponde:

    Bello e sentito e a tratti commovente questo omaggio a Ronaldo, uno dei più grandi attaccanti della storia del calcio brasiliano. Davvero un Fenomeno, come intuì anche uno scrittore, appassionato di football, come Manuel Vázquez Montalbán, che fu un acceso tifoso del Barcellona (in contrapposizione al madridista Javier Marías). Il pallone conobbe, con il suo avvento, un nuovo tipo di centravanti: possente e tecnico, impetuoso e geniale. Resteranno, per sempre, i suoi gol, le sue prodezze e quell'immagine malinconica dopo il mondiale francese del 1998: faceva fatica a scendere dalla scaletta dell'aereo, sembrava un reduce e rimane ancora misteriosa quella notte prima della finale con la Francia di Zidane. Quel malessere, lo spavento di Roberto Carlos.

    Lo ricordo al mondiale americano del '94, riserva della riserva di Romario, non disputò nemmeno un minuto, Lazaroni, il tecnico della Seleção, mi disse: "Per non bruciarlo prima del tempo". Mi sembrò un'assurdità. A quell'epoca era sorridente, inconsapevole ancora della prossima gloria; due giorni prima del match di Pasadena con l'Italia di Roberto Baggio trascorse il giorno di libertà dagli allenamenti a Disneyland. Una fragilità a caratteriale, non solo di muscoli, gli ha impedito di chiudere la carriera sotto spesse luci. No, non è stato più bravo di Pelé (per me il genio assoluto del futébol resterà, sempre e per sempre, Mané Garrincha, "alegria do povo"): ma, sicuramente, unico nel suo genere. Hulk e Fred gli sono lontanissimi parenti. Soltanto Ibrahimovic riesce a stargli accanto: per le reti d'autore, per le prodezze da raccontare e ancora raccontare. Ecco: trovo splendidi questi commenti-ricordi: ci portano a rivisitare i miti del calcio, personaggi che hanno segnato un tempo e che resteranno nella leggenda dopo aver fatto la cronaca.ù

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