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Violamania, tutti in piedi: 'Intervengo da Roma, Fiore pazzesca all'Olimpico'
Trovare aggettivi per questa squadra senza cadere nella banalità e nella retorica non è affar semplice. E non parliamo di storia, poiché i conti si fanno alla fine. Ma è un orgoglio, sicuramente, questa Fiorentina: una reazione dannata, rabbiosamente collante. L’impresa di Roma rende ancor più mistica l’esperienza viola. Sbancato l’Olimpico, contro ogni previsione. Un gruppo che sta risollevando delle sorti, viste dal sottoscritto in primis, che sembravano destinate all’oblio. Davide invece ha cambiato tutto.
Capaci di andare oltre i limiti.
Sicuri, volenterosi, convinti, oltre ogni qualità apparente e posseduta. Gli stessi giocatori, mutati nella testa e nella pluralità. Firenze si è stretta e le maglie gigliate si sono unite, andando a prendersi qualcosa che nessuno poteva immaginarsi. Forse neanche loro, ma la spensierata certezza dei propri mezzi, in questo momento, sta facendo la differenza.
Granitici e imperiosi.
Lo sono stati tutti, dediti al loro ruolo ma perfetti nella coralità dell’azione. Soprattutto difensiva, perché la Roma domina nel possesso del gioco, patendo due lampi della Fiorentina. Simeone, un poeta maledetto, mangia Manolas e con un’onda d’urto scavalca Alisson segnando un gol pesantissimo. E poi lotta, come sempre, riuscendo nei recuperi, disputando gli ultimi minuti stremato e senza mollare un centimetro.
La vittoria di tutti.
Una frase semplice per spiegare un concetto evidente. Lo dimostra la rete di Benassi, uno dei peggiori prima della rinascita del gruppo. Segna, con un tiro stilisticamente imperfetto ma concretamente preciso. La difesa è un muro, difende da squadra, facendo spiccare a ruota un singolo, sicuro di potersi poggiare sul resto del reparto. E non solo: del centrocampo, dell’attacco.
Un encomiabile Sportiello, l'esempio del cambiamento.
Il portiere, celebrato per una volta a nome di tutti. La sua sicurezza, mostrata oggi, non era mai stata vista dalle sue parti. Una crescita sfociata in una prestazione decisiva, nelle parate e nelle certezze donate ai compagni, soprattutto in uscita. Il simbolo della prova di ogni giocatore della Fiorentina in terra laziale. Belli, belli e ancora belli. Il cuore batte forte in situazioni come questa.
Corpo a corpo.
In campo e per l’Europa. Lo erano Hugo e Pezzella contro Dzeko, che a più riprese li ha messi in difficoltà, senza riuscire a straripare e sovrastare, fermato in un modo o nell’altro in fase finalizzativa. Così come un preziosissimo Dabo. Il cammino è ancora lungo, non si può festeggiare molto: gli impegni sono ardui, ogni partita è una finale. Continuare così è l’unica ricetta.
Comunque, sei vittorie consecutive non arrivavano dal 1960. Mi sembra un ottimo motivo per crederci.
E, ancora una volta, grande mister.
Capaci di andare oltre i limiti.
Sicuri, volenterosi, convinti, oltre ogni qualità apparente e posseduta. Gli stessi giocatori, mutati nella testa e nella pluralità. Firenze si è stretta e le maglie gigliate si sono unite, andando a prendersi qualcosa che nessuno poteva immaginarsi. Forse neanche loro, ma la spensierata certezza dei propri mezzi, in questo momento, sta facendo la differenza.
Granitici e imperiosi.
Lo sono stati tutti, dediti al loro ruolo ma perfetti nella coralità dell’azione. Soprattutto difensiva, perché la Roma domina nel possesso del gioco, patendo due lampi della Fiorentina. Simeone, un poeta maledetto, mangia Manolas e con un’onda d’urto scavalca Alisson segnando un gol pesantissimo. E poi lotta, come sempre, riuscendo nei recuperi, disputando gli ultimi minuti stremato e senza mollare un centimetro.
La vittoria di tutti.
Una frase semplice per spiegare un concetto evidente. Lo dimostra la rete di Benassi, uno dei peggiori prima della rinascita del gruppo. Segna, con un tiro stilisticamente imperfetto ma concretamente preciso. La difesa è un muro, difende da squadra, facendo spiccare a ruota un singolo, sicuro di potersi poggiare sul resto del reparto. E non solo: del centrocampo, dell’attacco.
Un encomiabile Sportiello, l'esempio del cambiamento.
Il portiere, celebrato per una volta a nome di tutti. La sua sicurezza, mostrata oggi, non era mai stata vista dalle sue parti. Una crescita sfociata in una prestazione decisiva, nelle parate e nelle certezze donate ai compagni, soprattutto in uscita. Il simbolo della prova di ogni giocatore della Fiorentina in terra laziale. Belli, belli e ancora belli. Il cuore batte forte in situazioni come questa.
Corpo a corpo.
In campo e per l’Europa. Lo erano Hugo e Pezzella contro Dzeko, che a più riprese li ha messi in difficoltà, senza riuscire a straripare e sovrastare, fermato in un modo o nell’altro in fase finalizzativa. Così come un preziosissimo Dabo. Il cammino è ancora lungo, non si può festeggiare molto: gli impegni sono ardui, ogni partita è una finale. Continuare così è l’unica ricetta.
Comunque, sei vittorie consecutive non arrivavano dal 1960. Mi sembra un ottimo motivo per crederci.
E, ancora una volta, grande mister.