Vivo x lei, Jacobelli: quella stazione della metro di Londra dedicata a Mennea
Può apparire scontato che un barlettano (e io lo sono) scriva due righe per commemorare Pietro Mennea. E tuttavia nella vita sono stato tifoso di Mohamed Alì, senza essere di Louisville, di Arthur Ashe, senza essere di Richmond, di Francesco Moser, senza essere di Palù di Giovo. e di Dejan Savicevic senza essere di Titograd. Direi quindi che ci sono indizi a sufficienza per convincere me stesso e gli altri che sarei stato tifoso di Mennea pure se fossi stato di Bogotà.
Ho visto correre Mennea dal vivo una sola volta, proprio a Barletta in un meeting del 1980. C’era Edwin Moses nei 400 hs e c’era il grandissimo discobolo più che quarantenne Al Oerter, che aveva tentato inutilmente di qualificarsi per le olimpiadi di Mosca. Ma l’attrazione era proprio Mennea, reduce dalla medaglia d’oro olimpica sui 200 metri piani. Ricordo che, seppure osannata ufficialmente, la vittoria di Pietro aveva fatto storcere il naso a un po’ di gente. L’edizione olimpica di Mosca, in effetti, era stata caratterizzata da un boicottaggio organizzato dagli USA per protesta contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan. E considerando che i leader storici delle corse veloci erano sempre stati gli americani, si era detto che Mennea aveva trovato vita facile per il forfait degli avversari più forti.
Mi fermo un attimo e cerco di ricordare chi fosse allora lo specialista USA dei 200 metri. Era Lamonte King, che nelle statstiche della IAAF (http://www.iaaf.org/) risulta aver fatto ottime cose nel salto in lungo e nei 200 fra il 1978 e il 1980. Rilevo che sui 200 aveva un personale di tutto rispetto di 20.08 fatto registrare a Walnut il 15 giugno del 1980 con 0,9 di vento a favore. Sì, era un eccellente atleta, ma non era Carl Lewis (che allora aveva 19 anni) nè Husain Bolt. A Mosca erano stati invece presenti il grande giamaicano Donald Quarrie, campione in carica, e l’inglese Alan Wells, acerrimo rivale dell'italiano. Avevano gareggiato e Mennea aveva dato loro la paga, ma per qualche vecchia gloria invidiosa o qualche dirigente geloso non era stato abbastanza. Cosa poteva fare un semplice fan come il sottoscritto di fronte a siffatta ingiustizia? Niente. Infatti, Mi limitai a prendere atto di quanto fosse vera la teoria di mia nonna, secondo la quale se si dovesse dare retta a tutti si finirebbe al manicomio. Me ne andai a vedere il meeting. Ah già, il meeting! Edwin Moses, da uomo di mondo dell’atletica, accettò con stile ed eleganza il ruolo di comprimario. Quando ci si trova in casa d’altri, non si pretende un ruolo da prima donna. Al Oerter gareggiò con l’aria placida di chi, dopo aver pranzato a cozze e polipi, avrebbe volentieri evitato il cimento. E poi ci fu Mennea. Ero fresco di studi classici e nell'attesa della gara avevo pensato alle Odi di Pindaro e alla gloria di Olimpia, più alta del sole nel cielo (amava esagerare il vecchio Pindaro). Di Pietro il Grande e della sua gara mi è rimasto un fotogramma impresso nella memoria, quello di una furia umana, tesa come una corda di violino, solitaria sul rettilineo che porta al traguardo. Gli avversari lo scrutavano a distanza fingendo di correre. Il tempo? 19"96, migliore prestazione mondiale al livello del mare, che si aggiungeva al primato mondiale assoluto di un anno prima, ottenuto in altura alle Universiadi di Città del Messico. Quel giorno mi venne in mente l’espressione “the fastest white man”, con cui in atletica si indica il velocista più forte dopo quelli di colore. Mi venne in mente, ma solo per concludere che Mennea era molto di più, era “the fastest man”, senza il “white”, il campione di tutti, “er mejo”, tanto in pianura che in montagna. E alle Olimpiadi aveva vinto lui, per buona pace delle malelingue.
Pensando oggi a quel giorno e a quell'impresa, mi viene però in mente l'espressione "dies irae", il giorno dell'ira e della resa dei conti, come se con quella prestazione lo zar Pietro avesse voluto tagliare la testa al toro e dire: "Cosa volete che faccia di più per dimostrarvi il mio valore? Tramutare l'acqua in vino?". C'è una stazione della metropolitana di Londra dedicata a Pietro Mennea e ciò vuole dire molto, considerando che i britannici non dispensano gloria e onori se non sono meritati.
Zardoronz, da Vivo x lei
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Caro Zardoronz,
il 21 marzo si sono compiuti due anni dalla scomparsa di Pietro Mennea. E' bello che Vivo x lei sia uno spazio in cui, oltre ai dibattiti calcistici incessantemente alimentati dalle vicende della disciplina più amata dagli italiani, gli amici di calciomercato.com ricordino autentici miti dello sport mondiale come Pietro il Grande. Di loro non si parla mai abbastanza.
x.j.
Ho visto correre Mennea dal vivo una sola volta, proprio a Barletta in un meeting del 1980. C’era Edwin Moses nei 400 hs e c’era il grandissimo discobolo più che quarantenne Al Oerter, che aveva tentato inutilmente di qualificarsi per le olimpiadi di Mosca. Ma l’attrazione era proprio Mennea, reduce dalla medaglia d’oro olimpica sui 200 metri piani. Ricordo che, seppure osannata ufficialmente, la vittoria di Pietro aveva fatto storcere il naso a un po’ di gente. L’edizione olimpica di Mosca, in effetti, era stata caratterizzata da un boicottaggio organizzato dagli USA per protesta contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan. E considerando che i leader storici delle corse veloci erano sempre stati gli americani, si era detto che Mennea aveva trovato vita facile per il forfait degli avversari più forti.
Mi fermo un attimo e cerco di ricordare chi fosse allora lo specialista USA dei 200 metri. Era Lamonte King, che nelle statstiche della IAAF (http://www.iaaf.org/) risulta aver fatto ottime cose nel salto in lungo e nei 200 fra il 1978 e il 1980. Rilevo che sui 200 aveva un personale di tutto rispetto di 20.08 fatto registrare a Walnut il 15 giugno del 1980 con 0,9 di vento a favore. Sì, era un eccellente atleta, ma non era Carl Lewis (che allora aveva 19 anni) nè Husain Bolt. A Mosca erano stati invece presenti il grande giamaicano Donald Quarrie, campione in carica, e l’inglese Alan Wells, acerrimo rivale dell'italiano. Avevano gareggiato e Mennea aveva dato loro la paga, ma per qualche vecchia gloria invidiosa o qualche dirigente geloso non era stato abbastanza. Cosa poteva fare un semplice fan come il sottoscritto di fronte a siffatta ingiustizia? Niente. Infatti, Mi limitai a prendere atto di quanto fosse vera la teoria di mia nonna, secondo la quale se si dovesse dare retta a tutti si finirebbe al manicomio. Me ne andai a vedere il meeting. Ah già, il meeting! Edwin Moses, da uomo di mondo dell’atletica, accettò con stile ed eleganza il ruolo di comprimario. Quando ci si trova in casa d’altri, non si pretende un ruolo da prima donna. Al Oerter gareggiò con l’aria placida di chi, dopo aver pranzato a cozze e polipi, avrebbe volentieri evitato il cimento. E poi ci fu Mennea. Ero fresco di studi classici e nell'attesa della gara avevo pensato alle Odi di Pindaro e alla gloria di Olimpia, più alta del sole nel cielo (amava esagerare il vecchio Pindaro). Di Pietro il Grande e della sua gara mi è rimasto un fotogramma impresso nella memoria, quello di una furia umana, tesa come una corda di violino, solitaria sul rettilineo che porta al traguardo. Gli avversari lo scrutavano a distanza fingendo di correre. Il tempo? 19"96, migliore prestazione mondiale al livello del mare, che si aggiungeva al primato mondiale assoluto di un anno prima, ottenuto in altura alle Universiadi di Città del Messico. Quel giorno mi venne in mente l’espressione “the fastest white man”, con cui in atletica si indica il velocista più forte dopo quelli di colore. Mi venne in mente, ma solo per concludere che Mennea era molto di più, era “the fastest man”, senza il “white”, il campione di tutti, “er mejo”, tanto in pianura che in montagna. E alle Olimpiadi aveva vinto lui, per buona pace delle malelingue.
Pensando oggi a quel giorno e a quell'impresa, mi viene però in mente l'espressione "dies irae", il giorno dell'ira e della resa dei conti, come se con quella prestazione lo zar Pietro avesse voluto tagliare la testa al toro e dire: "Cosa volete che faccia di più per dimostrarvi il mio valore? Tramutare l'acqua in vino?". C'è una stazione della metropolitana di Londra dedicata a Pietro Mennea e ciò vuole dire molto, considerando che i britannici non dispensano gloria e onori se non sono meritati.
Zardoronz, da Vivo x lei
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Caro Zardoronz,
il 21 marzo si sono compiuti due anni dalla scomparsa di Pietro Mennea. E' bello che Vivo x lei sia uno spazio in cui, oltre ai dibattiti calcistici incessantemente alimentati dalle vicende della disciplina più amata dagli italiani, gli amici di calciomercato.com ricordino autentici miti dello sport mondiale come Pietro il Grande. Di loro non si parla mai abbastanza.
x.j.