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    Vincere in Italia: l'ultimo passo che manca a Guardiola per l'immortalità del suo mito

    Vincere in Italia: l'ultimo passo che manca a Guardiola per l'immortalità del suo mito

    • Simone Eterno
      Simone Eterno
    Vogliamo essere onesti fin da subito. Il titolo in qualche modo è una provocazione. Mito del calcio, Josep Guardiola i Sala, più comunemente noto come 'Pep', lo è già oggi. E non serve l'elenco dei trofei conquistati in Spagna, Germania e Inghilterra. Basta mettere il naso fuori dalla finestra e approcciarvi alla scuola calcio più vicina. Guardate come si gioca oggi a partire già dalle categorie dei più piccoli. Ecco, quella roba lì, è frutto del passaggio di Pep Guardiola nell'universo del football. Evidente dunque che non possa essere un'avventura o meno in Italia la discriminante al giudizio complessivo. Casomai, la ciliegina su una torta perfetta sì già oggi, ma in qualche modo ancora incompleta. Aver rivoluzionato il calcio, aver vinto e cambiato la percezione del pallone a tutte le latitudini ma non alla nostra, lascia nella straordinaria figura di Guardiola - almeno dalle nostre parti - quella sensazione di fondo di un viaggio eccezionale ma non ancora completo, di una perfezione in fondo non del tutto raggiunta, di un mito già certamente consacrato ma in qualche modo non ancora immortale. 

    Forse è una presunzione tutta nostra; noi, figli di Paese che della tattica ne ha fatto un'arte, inventandola, applicandola ed esportandola a lungo. E che ancora, pur vivendo un periodo di assoluta decadenza - della sua principale lega e delle proprie capacità economiche - attraverso espressioni tattiche è stata capace di reinventarsi. Nella semi-disastrata Serie A contemporanea restano infatti dei prodotti calcistici piuttosto interessanti; squadre che hanno saputo mettersi il luce anche nei prestigiosi salotti d'Europa. L'Inter di Simone Inzaghi finalista di Champions League due anni fa proprio contro Guardiola né è un esempio; l'Atalanta di Gian Piero Gasperini ne è sicuramente un altro. E poi un sottobosco di nuove leve, influenzate un po' qui e un po' la anche e soprattutto dal guardiolismo. Squadre che continuano a dare tutto sommato un senso tattico a un movimento dove i grandi talenti sono quasi del tutto spartiti e la qualità dei giocatori tende sicuramente al ribasso, ma al tempo stesso dove, nonostante tutto, è ancora difficile imporsi. 

    Per questo sarebbe davvero bello veder passare da queste parti Pep Guardiola, che l'altra sera, ospite sul Nove di Che Tempo Che Fa, alla 'giocata' di Fabio Fazio che lo invitava a venire in Italia rispondeva con una battuta tanto improbabile nei fatti quando meravigliosa nella sua utopia: "Se Roberto Baggio mi accompagna come assistente, magari sì". Uno scenario per romantici, certamente. Per sognatori, soprattutto. Perché bilanci e proprietà alla mano oggi non c'è un singolo club della nostra Serie A che potrebbe permetterselo. E a dirla tutta, purtroppo, in questo momento non c'è nemmeno un progetto chiaro che potrebbe allettarlo a scendere a compromessi economici. 

    Perché soprattutto quello, in fondo, sarebbe il primo passo: Guardiola avrebbe bisogno di abbassarsi - e di tantissimo - l'attuale stipendio. E di stracciare ciò che già ha, volendo, sulla propria scrivania: ossia l'offerta 'in bianco' della Football Association - la Federcalcio inglese. Insomma, per un Guardiola in Italia servirebbe prima tutto che il catalano levasse la mano dal portafogli e se la mettesse sul cuore. Poi, chiaramente, appunto, servirebbe un trovare un club e un progetto degno del suo nome. 

    Un Milan a 'guida Maldini', viene da pensare, sarebbe stato probabilmente l'unico scenario percorribile, per prestigio e tradizione del club a un certo tipo di ricerca nel calcio, così come per le qualità umane coinvolte se l'ex storico capitano fosse rimasto in cabina di comando. Con la confusione rossonera di oggi però lo scenario milanista è del tutto utopistico. Così come lo sono quelli delle due altre storiche big del nostro calcio, Juventus e Inter: la prima all'inizio di una rifondazione finalmente sensata e la seconda nel pieno del proprio ciclo e probabilmente senza le vere disponibilità economiche per imbattersi in un progetto del genere. 

    Per questo, dunque, quel sogno di vedere Guardiola in Italia, resterà appunto soltanto tale. Un peccato. Perché la sensazione di fondo è che di fronte a qualcosa di veramente stimolante, questa volta, anche con la mini-rivoluzione del City all'orizzonte, beh Guardiola lo si sarebbe potuto tentare per davvero. Perché sotto-sotto, in quella battuta lì, detta sorridendo, un pensiero Pep ce lo avrebbe fatto al Belpaese: vincere anche in Italia, la culla dei tatticismi, consegnerebbe il suo mito all'immortalità imperterrita. 
     

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