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'Viva il catenaccio!': l'orgoglio della nazionale marocchina, avanguardia del calcio arabo
Il testo spiega nel dettaglio il senso di questa contrapposizione. I dati sulle gare disputate fin qui dalla squadra di Walid Regragui dicono che i Leoni dell'Atlante preferiscono lasciare nettamente l'iniziativa agli avversari: 35% di possesso palla contro la Croazia, 33% contro il Belgio, 41% contro il Canada, addirittura 23% contro la Spagna. Un orientamento che non significa rinuncia, ma piuttosto la ricerca dell'essenzialità. Ciascuna squadra deve giocare secondo quelle che sono le proprie caratteristiche. E se le migliori caratteristiche si concentrano su difesa e interdizione, specie se c'è da affrontare avversarie tecnicamente più dotate, non c'è da avere imbarazzo nel compiere una scelta del genere.
Ciò che più provoca un effetto straniante è quell'utilizzo del termine “catenaccio”. Che nel nostro linguaggio è ormai praticamente in disuso, ma che prima di scomparire è stato gravato di significati negativi, persino denigratori. Identificato come l'atteggiamento iper-speculativo, e pure abbastanza meschino, di difesa a oltranza. Quando invece avrebbe dovuto sempre essere inteso per ciò che è: un modo di affrontare il calcio facendo leva su una solida organizzazione difensiva. Cosa c'è di squalificante in questo? Il Marocco ci lascia in eredità questo messaggio e faremmo bene a recepirlo. Sono molti i modi di giocare a calcio e tutti egualmente legittimi. Invece la coazione morale e ideologica a attaccare è soltanto l'ennesimo messo a disposizione dei più forti, per fare in modo che i più deboli scelgano l'autodistruziuone.
@Pippoevai